Passa ai contenuti principali

EMOZIONI FOSSILI



"Ma quale distacco dalle emozioni!
Lo Yoga è Danzare la vita"
                                             Ryu no Kokyu       
                                   

Si può morire anche due, tre, dieci volte al giorno e rinascere nel sorriso di un bimbo o nel volo silenzioso del falco. 
Il ritmo della Vita è  proprio questo: un insensato  rincorrersi di piacere e dolore da cui, a volte si ha voglia di scappare, come il bagnante in fuga dall'Onda che devasta.
Altre, invece, con l'incoscienza dell'Amante, ci si abbandona al mare e allora,   per un attimo, uno solo, godiamo di quell'assurdo e luminoso silenzio che chiamiamo Gioia.
Chi non ne sa pensa che  il fine dello Yoga sia distaccarsi dalle emozioni, quasi fosse il fratello nobile dell'apatia.
E sono tanti a non sapere.
Inutile dir loro che è Śiva, il selvaggio "Re della danza", a portare lo Yoga agli uomini.





Quando la sua Sposa si toglie la vita, Śiva folle di dolore, si getta contro l'assemblea degli dei, li massacra a calci e pugni e devasta lo spazio sacro del rito. 
Poi prende il corpo dell'amata, lo stringe a sè e comincia a vagare per l'Universo. 
Śiva non accetta la morte e non accetta la fine di un Amore che non può non essere eterno: è un Dio, il dio dell'Oltre, e non ha passato né futuro,
come i bambini, che sono immortali fin quando non patiscono l'orrore dell'assenza. 
L'immagine di Śiva che vaga nel cielo stellato stringendo il cadavere di Satī è la più straziante dei Purana.
Lui, l'invincibile Signore del Tempo, Asura tra gli Dei e Dio tra i demoni, non sa far altro che piangere.
Distacco dalle emozioni?
Ma per favore!
Se il Mondo svanisse, qui ed ora, Śiva neppure se ne accorgerebbe
Ogni lacrima un ricordo.
Quando il corpo di Satī, fatto a brandelli dagli altri dei, cade sulla terra a renderla sacra, Śiva muore alla vita. 
Per il dolore diventa pietra, una colonna di pietra alta fino al cielo. 
I ricordi, anche quelli felici, si nascondono tra le ossa, i muscoli e le viscere, e si cibano l'uno dell'altro, ingrassano fino a impedire il gioco naturale delle emozioni, e dei gesti che dalle emozioni devono insorgere.






Da bambino pensavo che i ricordi se li portava via il libeccio, come i morti.
La risacca si lascia dietro un sacco di cose, mucchi di alghe, corde, ossa di pesce scolorite, che sole e salmastro incollano agli scogli.
Al tramonto si fanno facce, alberi o draghi antichi.
Sembrano lì da sempre.
Quasi ci si affeziona a quei guardiani scolpiti dal mare.
Poi l'onda del libeccio li strappa via.
Resta solo lei, l'Onda, che sbatte sulla scoglio e si ritrae, senza fretta.
Poi si alza per rovesciarsi di nuovo.
Lo Yoga strappa i ricordi dalla carne, come il libeccio, e ne  senti le onde nel respiro, nel cuore, nelle viscere.
La mente si fa ritmo e le emozioni, libere dal fardello della memoria, illuminano il gesto e lo sguardo.


A pensarci è proprio una roba strana!
Ogni emozione genera un ricordo tanto più ingombrante quanto più forte è l'emozione.
La morte di una persona cara, la fine di un amore, sono pietre piene di spigoli e muschio, e bastano una foto, il bianco desueto di un vestito trovato nell'armadio, un tono di voce, per aggiungere altri spigoli e altro muschio.
Se ne limiti lo spazio, è ovvio, la danza un tempo vorticosa delle energie vitali, perde slancio e vigore, come un giocattolo a molla che vada scaricandosi, e noi finiamo per crederci uno con il ricordo, diventiamo pietra, come Śiva.
Che l'emozione dia forma al corpo, riorganizzando ossa, muscoli e carne, è cosa nota: guarda lo sguardo acceso, il rossore delle guance e il passo leggero degli innamorati!
L'emozione della perdita irrigidisce, lo sappiamo bene, ma come prima amavamo chi ci ha lasciato, adesso amiamo il suo ricordo.
E amiamo il rinnovarsi della sofferenza, anzi ne diventiamo espressione.
Ecco cosa ci impedisce di vivere nel presente! 
Non la mente, ma il corpo. 
Le pietre dei ricordi si ficcano dentro ogni singola cellula, fino a soffocarci trasformando la vita in rappresentazione della vita.
Si può morire anche due, tre, dieci volte al giorno e rinascere nel sorriso di un bimbo o nel volo silenzioso del falco, ma la maggior parte di noi si immola al dio della memoria preferendo una morte sola, lenta e rassicurante.
È comprensibile: il dolore della perdita e la malattia dell'abbandono ci fanno sentire nobili.
Interpretare il ruolo dell'eroe drammatico, infelice per contratto, giustifica la nostra, di infelicità, e ci permette di continuare a vivere nel passato.
Anche il futuro è passato, per chi si alimenta di ricordi, ché la prefigurazione di ciò che non è ancora può sgorgare solo da ciò che è stato. 
Il ricordo è un emozione fossile.
Bello a vedersi, ma prova un po' a danzarci insieme! 
Il libeccio, si porta via, assieme, i morti e le pietre dei ricordi.
Possiamo lasciare che l'Onda e il Vento ci entrino in casa, distruggano le foto antiche e il mobilio di famiglia.
Oppure sbarriamo porte e finestre e saliamo sul tetto della torre di pietra per guardare la tempesta di lontano, circondati da alibi sensati e fantasmi affettuosi.
Sta a noi decidere.










