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IL SAMADHI IN PATANJALI

Le disquisizioni tecniche, storiche o filologiche sui testi base dello Yoga, spesso annoiano. Un tempo, durante gli stage e le lezioni, parlavo spesso delle scritture, dei significati letterali delle parole, delle loro interpretazioni in base alla fantasiosa etimologia indiana (Nirukta),  ma ho scoperta che la maggior parte degli ascoltatori si annoiava, si distraeva. finivo per fare inutili monologhi che puzzavano di erudizione. Col tempo la percentuale  di chiacchiere più o meno erudite è diminuita fino ad arrivare al minimo indispensabile. Lo yoga è essenzialmente pratica. Meglio, mille volte meglio  far sperimentare uno stato psicofisico anziché passar le ore a parlare di sesso degli angeli e a cercare perifrasi ad effetto per risvegliare un auditorio semiaddormentato. Pure ogni tanto credo sia  bene puntualizzare qualche concetto di base,  rinfrescare un po' i fondamentali, che a lungo andare si rischia di dimenticare chi siamo e dove si va a parare. Un sorriso, 

NON RIFIUTARE MAI L'OFFERTA D'AMORE: COSI' DICE LA LEGGE

Stamattina, appena sveglio, ho aperto a caso una raccolta di Upanishad.  Un giochino che facevo spesso, tempo fa.  Ho aperto il libro e poi, ad occhi chiusi, ho puntato l'indice.  Stamattina ho trovato il canto d'Amore della Chandogya Upanishad (Tredicesimo Khanda).  Ho tradotto io, canto d'Amore, in realtà si chiama Sāman Vāmadevya.  So che le disquisizioni sui termini sanscriti e sui loro vari significati annoiano parecchio e da un po' di tempo, scrivendo di yoga, tento di parlare come mangio (esercizio di purificazione dai mirabili effetti, che consiglio vivamente...), ma in questo caso una disgressione piccola piccola, priva di pretese, forse potrebbe avere una sua qualche utilità.  Sāman  significa melodia, abbondanza, felicità, tranquillità.  Vāmadevya , se non sbaglio, vuol dire "riferito a  Vamadeva " che dovrebbe essere una delle cinque facce di Shiva, quella dolce e poetica che i rishi associavano all'Acqua e gli yogin tibetani al vento e

YESHE TSOGYAL

FUI LINGUA PER COLORO CHE NON AVEVANO VOCE "[....]Fui lingua, per coloro che non avevano voce,  così li ho condotti alla gioia.  E a coloro che temevano la morte concessi L'immortalità,  così li ho condotti alla gioia [...] E mi feci acqua e fuoco per lenire il calore bruciante e il freddo che gela dei perduti negli inferi. Mi feci cibo e acqua per i fantasmi affamati è Libertà dall'idiozia,  regola per le bestie prive di parola, Così li ho condotti alla gioia[...] Quegli esseri nati in terre selvagge, io li ho trascinati dalla barbarie alla gioia. Fui tregua dalla guerra e guerra per i demoni, così li ho condotti alla gioia. Protessi gli dei dalla caduta, così portai loro gioia. Ovunque vi sia spazio,ecco i cinque elementi. Ovunque vi siano cinque elementi, ecco le case degli esseri viventi.  Ovunque vi siano esseri viventi, ecco il karma e le impurità. Dovunque vi siano impurità, la mia compassione.  Io sono ovunque vi sia necessità degli esseri viventi.

L'ONDA E L'ACQUA

"L'anima e il cuore che hanno imparato a vedere non possono permettersi di abbassare lo sguardo" Givaudan-Meuros   La dimora di Tāra è un castello di diamante, con otto colonne, quattro porte e quattro archi che si aprono su quattro terrazze.  Nelle stanze risuona il suo mantra “Oṃ Tāre Tuttāre Ture Svāhā”.  Se si va a tradurre si rimane un po' delusi:  “Tāre” è il vocativo di Tara, “OH TARA!””  "Tu" sta per “pregare qui, ora”, per cui Tuttāre diventa "O TARA TI PREGO, QUI,  ORA”.  "Ture" è il vocativo di "Tura", che significa "veloce, disponibile, pronta”.  “Svāhā” sta per omaggio, preghiera.  Oṃ Tāre Tuttāre Ture Svāhā tradotto in italiano suona più o meno così:  “OM! OH TARA! O TARA TI PREGO QUI ED ORA. A TE, LA VELOCE, RENDO  OMAGGIO”.  Non è bellissimo, diciamoci la verità, ma in ogni mantra ci sono suoni e significati  nascosti.  “Ta “o “Tām”, ad esempio è il bija mantra di Tārā, il suo “suono seme”.  “Ra“o “Ram” è il suon