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ŚIVA, AMON E IL RE DEI CERVI

Il calderone di Gundestrup è un manufatto celtico datato alla fine del II secolo a.C, ritrovato in Danimarca ma originario, probabilmente, del basso Danubio (odierna Bulgaria) La tecnica di lavorazione è riconosciuta come tracia, ma i motivi sono soprattutto celtici. Forse è finito a nord portato da chi fuggiva dalle invasioni romane. Nella foto è rappresentato il dio Cernunnos. Il suo nome deriva dalla radice proto-indoeuropea krno da cui derivano il latino cornu, l'antico irlandese cern, arrivando fino all'italiano corno/corna. Cerno-on-os sarebbe quindi una divinità maschile cornuta. Viene a volte definito “Signore degli animali e delle forze della Natura”. Questo invece è uno dei cosiddetti sigilli della Valle dell'Indo: Questi sigilli sono stati rinvenuti nei siti di Harappa e Mohenjo Daro (Pakistan) e sono datati dal 2300 al 1750 a.C. In questo qui è rappresentato secondo alcuni studiosi, Śiva Paśupati. Śiva lo conosciamo tutti, ma in questo ca

LO YOGA E LA TENDENZA ALL'INFELICITÀ

मैत्री   करुणा   मुदितोपेक्षाणांसुखदुःख   पुण्यापुण्यविषयाणां   भावनातः   चित्तप्रसादनम्   ॥३३॥ maitrī karuṇā mudito-pekṣāṇāṁ-sukha-duḥkha puṇya-apuṇya viṣayāṇāṁ bhāvanātaḥ citta-prasādanam  ॥ 33 ॥ [1]   33.  La purificazione della mente si realizza coltivando la cordialità, la compassione, la gioia e l’indifferenza nei confronti delle esperienze che provocano piacere o dolore, successo o fallimento. Yoga Sūtra I,33   Secondo Patañjali – e Buddha - per purificare la mente e avviarsi nel sentiero dell’illuminazione, è sufficiente coltivare la "Convivialità", la "Compassione", la "Gioia" e la tendenza a rimanere se stessi nel successo e nel fallimento. Non mi pare che siano istruzioni troppo complesse, anzi si tratta di un insegnamento chiaro, semplice e, soprattutto, alla portata di tutti. Ma allora perché non siamo tutti illuminati? Perché è così arduo imboccare, con sincerità e spontaneità, la via della Gioia e dell'Amore che n

TAPAS, L'ARDORE

TAPAS, L’ARDORE Se il sole ci mostra il mondo senza pudore, è con discrezione che i ricami oro e argento delle stelle ci portano fuori dalle tempeste, e addolciscono il vuoto angosciante della notte. Troppo caldo il sole per fartelo amico, neppure puoi guardarlo negli occhi. Con le stelle è diverso: godi della loro danza, sempre nuova, le saluti prima dell'alba, come un Romeo sorpreso dal canto dell'allodola, e dopo il tramonto le ritrovi lì, appese al cielo. La meditazione non è altro che farsi spettatori di sé, guardarsi, come si guarda il campo scosso dal vento o l'onda che si spinge fino in cielo per abbracciar la Terra. Śiva, straziato dalla morte di Satī, immobile nel ghiaccio e nella pietra per centinaia, migliaia di anni non aveva fatto altro che “vedersi visto”, poi il suo cuore cominciò a nutrirsi della nostalgia delle stelle così come l'onda si nutre di quella della Terra. E il suo corpo si rammentò della danza della Vita, la “Sua” danza, così si

IL SACRIFICIO DI SATĪ

"Il Sacrificio di Satī", tratto da "Le dieci Forme della Dea", libro in preparazione. Dopo l’apparizione di Uṣā,  Brahmā,  il Demiurgo, aveva creato una moglie per il figlio Dakṣaprajāpati, Prasūti, e aveva affidato loro l’incarico di generare delle spose per gli dei, i guardiani delle direzioni e i saggi veggenti. Fu così che Kama si sposò con Rati, la Passione, Agni con Svāhā, l’Offerta, e Candra, la Luna, con le 27 stelle sorelle. Il Cosmo aveva ormai assunto la forma che ci è oggi familiare, ma giaceva in se stesso, immobile e inutile come un vascello nel deserto. Per far girare le ruote della Vita bisognava che Śiva uscisse dalla sua Quiete perfetta, arrendendosi alla Legge del desiderio. Ispirata da Brahmā, Prasūti pregò, insieme al marito, la Grande Madre dell’Universo, la implorò di scendere nel suo ventre in forma di donna, la supplicò di donare il cuore al Naṭarāja. - “ E sia!” - disse la Dea – “ ma ricordate: niente e nessuno dovr

HAṂSA, L'OCA COSMICA

I versi dei Veda, dei Purāṇa, del Mahabharata sono poesia e scienza insieme, il che può forse apparire strano per noi abituati, erroneamente, a pensare che la scienza sia una roba fredda, razionale in antitesi con la passione creativa dell'artista. La poesia è rivelazione e può permettersi, oggi come cinquemila anni fa, di viaggiare oltre i confini della logica, in quegli spazi infiniti ai quali la mente, attonita, non può che arrendersi. Una delle immagini poetiche più ricorrenti nei testi vedici è quella del Cigno [1] immerso in un fiume o in un Oceano di latte (vedi ad esempio Atharva Veda, XI,4,21 ). Significa tante cose il Cigno: è una delle costellazioni più luminose della Via Lattea (l'Oceano di Latte!), sicuro riferimento per gli antichi naviganti; è un asana dello Haṭhayoga; è l'uomo universale (il “Puruṣā”) ed è il Brahmān, l’Assoluto. Ma è anche la paura, l'ansia di incompiutezza che spinge l'essere umano a cercare delle stelle con cui