Alcuni maestri, parlando dei Guna, li descrivono come tendenze, dando loro una qualità. Tamas ad esempio sarebbe la tendenza all'immobilità, alla stasi ed è visto come qualcosa di negativo. Rajas sarebbe la tendenza all'azione, vera forza motrice della manifestazione e,per questo, causa di dolore. Sattva sarebbe il principio puro e onnipervadente, la fonte cui lo yogin dovrebbe tendere ai fini della liberazione. In realtà i guna sono per lo yoga, i "fili" (questo significa la parola Guna) con cui viene tessuta la stoffa della realtà. Pensare che l'uno sia positivo e l'altro negativo, o che si debba tendere verso uno anziché verso l'altro significa interpretare la filosofia indiana solo da un punto di vista dualistico.
Anziché esaminare i singoli Guna, occorrerebbe, a i fini di una ricerca filosofica, cercare di comprendere cosa sono i loro "stati costitutivi" descritti da Patanjali negli Yoga Sutra.
Cominciamo col dire che lo yoga è la pratica dei Samadhi, e che i samadhi sono diversi "momenti" di percezione dei cinque elementi fondamentali della natura
Vitarka o savitarka samadhi è la comprensione dell'unità della manifestazione grossolana rappresentata/percepita dalla parte "tamasica" degli elementi, ovvero, per parlare del corpo, gli organi fisici di azione e percezione:
1) Spazio = Bocca, Orecchio 2) Aria = Mano, Pelle. 3) Fuoco = Piede, Occhio. 4) Acqua = Organi Genitali, Lingua. 5) Terra = Ano, Naso.
Vicāra o savicāra samadhi è la comprensione dell'unità della manifestazione sottile rappresentata dalla parte "rajasica" dei cinque elementi, ovvero:
1) Spazio = Azione del Parlare. 2) Aria = Azione dell'Afferrare. 3) Fuoco = Azione dell'Andare. 4) Acqua = Azione del generare. 5) Terra = Azione dell'evacuare.
Ānanda o sānanda samadhi è la comprensione dell'unità della manifestazione sottile rappresentata dalla parte "sattvica" dei cinque elementi, ovvero:
1) Spazio = perceszione del suono 2) Aria = percezione tattile. 3) Fuoco = percezione della luce/forma 4) Acqua = percezione del sapore 5) Terra = percezione dell'odore.
Asmitā o sasmitā samadhi, è, infine la comprensione di ciò che è manifestato e manifestabile, ovvero la percezione dei cinque elementi qualificati (saguna) solo potenzialmente.
Ognuno di questi stati percettivi viene associato ad uno dei quattro stati costitutivi dei गुण guṇa.
Si legge in yoga sutra II,19:
"visheshavishesha lingamatralingani gunaparvani"
Nella traduzione di Raphael, ed. Ashram Vidya:
"Gli stati costitutivi dei guṇa sono: lo specifico, il non specifico, il differenziato e l'indifferenziato".
Esaminiamo le singole parole con l'aiuto del dizionario: विशेष viśeṣa significa: "speciale", "peculiare", "specifico", "varietà", "distinzione", "specie".Con la a privativa, aviśeṣa, significa: "non peculiare", "non distinto", "non specifico".
लिङ्ग liṅga, significa: "pene", "fallo", "marchio", "genere", "caratteristica di base".
मात्र mātra significa: "un elemento", "la materia elementare","una certa misura", "una certa quantità", "una certa somma", "una certa durata". ālińgana sta invece per "abbraccio", "abbracciare" ecc., ad indicare la mancanza di differenziazione.
पर्वन् parvan significa: "nodo", "periodo", "giuntura", "ricorrenza" ecc.
Torniamo alla Traduzione di Raphael, e prendiamola per buona:
"Gli stati costitutivi dei guṇa sono: lo specifico, il non specifico, il differenziato e l'indifferenziato".
Per fare un esempio immaginiamo un pittore che dipinge una rosa.
Per specifico si potrebbe intendere qua il risultato finale, la rosa con i suoi petali colorati, le foglie, il gambo, le spine ecc.
Per non specifico si potrebbe intendere l'azione del dipingere, con il pennello che si muove dalla tela alla tavolozza ecc.
Per differenziato si potrebbe intendere l'idea di dipingere .
Per non differenziato ciò che sta a monte dell'idea di dipingere, l'idea sia del dipingere che della rosa allo stato potenziale, senza distinzioni.
Il samadhi è ciò che svela che l'idea di dipingere, il dipingere e il dipinto sono già presenti allo stato potenziale nello stato "indifferenziato" (ālińga).
E' l'uomo a discriminare ed a chiamare la stessa cosa "idea", "azione", o "risultato", ma è la percezione, ovvero i diversi stati costitutivi dei Guna a mutare, non la realtà.
pensare che cibarsi di cibi "sattvici", o alimentare atteggiamenti "sattvici" possa portare alla realizzazione è semplicistico.
Tamas è solo l'aspetto concreto carnale, grossolano dei cinque elementi.
Rajas l'azione legata a quell'elemento.
Sattva la percezione dell'elemento.
La percezione della Luce ad esempio è Sattva, l'azione dell'Andare collegata alla luce ed alla luminosità è Rajas e l'occhio e il piede (organi di percezione e azione della luce) sono Tamas.
Lo Yoga è essenzialmente pratica, la pratica dei Samadhi, ovvero una serie di modificazioni della mente che conducono ad una diversa percezione del realtà, fino all'identificazione, così almeno dicono le scritture, con lo Spazio, con l'Universo, con la Divinità.
