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UNA SCIMMIA CHE GIOCA NELLA FORESTA - LA MENTE E LA DIMORA ETERNA

" ....meglio identificare l'io con il corpo che con la mente, perché il corpo può durare uno o due o cento anni, mentre quella che chiamiamo mente o pensiero o conoscenza appare e scompare in perenne mutamento.

Come la scimmia che gioca nella foresta afferra un ramo e poi lo lascia per afferrarne un altro, così quella che chiamiamo mente, pensiero o conoscenza appare e scompare in perenne mutamento, giorno e notte [...]" 



Shakyamuni -"Samyutta Nikaya"



Per indicare la mente gli yogin tibetani usano tre parole diverse: SémsYid eLo (blo).
Tutto ciò che riguarda le capacità diimmaginare, classificare, discriminare, il rimanere impressionati dagli impulsi esterni o al contrario essere distaccati, essere agitati, calmi, distratti ecc. è riferito alla mente Lo che in sanscrito potrebbe essere tradotto con Manas.



yid è invece l'intelletto puro, l'intuizione che arriva come una sciabolata di luce improvvisa, la capacità di deliberare decidere, senza scelta, senza ragionamenti sui pro e i contro...
Sèms è il principio vitale, la caratteristica di tutti gli esseri viventi.
Il principio coscienza che passa di corpo in corpo e di vita in vita per la teoria della reincarnazione, è detto Namshés considerato sinonimo di Séms ma che non gli corrisponde completamente.
Namshés è quello che in india è definito Jiva.
La meditazione serve a comprendere che SémsYid e Lo NON SONO FLUSSI DI ENERGIA o SISTEMI legati all'EGO  o identificati con l'EGO.
Dice Buddha (Samyutta Nikaya):

" ....meglio identificare l'io con il corpo che con la mente, perché il corpo può durare uno o due o cento anni, mentre quella che chiamiamo mente o pensiero o conoscenza appare e scompare in perenne mutamento.
Come la scimmia che gioca nella foresta afferra un ramo e poi lo lascia per afferrarne un altro, così quella che chiamiamo mente, pensiero o conoscenza appare e scompare in perenne mutamento, giorno e notte 
[...] "

Cosa significa?
Gli strumenti dell'essere umano, per lo Yoga, sono corpo/parola/mente, anzi l'essere umano è corpo/parola/mente.
In assenza anche di uno solo dei tre fattori (principi o elementi), che hanno caratteristiche diverse, non si può parlare di "Essere umano".




L'unica Realtà "permanente" per i tibetani è "Kun Ji Namparshespa" la DIMORA o RIFUGIO, che potremmo chiamare anche Brahman, o ālaya.
Kun Ji Namparshespa è un flusso ininterrotto nel quale galleggiano dei "quanti", o meglio dei grumi di "coscienza/conoscenza" che sono i fenomeni.
La vita di un singolo essere umano è uno di questi grumi di coscienza/conoscenza che nel fluire del fiume dell'Essere si incontra per caso con altri grumi di coscienza/conoscenza. 
L'acqua dell'eterno e infinito "Fiume di Prima dell'Inizio",  dal nostro punto di vista muta ad ogni istante perché chi osserva è la mente/scimmia.
Le neuro scienze hanno dimostrato che i processi legati al cervello, alla creazione di sinapsi, alla interpretazioni dei fenomeni, hanno una durata di qualche miliardesimo di secondo.
Se si porta l'attenzione sul corpo e sulla sua evoluzione, che pure sono legati a quei processi, si avrà la possibilità di osservare un fenomeno che si svolge in un tempo, come dice Shakyamuni, calcolabile in anni ("uno, due, cento").
Rispetto al flusso dell'essere sia il pensiero che il corpo sono fenomeniimpermanenti, sono cioè uguali dal punto di vista qualitativo, ma c'è una differenza quantitativa che possiamo utilizzare per "CONOSCERE".
I nostri pensieri, i desideri, le idee NON CI APPARTENGONO, sono come rami, foglie secche o pezzi di plastica che scorrono senza posa nel Kun Ji Namparshespa. 
Cercare le motivazioni profonde, le radici delle nostre idee, considerazioni, decisioni è IMPOSSIBILE, per lo Yoga.
Esaminare i propri pensieri alla ricerca della loro sorgente in una vita precedente, in uno shock infantile, in una conferma di teorie psicanalitiche, filosofiche o religiose, è inutile.
Questo non significa che  sia un esercizio inutile anche per  discipline con altre finalità, ma il fine dello Yoga, l'illuminazione, è la liberazione dai vincoli che ci impediscono di "lasciarci fluire nel fiume dell'Essere e scoprirsi uno con l'Essere" e questi vincoli non sono né soggettivi, né vaghi e indefiniti: sono I CINQUE VELI DELLA DEA, legati ai cinque elementi, ai cinque veleni (le cinque emozioni negative), ai cinque Dhyani Buddha o alle cinque teste di Shiva.
I cinque Veli o vincoli, sono:

1)La limitazione dello spazio
elemento Etere, 
Dhyani Buddha Vairochana (nei veda è figlio di Agni o di Visnu, ha quattro teste come Brahma), 
emozione negativa dell'Ottusità e dell'Ignoranza. 






2)La limitazione della Conoscenza o "Vidya", 
elemento Aria, 
Dhyani Buddha Amogasiddhi, 
emozione negativa dell'Invidia e della Gelosia. 







3) La limitazione della Passione
elemento Fuoco, 
Dhyani Buddha Amitabha (che significa "Luce - Bha - senza fine o senza morte"), 
emozione negativa della concupiscenza e del Desiderio di Possesso.






4) La limitazione del Tempo
elemento Acqua, 
Dhyani Buddha Akshobia
emozione negativa dell'Odio. 







5) La limitazione di Causa-Effetto
elemento Terra, 
Dhyani Buddha Ratnasambhava
emozione negativa dell'orgoglio e della presunzione. 




La meditazione sulla mente o sui contenuti psichici, usata come strumento in molte tecniche che confinano con lo yoga ma che sono legate alla via PSICOLOGICA, come l'ho definita a volte, secondo me è utile solo se, collegandola alla meditazione con seme su fenomeni fisici (yantra, suoni, processi fisiologici....) conduce al samadhi che è uno strumento di risoluzione dei vincoli o Veli della Dea.
Se invece si lavora sui propri pensieri alla ricerca di una ragione, un motivo, una sorgente, il risultato che otterremo sarà un pensiero anch'esso, mutevole alla velocità della luce e sottoposto al velo limitante della CAUSALITA'.
Con la meditazione sui "contenuti psichici" il meditante allena la mente e sviluppa la capacità di penetrare, per così dire alcuni strati di motivazioni, giustificazioni, ecc. ma partire da un pensiero per giungere ad un altro pensiero è come piantare del pane per ottenere del grano da cui produrre pane. 

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