“Il peccato nasce dalla distruzione della concupiscenza, in
quanto da essa nasce avversione per la donna amata, dall’avversione
offuscamento, e da questo, caduto il proprio vajra, uno stato di confusione
mentale continua […]. La mente delusa da tutto ciò, diventa priva di piacere ed
erra per le sei nascite”.
[Nāropā, Iniziazione Kālacakra. A cura di Raniero Gnoli e Gabriella Orofino. Pag. 344. Biblioteca Orientale 1. Adelphi (1994)]..
Avete mai sentito parlare di Nigumā?
Probabilmente no.
Eppure si tratta di una delle più importanti maestre di yoga di tutti i tempi. Il silenzio che copre il suo nome e le sue opere, secondo noi, non è affatto casuale, e le ragioni per cui sia sparita dai manuali di yoga o dalle cronache buddhiste sono compren-sibilissime:
1. Innanzitutto Nigumā era una donna, e, ancora in vita, veniva considerata una yoginī perfetta, una ḍākiṇī del più alto livello [N.d.A. Ci sono vari livelli di ḍākiṇī, il più alto è quello detto in India khecarī, coloro che vagano nell'Etere, le maestre attraverso la cui bocca la conoscenza giunge al discepolo] e l'idea di una maestra illuminata è in contraddizione con la favola, alimentata anche da alcune maestre contemporanee, che lo yoga sia una pratica prettamente maschile.
2. In secondo luogo era l'amante e la karmakāriṇī (ovvero colei che opera i riti) di Nāropā, il grande yogin indiano, maestro di Marpa, a sua volta maestro di Milarepa.
Fu lei, Nigumā, ad aiutare Marpa a tradurre in tibetano "i sei Yoga di Nāropā" ("Na ro pa'i chos drug"). Approfondire la personalità di Nigumā porterebbe a scoprire l'esistenza di lignaggi laici e, tra virgolette "atei" sia nello yoga che nel buddhismo, formati da donne e uomini che praticavano (come è scritto espressamente nel testo tradotto da Gnoli e Orofino che abbiamo citato all'inizio) haṭḥayoga; e la laicità e l'ateismo dello yoga sono ancora argomenti, secondo molti, da non divulgare troppo nel mondo della spiritualità occidentale.
3. Molte delle tecniche di cui Nigumā era maestra, e molti dei rituali che presiedeva non sono compatibili con le nostre credenze, e con le regole sociali e morali della società contemporanea.
Questo è il motivo fondamentale per cui oggi Nigumā - e come lei molte altre maestre - è un'illustre sconosciuta, un motivo che credo sia necessario approfondire.
Avete mai sentito swami, professori universitari o maestri occidentali parlare delle posizioni erotiche del tempio di Khajuraho come di metafore di particolari stati coscienziali?
Avete mai sentito descrivere le statue tibetane raffiguranti focosi accoppiamenti, come il simbolo del dio - o del Buddha - in unione con la sua "paredra"?
Probabilmente vi avranno poi spiegato che la paredra è "l'energia efficiente del dio", la sua śakti - o una delle sue śakti - oppure che lui è la forma e lei il vuoto creativo ecc. ecc.
Sono balle.
Paredra è una delle paroline magiche usate spesso da docenti universitari ed eruditi per togliersi dagli impicci. In teoria la parola sarebbe di genere maschile, pàredro; letteralmente significa "che siede accanto" ed indica in origine un magistrato di secondo piano dell'antica Atene che era seduto, appunto, a fianco del magistrato più importante.
Ai nostri giorni, per slittamento semantico la sia associa a "una divinità il cui culto è associato ad un'altra, generalmente di maggiore importanza".
Per esempio la vergine Neriene che nell'antica Roma veniva celebrata assieme a Marte, è "la sua paredra (pàredro)" perché la sua statua veniva collocata accanto - "che siede accanto..."- a quella del dio della guerra.
Se osserviamo le immagini tibetane che rappresentano, ad esempio, Padmasambhava (riconosciuto come Buddha) e la sua "paredra" Yeshe Tsogyal (riconosciuta come Tārā) non pare proprio che siano seduti l'uno accanto all'altra:
Quando parlano delle rappresentazioni erotiche indo-tibetane, swami, professori universitari e maestri occidentali ci dicono, spesso, un sacco di balle.
Gli yogin e le divinità rappresentate in pose erotiche in migliaia di dipinti su seta, affreschi e sculture stanno facendo esattamente ciò che sembra: sesso.
