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YAMA E NIYAMA, I DIECI COMANDAMENTI HINDU - MA SARÀ VERO?





Yama e Nyama?
Lo sappiamo tutti cosa sono, noi insegnanti lo ripetiamo quasi ad ogni lezione: Yama e Nyama sono “i Dieci Comandamenti Hindu”, i “Cinque No e i Cinque si”, “i principi etici e morali universali” ecc.
Ma sarà verò?

Cioè: lo ripetiamo perché “lo sappiamo” o perché ce lo hanno detto i nostri maestri, (fisici o di carta che siano)?

Siamo veramente sicuri che Patañjali, si sia preoccupato di indicarci, in quello che appare un manuale pratico di yoga, una serie di precetti morali?

Dopo aver studiato un po’ di materiale sullo yoga medioevale non ne sono più tanto sicuro, e così. Per curiosità, sono andato a controllare sul dizionario sanscrito Monier-Williams ogni singolo termine, ed ho confrontato le definizioni con quello che sto imparando – o che già sapevo, sullo yoga medioevale.

Sicuramente, non essendo un sanscritista, mi sarà sfuggito qualche dettaglio che altri considereranno basilare, ma c’è la possibilità che le mie osservazioni/scoperte possano comunque avere un qualche interesse per praticanti ed eruditi.

Ovviamente si tratta di una provocazione, ma mi piacerebbe discuterne con chi ne più di me.

Cominciamo con i cinque “Nyama” ovvero i “cinque Sì”, che secondo me non sono precetti morali, ma precise tecniche operative comuni allo yoga medioevale indiano, e alle discipline marziali indiane.
Patañjali ce li presenta nel versetto 32 del secondo libro:

शौच संतोष तपः स्वाध्यायेश्वरप्रणिधानानि नियमाः ॥३२॥
Śauca saṁtoṣa tapaḥ svādhyāy-eśvarapraṇidhānāni niyamāḥ 32

Il primo termine che incontriamo è Śauca che solitamente viene tradotto con “purezza”, “purificazione”, “pulizia interiore”.
Se non sbaglio Vivekanandain “Inspired Talks” parla di “evitare la malizia”.
Vediamo cosa dice il Monier Williams:
Śauca = n. evacuation of excrement, cleanness, purity, purification (especially from defilement caused by the death of a relation);

Le definizioni sono ovviamente per ordine di importanza e pertinenza, per cui Śauca significa innanzitutto “fare la cacca”, e, guarda caso, se si cerca nei testi di āyurveda troveremo facilmente delle pratiche per “liberare degli intestini, chiamate appunto Śauca. Cosa vorrà dire quindi Patañjali? 

Che non bisogna fare pensieri maliziosi o che bisogna ripulire gli intestini prima di certe pratiche?

Il secondo termine è saṁtoṣa, che viene tradotto in genere con “accontentarsi”, “appagamento”, “contentamento” ecc. ad indicare che lo yogin deve essere felicie di ciò che ha, senza desiderare altro e deve rimanere se stesso nel piacere e nel dolore ecc. ecc.

Monier - Williams lo traduce così:

Saṁtoṣa = m. (in fine compositi or 'at the end of a compound' f(ā-).) satisfaction, contentedness with (instrumental case or locative case; ṣaṃ-kṛ-,"to be satisfied or contented");

Quindi il significato letterale è quello che si usa di solito nelle scuole di yoga, ma…c’è un dettaglio, secondo me non irrilevante:

Nel gergo dello Yoga medioevale Saṁtoṣa è una tecnica operativa che consiste nel mantenere in equilibrio “Agni e Soma”, ovvero i principi che scorrono nel canale di destra del corpo – che per lo Ṣaḍaṅgayoga conduce “Fuoco e Terra” – e nel canale di sinistra – che, sempre per lo Ṣaḍaṅgayoga conduceAcqua e Aria” – mediante tecniche di respirazione, di visualizzazione e assunzione di determinate sostanze[1].

Il terzo termine è tapas che viene inteso sia come “austerità”, intesa sia come tendenza al sacrificio dei desideri e delle passioni, sia come “ardore e e “fervore realizzativo”.