Commenti

Post popolari in questo blog

IL SIGNIFICATO NASCOSTO DEI MANTRA - OM NAMAḤ ŚIVĀYA

Alzi la mano chi non ha mai recitato un mantra indiano o tibetano senza avere la minima idea di cosa significasse. C'è addirittura una scuola di pensiero che invita ad abbandonarsi al suono, alla vibrazione e ad ascoltare con il cuore. Il personale sentire viene considerato un metro di giudizio assai più affidabile della razionalità, e l'atteggiamento più comune, nell'approccio alla "Scienza dei mantra è il " Che mi frega di sapere cosa vuol dire? L'importante è che mi risuoni! ". Devo dire che ci sta. Tutto nell'universo è vibrazione e ovviamente quel che conta è il risultato. Se uno recita 108 volte Om Namaha Shivaya senza sapere che vuol dire e poi si sente in pace con il mondo, va bene così. Anzi va MOLTO bene! Ma bisogna considerare che nei testi "tecnici" dello yoga, non numerosissimi, si parla di una serie di valenze simboliche, modalità di  pronuncia e possibilità di "utilizzo" che, secondo me, la maggi

I CAKRA DEI NATH

    Nonostante in molti testi si parli esclusivamente di sei cakra + il cakra dei mille petali,   in genere nella tradizione Nath se ne enumerano nove: 1.      Brahmā Cakra  - corrispondente al  Mūlādhāra Cakra ; 2.      Svādhiṣṭāna Cakra  " – “centro di supporto del sé", “la sua propria dimora”; 3.      Nābhi Cakra "centro dell'ombelico"; 4.      Hṝdayādhāra "centro del cuore"; 5.      Kaṇṭha Cakra "centro della gola"; 6.      Tālu Cakra "Centro del palato"; 7.      Bhrū Cakra – “Centro tra le sopracciglia" non sempre identificabile con ajñā cakra , posto spesso al centro della fronte. 8.      Nirvāṇa Cakra che alcuni fanno corrispondere al brahmārandhra e altri ad ajñā cakra 9.      Ākāṣa Cakra "centro dello spazio", posto al sincipite per alcuni, sopra la testa secondo altri.   Un altro sistema di cakra presente nello Yoga dei Nāth è quello dei cinque maṇ

IL FIGLIO DI YOGANANDA E L'INDIGESTIONE DI BUDDHA

YOGANANDA Quando nel 1996, pochi giorni prima del suo centesimo compleanno Lorna Erskine, si abbandonò al sonno della morte, Ben, il figlio, decise di rivelare al mondo il suo segreto i: Yogananda, il casto e puro guru, era suo padre. Ne uscì fuori una terribile, e molto poco yogica, battaglia legale a colpi di foto, rivelazioni pruriginose ed esami del DNA tra la Self Realization Fellowship,la potente associazione fondata dal maestro, e gli eredi di Lorna (che chiedevano un sacco di soldi...). Ad un certo punto vennero fuori altri tre o quattro figli di discepole americane, tutti bisogna dire assai somiglianti al Guru, . E venne fuori una storia, confermata da alcuni fuoriusciti dalla Self Realization Fellowship (e quindi... interessati) riguardante un gruppo di "sorelle dell'amore" giovani discepole che avrebbero diviso con Yogananda il terzo piano del primo centro californiano della S:R:F. Certo, per tornare a Lorna, che se una donna americana bianca e b