Lo yoga medioevale è basato principalmente sull'utilizzazione dell'energia sessuale, e le immagini erotiche sono la rappresentazioni di pratiche rituali - che si svolgevano sia in India, sia in Tibet sia in Nepal - durante le quali si concedevano iniziazioni sessuali.
Il linguaggio usato nei manuali di yoga da Nāropā, dalla sua amante tibetana Nigumā e da altri maestri medioevali è assai crudo e lascia poco spazio alla fantasia; tanto che molti commentatori preferiscono usare delle perifrasi o evitare di tradurre alcuni termini o intere frasi.
Capita, per esempio, di leggere che "lo yogin si inchina per onorare il nārāsika della yoginī" dove "nārāsika" indica propriamente la clitoride, ed onorare è un interpretazione, molto personale per cūṣaṇa che significa inequivocabilmente "succhiare" (bhaga cūṣaṇa = cunnilingus").
Probabilmente alcuni, soprattutto quelli istruiti in ambiti religiosi, saranno veramente convinti che i molteplici accoppiamenti rappresentati nell'arte sacra indo-tibetana siano dei simboli di qualche processo psichico o di qualche esperienza sovrasensibile;
altri ancora, soprattutto se di estrazione cattolica, penseranno si tratti di particolari visualizzazioni che hanno lo scopo di rendere saldo lo spirito mediante la resistenza alle tentazioni della carne;
in genere però, riguardo alle tecniche erotiche dello yoga medioevale, si mente - mentiamo - sapendo di mentire.
Il motivo è semplice:
Certe pratiche sono decisamente inammissibili per la nostra società. Ecco ad esempio cosa si alla Pag.195 (P281b) dell'Iniziazione Kālacakra (edizione italiana a cura di Raniero Gnoli e Gabriella Orofino. Adelphi.1994):
“Il maestro dovrà mettere il proprio vajra nella bocca della moglie del discepolo e, bendati gli occhi al discepolo, dovrà suggere la naranāsikā [clitoride] della saggezza; dopo di che dovrà offrire la sua mudrā al discepolo […]”.
Il sesso è vissuto in maniera così morbosa nella civiltà occidentale che è meglio tacere su pratiche del genere, tanto più se certe tecniche appartengono agli insegnamenti di alcuni dei più rinomati maestro indiani e tibetani come Gorakhnath, Nāropā o Milarepa.
D'altro canto il tacere, giustamente secondo noi, su certe pratiche può produrre, a volte, effetti peggiori che il discuterne.
Nel libro che abbiamo citato le pagine che descrivono le pratiche sessuali sono meno di un quinto del totale: la maggior parte del testo parla di filosofia, fisiologia sottile, mantra, e mudrā con accuratezza e profondità, si tratta di manuale preziosissimo per ogni ricercatore e praticante.
Nascondendo le parti più imbarazzanti si rischia, paradossalmente, di metterle in evidenza, avvolgendole di una cortina di mistero e segretezza che finisce per attirare sempre di più l'attenzione dei non "addetti ai lavori" e facendo perdere di vista i brani che parlano di filosofia, fisiologia sottile, mantra, e mudrā .
In aggiunta a questo c'è ilproblema di Internet.
Ai nostri tempi si può avere accesso ad ogni genere di informazione, e se queste descrizioni cadono nelle mani di persone non abbastanza preparate, o completamente a digiuno di yoga e filosofia orientale, i danni potrebbero essere rilevanti.
Più che un'ipotesi la mia è una constatazione: la diffusione del cosiddetto neo-tantra ha portato molti a credere, in buona fede immagino, di essere qualificati per le pratiche sessuali.
Di solito costoro non hanno né la preparazione fisica, né la conoscenza teorica adeguate e, pur non essendo in possesso delle più elementari nozioni dello yoga, hanno reinventato rituali e metodologie di insegnamento creando un polpettone per certi versi affascinante, di tantra, taoismo, ed esoterismo occidentale che potenzialmente potrebbe produrre notevoli danni.
In genere negli ambiti neo-tantrici, lo sviluppo dell'energia sessuale è finalizzato all'atto sessuale in sé, al piacere o, al limite, alla disinibizione.
Niente di male ovviamente, ma si tratta, dal punto di vista yogico, di un errore: lo strumento viene scambiato per il fine.