Secondo Monier Williams invece

Tapas= warmth, heat (pañca tapāṃsi-the 5 fires to which a devotee exposes himself in
the hot season, viz. 4 fires lighted in the four quarters and the sun burning from above;

Nello Yoga medioevale Tapas indica soprattutto una pratica precisa che consiste nel meditare al centro di una specie di Maṇḍāla formato quattro o cinque fuochi seduto in posizione di meditazione o in equilibrio su una sola gamba (posizione dell’Albero”).

Il quarto Niyama è Svādhyāya, che viene inteso come “studio e conoscenza di sé” (tipo “conosci te stesso e conoscerai il mondo”), ma anche qui Monier Williams non è d’accordo:

Svādhyāya = m. reciting or repeating or rehearsing to one's self, repetition or recitation of the veda- in a low voice to one's self;

Si tratta di una pratica assai comuni che consiste nel ripetere mantra e versetti “borbottando”. 

Ci sono tre tecniche di recitazione dei mantra, di efficace decrescente:
-          A voce piena (o cantata);
-          Borbottando;
-         Mantra mentale;

Possibile che Patañjali ci stia consigliando di “borbottare” mantra e versetti?

Il quinto Niyama è quello più citato da coloro che seguono la “via della devozione”, il Bhakti marga: Īśvarapraṇidhāna ovvero “abbandono alla volontà divina” o abbandono al Signore”.

Il solito Monier-Williams scrive:

Īśvara = mfn. able to do, capable of (with genitive case of Vedic infinitive mood, or with common infinitive mood), liable, exposed to; mf(ī-). master, lord, prince, king, mistress, queen mf(ī-). master, lord, prince, king, mistress, queen, husband, the number "eleven";

Praṇidhāna = laying on, fixing, applying (also plural), access, entrance, exertion, endeavor;

Letteralmente praṇidhāna significa “steso su” e fissato, per cui per allargamento semantico “abbandono” ci potrebbe anche stare….

 Solo che nello yoga medioevale esiste una tecnica meditativa di “fissaggio dell’immagine di Īśvara” o “fissaggio del corpo di Buddha” o “fissaggio dell’immagine universale” che consiste nel cogliere “l’undicesimo segno” - Īśvara significa anche undici” – che appare in meditazione e “fissarlo nella mente”.

Si legge nei testi del Kālacakratantra che sto studiando in questo periodo[2]:

“24. Di questa [realtà lo yogin dovrà mettere in atto la realizzazione con apparizioni inconcepibili,ossia i segni del fumo ecc., immagini della saggezza, simili all’etere,”

“25. Trascendenti l’essere e il non essere, esperienze testimoniate dalla sua propria mente, completamente prive di aggregati materiali[…].”

“26. [Queste immagini sono] il fumo, il miraggio, la lucciola, la lampada, la fiamma, la Luna, il Sole, la tenebra, il lampo, il grande bindu, l’immagine universale, chiarolucente.”

27. Con gli occhi mezzo chiusi e mezzo aperti, quell’immagine che appare nel vuoto, come un sogno […] lo yogin dovrà sempre meditarla. […] Questa immagine […] lo yogin dovrà […] consolidarla con quel membro dello yoga chiamato […] dhyāna.”

In conclusione: io non sono mica così tanto convinto Yama e Niyama siano i “dieci comandamenti Hindu”, anzi,ho il dubbio che siano indicazioni di tecniche operative “fisiche” molto precise.

Ovviamente il mio è un ragionamento da ignorante . non conosco il sanscrito – ma mi piacerebbe sentire il parere dei praticanti e degli eruditi,
Un sorriso,
P.




[1] Vedi: David Frawley, “Soma in Yoga and Ayurveda”, Pubblished by Motilal babarsidass Pubblishers Pvt. Ltd, New Delhi, India (2013). ISBN 9788120836303
[2] Vedi: Nāropā, Iniziazione Kālacakra. A cura di Raniero Gnoli e Gabriella Orofino. Pag. 253 e seguenti. Biblioteca Orientale 1. Adelphi 1994.

Commenti

  1. Dear Mr. Proietti,

    Maybe you are interested in that when certain tantric buddhist rituals explained by the masters who are intend to avoid to hurt the feelings of their ancient rivals (?) they often call the subjugated being Isvara - a polite expression for Shiva. I think in this way they was able to re-channel the unnamed great 'cosmic' power behind the name. One or more new tap on an infinite wine barrel :).
    All the best

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