I neo tantrici di solito non sanno granché di mantra, di mudrā e di fisiologia yoga e chi invece ne sa, in genere mantiene il silenzio sulle pratiche sessuali o, addirittura, ne nega l'esistenza.
Credo che sia loro di cominciare a parlare esplicitamente delle pratiche sessuali dello yoga, per cui mi rivolgo ai miei colleghi insegnanti e agli eruditi.
Lo yoga medioevale è essenzialmente alchimia interiore, si basa sull'accrescimento e l'utilizzazione delle energie vitali e la più potente energia a disposizione dell'essere umano è, appunto, quella sessuale, lo sappiamo tutti.
Smettiamola di far finta che certe tecniche non esistano, parliamone, discutiamone e forniamo il maggior numero di informazioni possibili.
Raccontiamo lo yoga per quello che è - o era - senza edulcorarlo, perché il tacere a volte ha effetti peggiori del rivelare.
.
I RITI EROTICI DI ŚAMBHALA
il Buddha nella forma Kālacakra, dipinto su seta del XVII
secolo conservato presso il Rubin Museum of Art di New York. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/K%C4%81lacakratantra#/media/File:K%C4%81lacakra.jpeg
La prima, scarna, descrizione di Śambhala – che
come si è visto, va probabilmente identificata con Agnideśa, la ricca città buddhista occupata dagli islamici nell’VIII secolo –
appare nel Kālacakratantra, o “tantra di Kālacakra” che qui non indica la
“Ruota del Tempo” - come si afferma comunemente, ma una divinità - una forma di
Buddha per i devoti - che presiede ai rituali erotici [1].
Il testo che, nel suo insieme, appare come un dettagliatissimo manuale
di yoga, descrive i rituali sessuali nella parte denominata dai commentatori “Kālacakratantra segreto”, corrispondente al
III, IV e V capitolo.
- ll IV delle "tecniche di
visualizzazione" (sādhana; tibetano: སྒྲུབ་ཐབས sgrub thabs,);
- Il V della "saggezza conoscitiva"
ovvero dello “yoga in sei rami o ṣaḍaṅgayoga (jñāna; ཡེ་ཤེས, ye shes);.
Per avere un’idea di quali siano le istruzioni
del Kālacakratantra segreto, prendiamo
come riferimento il testo curato da Raniero Gnoli e Giacomella Orofino, e pubblicato nel 1994 da
Adelphi con il titolo “Nāropā, INIZIAZIONE, KĀLACAKRA”.
Leggiamo a pag. 111 (“Il Riassunto
dell’Iniziazione”, 18-22):
18. Toccando il seno della saggezza
si ha un diletto [consistente in] una caduta di bodhicitta. Colui che è
consacrato attraverso il sene, [perché il diletto deriva appunto dal seno], è
il bambino.
19. Conficcando [il vajra] nelle
parti segrete [della saggezza], a lungo si ha un diletto [consistente in [una
caduta di bodhicitta. Colui che è consacrato attraverso le parti segrete,
perché tale diletto deriva appunto dalle parti segrete, è l’adulto.
20. Conficcando [il vajra] nelle
parti segrete [della saggezza] a lungo, si ha sulla cima del vajra, un diletto
fatto di vibrazione. Colui che è consacrato attraverso la conoscenza mediante
la saggezza, perché appunto entrato in [uno stato di] vibrazione [cioè di
tremito] è l’anziano.
21. Si ha poi un gran diletto privo
di vibrazione che nasce per la concupiscenza verso la grande mudrā. Colui che
è iniziato per mezzo della grande saggezza perché [appunto] immerso in uno
stato privo di vibrazione
22. è chiamato col nome di
progenitore, genitore di tutti i protettori […].
Per facilitare la comprensione del
testo specifichiamo che:
- La parola il vajra indica il pene;
- La cima del vajra – detta anche “gemma del vajra” – è il glande;
- Bodhicitta è “l’essenza dello sperma”;
- I termini “saggezza” e “mudrā” indicano la partner femminile.
- I termini “Vittorioso” indica il pene eretto.
- Con le espressioni “parti segrete” o “maṇḍala segreto viene indicata” la parte interna della vagina”;
- La “luna” indica i fluidi genitali sia maschili che femminili;
- Il “diletto” di cui parlano i traduttori è il godimento sessuale;
- Il termine “concupiscenza” che ricorre spesso nella traduzione va inteso nel suo significato di “intenso desiderio di appagamento sessuale”.
- La parola il vajra indica il pene;
- La cima del vajra – detta anche “gemma del vajra” – è il glande;
- Bodhicitta è “l’essenza dello sperma”;
- I termini “saggezza” e “mudrā” indicano la partner femminile.
- I termini “Vittorioso” indica il pene eretto.
- Con le espressioni “parti segrete” o “maṇḍala segreto viene indicata” la parte interna della vagina”;
- La “luna” indica i fluidi genitali sia maschili che femminili;
- Il “diletto” di cui parlano i traduttori è il godimento sessuale;
- Il termine “concupiscenza” che ricorre spesso nella traduzione va inteso nel suo significato di “intenso desiderio di appagamento sessuale”.
Leggiamo a pag. 250, (“La
conclusione dello Yoga”):
“[…] Se […] non si verifica il
piacere, allora bisogna, nel loto, determinare piano piano il suono adamantino (vajradhvani).
Nel caso che non ci sia a disposizione una donna, bisognerà agitare [il vajra)
col loto della propria mano, per aumentare il piacere, non allo scopo di
emettere (pāta). La non emissione del seme (bījātyāga) [comporta] un piacere
che discaccia la paura della morte”.
A pag. 303 (P317a) la
necessità di “agitare il vajra” viene ribadita:
“[…] lo yogin
dovrà meditare, trattenendo il respiro, il fonema AṂ, simile a una linea
bianca diretta verso l’alto. Quindi mantenga eretto di continuo il vajra
giovandosi del loto della sua mano in modo [tuttavia] che la luna non esca. […]
79. […] Questo
metodo […] si accompagna per gli yogin con [varie specie di] diletti.”
A pag. 313, verso 79,
si parla dell’unione con “karmamudrā” come uno dei mezzi per raggiungere la
realizzazione finale e si specifica che karmamudrā - parola solitamente
tradotta con “mudrā dell’azione” - è
una donna, i cui seni e capelli sono causa del piacere concernente il mondo del
desiderio (kāmadhātu):
“[…] l’azione è
costituita da varie attività come baci, abbracci, contatti con le parti
segrete, penetrazione del vajra, ecc. La mudrā caratterizzata da queste azioni
è fonte di un’esperienza (pratyakāriṇī) costituita da un piacere mosso
(kṣara). La parola mudrā deriva da questo, che dà (rāti) gioia (mudam), cioè
uno speciale piacere.”
Frasi
come
“[lo yogin] mantenga eretto di continuo il vajra giovandosi del loto della sua mano”
rendono inutile ogni tentativo di far apparire le pratiche sessuali di Śambhala come metafore di determinati stati di coscienza o simboli di generiche energie cosmiche.
“[lo yogin] mantenga eretto di continuo il vajra giovandosi del loto della sua mano”
rendono inutile ogni tentativo di far apparire le pratiche sessuali di Śambhala come metafore di determinati stati di coscienza o simboli di generiche energie cosmiche.
Il Kālacakratantra descrive, senza ombra di dubbio, una serie di
tecniche che riguardano l’aspetto sessuale e l’utilizzazione del
piacere ai fini dell’illuminazione, ma si spinge oltre descrivendo una serie di
riti e prescrizioni che stridono con l’idea che abbiamo, ai nostri giorni, del
buddhismo tibetano.
A pag.
166 (P27oa) del testo leggiamo un verso misterioso:
“Custodirò le cinque ambrosie e l’insieme degli aggregati e
dei sensi, ossia GO KU DA HA NA.”
Che
viene spiegato nella nota [3] sempre di pag. 166:
“Le sillabe GO KU DA HA NA alludono alle cinque specie di
carni usate ritualmente, cioè vacca (GO), cane (KUkkura), cavallo (DAmya),
elefante (HAstin)[2],
uomo (NAra). Si veda per codici analoghi Snellgrove 1959, vol.I, p. 86; 1987,
p. 161. Le cinque carni sono chiamate tecnicamente pradīpa (letteralmente:
“lampade”, in senso metaforico “stimolanti” […].”
Per chi,
al giorno d’oggi, creda che gli yogin in genere e i buddhisti in particolare,
siano vegetariani la lettura del Kālacakratantra è sconvolgente: il consumo di
carne, spesso associato all’assunzione di bevande alcoliche e sostanze
psicotrope pare essere la norma, ma le sorprese non finiscono qui.
Proseguendo nella lettura si scopre
– sempre alla nota[3] di pag. 166 – che:
“Le cinque ambrosie sono escrementi, urina, sangue, seme e carne umana.”
“Queste sostanze segrete erano solitamente confezionate in
pillole.”
Gli
“abitanti di ŚAMBHALA”, in buona sostanza erano carnivori, facevano riti in cui
assumevano sperma, sangue, feci e urina ed erano tutt’altro che casti.
Quello dell’astinenza sessuale dei
monaci buddhisti e degli yogin è un altro mito molto radicato sia
nell’Occidente moderno, sia nell’Oriente occidentalizzato.
In realtà, almeno fino al XIX
secolo espressioni come “castità” e “non desiderare la donna” non avevano
affatto il significato che gli attribuiamo.
Il Kālacakratantra a tal proposito è
assai esplicito (pag. 166, C14):
“Stando nella famiglia del
chiaro loto: dirigendomi verso donne convenienti e non convenienti, nel toccare
il [loro] chiaro loto, praticherò il voto della castità al fine di accumulare
buona condotta.”
Sull’interpretazione
di questo brano ci sono ben pochi dubbi: nel testo originale viene usata
l’espressione varṇāvarṇābhicāraiḥ, con il
verbo abhigam che indica l’azione
di avvicinarsi ad una donna con intenti sessuali. Varṇāvarṇā, che
viene tradotto con “convenienti e non convenienti” fa riferimento all’avere
rapporti sessuali sia con donne non sposate, della stessa casta, di alto
livello spirituale e morale, sia con donne impegnate, di caste diverse e di
scarso livello spirituale e morale.
Per voto
di castità – così come per astinenza, continenza ecc. - si intende invece
l’intrattenere rapporti sessuali senza emissione di sperma.
I motivi
per cui non si deve eiaculare sono spiegati nelle frasi immediatamente
successive (pag. 166-167):
“Perché [tutte] le creature ottengano la liberazione, stando
(sthitaḥ) nella famiglia generatrice dei Vittoriosi, ossia nel vajra con una
sola punta (ekaśukavajra), svilupperò il pensiero dell’illuminazione
(bodhicittam), cioè la realizzazione della grande mudrā […].”
Ekaśukavajra – vajra con una sola
punta – indica senza ombra di dubbio, il pene in erezione.
Il voto
di castità va quindi inteso come una serie di tecniche finalizzate a mantenere
l’erezione il più a lungo possibile.
Per ciò
che riguarda le osservanze – non uccidere, non rubare, non desiderare la donna altrui
– l’interpretazione che ne dà il testo è sorprendente (pag. 182, P277a):
“Il Beato espone adesso l’insegnamento del dharma […] con le
parole si privi della vita, ecc. […] Il fatto che […] il Beato possa uccidere
si riferisce a coloro che abbiano commesso i cinque peccati di retribuzione
immediata[3],
abbiano danneggiato la Legge del Buddha, abbiano infranto gli impegni (samaya)
[…].”
Il che,
in altre parole, significa che un illuminato ha potere di vita e di morte sui
suoi discepoli.
Il testo continua (pag.
183), parlando dei casi in cui chi abbia compiuto degli atti criminosi, ma in
seguito abbia compiuto azione virtuose non deve essere condannato a morte e
che:
“Analogamente la menzogna sarà detta per avvantaggiare gli
altri e, a questo scopo, si potrà pure rubare e prendere la donna altrui. L’uso
degli impegni (samaya), bevande inebrianti ecc., la frequentazione di donne
convenienti e non (varṇāvarṇābhigamana) [è diretta allo stesso fine].”
Il
concetto viene ribadito poche righe dopo:
“[…] La menzogna dovrà essere detta per aiutare coloro che
sono caduti nei cattivi sentieri, non per il proprio interesse; il furto dovrà
essere compiuto per impedire a taluno di cadere nei destini degli spiriti
famelici (preta) e non per il proprio interesse; l’appropriarsi della donna
altrui per impedire a taluno di cadere nei destini degli animali e non per il
proprio interesse; l’osservanza degli impedimenti, cioè delle cinque ambrosie
[ovvero assumere escrementi, urina, sangue, seme e carne umana] per distruggere
il demone dell’orgoglio di casta. Similmente, per mandare a buon fine la mudrā
dell’azione (karma mudrā) non si dovranno disprezzare le donne fuori casta
(ḍombyādyāḥ).”
Procedendo
nella lettura si arriva al capitolo delle “Iniziazioni Superiori” nel quale i
riferimenti alle pratiche sessuali- sia eterosessuali sia omosessuali,
sono, se possibile
ancora più espliciti:
Pag.
188, 279 a:
“Il toccare il seno della saggezza […] è la iniziazione della
coppa. Grazie alle parti segrete si ha l’iniziazione delle parti segrete, con
la visione e la [de]gustazione della luna. Nell’iniziazione della conoscenza
della saggezza […] il maestro dovrà dare la mudrā al discepolo prendendo a
testimone il Vittorioso.”
“[Il maestro] possiederà quindi una bella giovane, fornita di
tutti gli ornamenti, simile a oro fuso, di dodici anni, mestruata, per mezzo
della gemma del [suo] vajra essenziato di saggezza […] e, conosciuta la purità
del discepolo, gli metterà in bocca il suo stesso vajra fornito di seme.”
Pag. 188, P279b:
“Giovinette spaurite, mentalmente confuse, insincere, soggette
ad altri, malate, gravide […], insensibili […], non integre degli arti […]
devono essere evitate. […] Debbono essere […] devote al Buddha, capaci di
tenere [segreti] gli impegni [samaya] del maestro.
Pag. 188
– 189, C22:
“[…] Per celebrare l’iniziazione […] conviene evitare una
mudrā, cioè una giovinetta, fino a dieci anni compiuti.
[…] Questa giovinetta, vergine […] può essere dal discepolo
vista, toccata, adorata [ma nulla più]. Abbracciata può essere invece una
giovinetta cominciando dagli undici anni fino ai venti. […] Quelle che hanno
passato i venti […] sono le dee dell’ira. […] manifestazione degli spiriti
maligni sono le donne dai trentuno ai trentotto compresi. […].”
Pag. 189
- 190, P280a:
“Manifestazione dei demoni sono le donne dai trentanove ai
quarantasei compresi.
Le mudrā fino ai quarantasei anni sono utilizzabili per la
meditazione.
[…] Le quattro e le sei [ovvero le giovani dagli undici ai
venti anni] sono fonte di un piacere identico”.
Pag.
189- 190, “Le tre iniziazioni superiori”:
1) Iniziazione
della coppa.
“[…] Innanzitutto il discepolo dovrà offrire al maestro una
bella giovinetta […] di dodici anni […] già completamente matura (paripācitā)
[…] il maestro farà quindi toccare […] il seno della sua mudrā.”
2) Iniziazione
delle parti segrete.
“Adorate le parti segrete [il maestro] offrirà l’ambrosia al
discepolo e gli farà vedere il loto della sua mudrā. E con ciò viene compiuta
l’iniziazione [… con queste due cose, cioè la [de]gustazione della luna [seme]
e lo sguardo.
3) Iniziazione
della conoscenza della saggezza.
“[…] [Il maestro] offrirà la mudrā al discepolo, affinché
egli l’abbracci e si unisca con lei. [Ciò fatto] il maestro prenderà a
testimone il Vittorioso […]”.
Nel
capitolo “Le tre iniziazioni superiori-superiori” (pag. 191 e successive) viene
descritto dettagliatamente il complicato rito sessuale durante il quale il
maestro concederà le tre iniziazioni. Il discepolo dovrà offrire dieci giovani
ragazze al maestro, una “che rappresenta Sabdavajrā” verrà denudata e si
congiungerà con il maestro, le altre nove, “nude con i capelli sciolti, con un
coltello e un cranio in mano” saranno disposte in cerchio
nella cosiddetta “ruota delle yoginī”, dopo di che avranno
inizio le pratiche erotiche del discepolo.
Pag.
195, P281b:
“Il maestro dovrà mettere il proprio vajra nella bocca della
moglie del discepolo e, bendati gli occhi al discepolo, dovrà suggere la
naranāsikā [clitoride] della saggezza; dopo di che dovrà offrire la sua
mudrā al discepolo […]”.
Pag.
195, P282a, C25:
“Se le mudrā sono dieci, il maestro dovrà offrire
aldiscepolo tutte quelle che questi riuscirà a possedere, da due periodi di
ventiquattro minuti (ghaṭikā) dopo la mezzanotte, fino al sorgere del sole.”
Dopo la
conclusione del rito il maestro dà al discepolo una serie di istruzioni dalle
quali si comprende che il termine bodhicitta, solitamente inteso come “mente
di illuminazione” o “mente del risveglio”, indica invece l’essenza del seme
maschile.
Pag.
196:
“[…] Il bodhicitta dev’essere ben custodito […]. Messo il
liṇga nella vulva, occorre non emettere il seme e visualizzare l’immagine
(bimba) del Buddha. Grazie [al bodhicitta] così custodito, si verifica qui in
questa stessa nascita la condizione di perfetto risvegliato […].
Grazie [al bodhicitta] così custodito, è messa in moto […] la
ruota della Legge. […] Se per debolezza di mente il bodhicitta viene emesso
nella vulva, allora [quanto di esso rimane] fuori dal loto giova raccoglierlo
con la lingua […]”
Il Kālacakratantra è un manuale di yoga dedicato
in gran parte alle tecniche erotiche e descrive il piacere derivante dall’unione sessuale come la via regina per
l’illuminazione, la mancanza di desiderio, al contrario, viene considerata come
la radice del dolore.
Ecco come,
in una delle sezioni conclusive, denominata “LA CRITICA DELLE PASSIONI E LA
NATURA DEL SUPREMO IMMOTO” (pag.141 e seguenti) si definisce la “mancanza di
concupiscenza” come il più grande dei peccati (Pag. 344 – 345):
134. “Come il ferro, penetrato dall’elisir, non torna alla
natura di ferro, così la mente, penetrata dal piacere, non torna alla natura
del dolore.”
135. “Non esiste peccato maggiore della mancanza di
concupiscenza, non esiste merito maggiore del piacere
[…].”
“Il peccato nasce dalla distruzione della concupiscenza, in
quanto da essa nasce avversione per la donna amata, dall’avversione
offuscamento, e da questo, caduto il proprio vajra, uno stato di confusione
mentale continua […]. La mente delusa da tutto ciò, diventa priva di piacere ed
erra per le sei nascite”.
“Il peccato nasce dalla distruzione della concupiscenza,
perché è maturato dal venir meno della compassione (karuṇā) […] perché ne
deriva avversione, cioè distruzione di affetto (preman) per la donna amata […].
La compassione è caratterizzata da un aumento di concupiscenza, la benevolenza
dalla scomparsa dell’odio, la gioia dalla dissoluzione dell’offuscamento e
l’equanimità dal piacere immoto […].
“La compassione è unita col [mutuo] sguardo, la benevolenza
con l’abbraccio, la gioia con il contatto della donna, l’equanimità con il
piacere immoto che si verifica con l’unione.”
139. “[…] Dalla non concupiscenza nasce il dolore, dal dolore
nasce, per gli uomini, la rovina degli elementi, e da essa rovina, come è stato
tramandato, la morte.”[4]
[1]
Kālacakra viene descritto in piedi, con i piedi
che poggiano su un fiore di loto. Il suo colore è blu, possiede quattro volti:
quello che indirizza lo sguardo semi-irato in avanti è nero; quello rosso, passionale,
è alla sua destra; quello posteriore, con sguardo equanime è giallo; alla sua
sinistra si pone il volto pacifico di colore bianco. Kālacakra possiede
ventiquattro braccia, dodici per lato: quattro superiori di colore bianco,
quattro mediane di colore rosso e quattro inferiori di colore blu. Le ultime
braccia di colore blu stringono la paredra mistica, Viśvamāta (སྣ་ཚོགས་ཡུམ, sna
tshogs yum), questa di colore giallo, anch'essa dotata di quattro volti:
giallo in avanti, bianco alla sua destra, blu dietro e rosso alla sua sinistra.
[2]
DA viene inteso talvolta con elefante (DAntin) e HA come cavallo (Haya).
[3]
I “cinque peccati di retribuzione immediata”
sono:
Uccidere
la madre;
Uccidere
un santo buddhista;
Uccidere
il padre;
Causare
divisione nella comunità monastica;
Far
sanguinare un Tathāgata, ovvero un buddha.
[4]
È
evidente che gli insegnamenti del Kālacakratantra sono in aperto contrasto con la morale cristiana:
Per i cristiani la concupiscenza, considerata come
“predominio della materia sullo spirito”, è uno dei segni del peccato originale
o, addirittura – come affermano i protestanti – il peccato originale stesso.
Per gli yogin tantrici è invece la mancanza della
concupiscenza a causare il dolore e la sofferenza dell’essere umano.
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