Per "Scritture" si intende una serie di opere letterarie composte nel corso dei millenni, da yogin e filosofi, che appaiono talvolta come manuali teorici-pratici, altre come cronache di particolari realizzazioni, altre ancora come racconti mitici che avrebbero lo scopo di attivare le forze primarie della creazione nascoste (che sarebbero nascoste....) nel nostro inconscio.
In genere le scritture dello Yoga vengono suddivise in due grandi gruppi definiti Shruti e Smirti.
1) श्रुति
śruti significa Orecchio, Audizione, Ascolto. Nel Sanathana Dharma ( o "Filosofia perenne", nome che si dà alle concezioni filosofiche su cui si basa lo Yoga) śruti è sinonimo di Veda.
I वेद veda sono
quattro libri che rappresentano, anzi, per gli induisti sono, il Brahman, l'essere supremo, il Dio senza forma degli antichi indiani.
Nella loro struttura i Veda rispecchierebbero il processo della
manifestazione dell'Essere.
Ciascuno dei quattro veda è diviso in tre sezioni legate alle tre shakti, o energie primarie della Manifestazione: kriya,
Iccha, Jnana, Azione, Desiderio e Conoscenza.
La prima sezione di ciascun Veda è il Karma-Kanda (kriya shakti) costituita da Mantra e Brahmana (le formule e le azioni rituali)
La seconda sezione è Upasana-kanda (Iccha shakti) costituita dagli "Aranyaka".gli insegnamenti per gli eremiti, coloro che si ritiravano nella foresta a meditare.
La terza sezione è Jnana-Kanda (jnana shakti) costituita dalle
upanishad, l'insieme degli insegnamenti scaturiti dalle realizzazioni degli yogin.
Mantra, Brahmana, Aranyaka, Upanishad a loro volta legate a quattro condizioni o stadi dell'essere umano detti अश्रम aśrama (Bramacarin-studente, Grhasta -capofamiglia, Vanaprastha-Anacoreta, Samnyasin-rinunciatario) ed ai quattro fini
dell'esistenza(dharma, artha, kama, moksha).
Per मन्त्र
mantra si intende specificamente la raccolta di inni e sentenze che lo studente
(brahmacarin)deve imparare a memoria con la giusta pronuncia,
cadenza,intonazione.
Per ब्रह्मण
brahmaṇa si intendono le prescrizioni per i riti e le cerimonie, la
spiegazione dei mantra, cerimonie e le istruzioni che rendono i mantra
"operativi" facendone uno strumento nelle mani del
Capofamiglia o Grhasta.
Per आरण्य āraṇya
- क ka (dove
āraṇya significa nato nella foresta e ka, che significa "chi" qui sta
per voce, trattato, libro) si intendono le prescrizioni per gli anacoreti,
coloro che si ritirano nella foresta per risolvere tutti i desideri, e
prepararsi ad abbandonare il mondo "sociale" con i suoi obblighi, regole affrontando quella "via a ritroso" che alcuni in tempi moderni, hanno definito Tantra.
Per उपनिषद्
upaniṣad si intendono le istruzioni per i samnyasin, termine con cui si identificano spesso i "monaci erranti".
istruzioni che consentono di realizzare Moksha, l'illuminazione, sulla base delle esperienze degli yogin del passato.
2) स्मृति smṛti significa invece memoria, tradizione, rimembranza e indica i testi
"applicativi ed interpretativi dei Veda.
La smṛti è costituita da sette gruppi di opere: upaveda, śāstra, vedanga, darśana, itihāsa, purāṇa, āgama,
GliUpaveda sono manuali di applicazione dei Veda e naturalmente sono
quattro, uno per ogni veda:
Ayur-veda riguarda la medicina e la fisiologia.
Dhamur-veda riguarda l'arte del tiro con l'arco e la strategia militare.
Stapatya-veda riguarda l'arte della spada e la costruzione dei strumenti
meccanici,l'ingegneria e l'architettura.
Gandharva-veda riguarda l'arte del canto e della danza.
il secondo gruppo di opere della smṛti è costituito dagli शास्त्र śāstra ovvero
le norme , le regole, gli ordinamenti (manavadharmasastra o legge di Manu
regola la vita della società, natyasastra regola i comportamenti nel
teatro, kama sastra i comportamenti nel campo dell'amore e del sesso
ecc. ecc)
il terzo gruppo è costituito dai 6 Vedanga, ovvero i testi che insegnano
le sei discipline indispensabili per comprendere i veda:
शिक्षा śikṣā, la fonetica, le istruzioni per la fonazione e la pronuncia.
छान्दस chāndasa ovvero la prosodia, l'insegnamento della divisione in sillabe,
il ritmo,l'accentazione, il metro,la cadenza del linguaggio.
व्याकरण vyākaraṇa ,
ovvero le regole grammaticali. निरुक्त nirukta ovvero l'etimologia indiana, lo studio della simbologia delle
singole sillabe ecc. ecc.
ज्योतिष jyotiṣa ,
ovvero astronomia e astrologia.
कल्प kalpa , lo
studio dei rituali (e del tempo....).
il quarto gruppo è costituito dai 6 दर्शन
darśana punti di vista filosofici ortodosii, ovvero i sei metodi
interpretativi dei veda. gli Yogasutra di Patanjali, i karika di gaudapada, i commenti alle upanishad di Shamkara o Vyasa fanno parte dei darśana.
il quinto gruppo è quello dell' Epica ovvero इतिहास itihāsa ( che in realtà significa
storia) ovvero ilMahabharata ( che comprende la baghavad gita) ed il ramayana.
il sesto gruppo è costituito dai पुराण
purāṇa , che significa antico, e rappresenta la mitologia e la cosmogonia
indiana (Vishnu Purana, Kalika Purana ecc).
Il settimo gruppo è costituito dagli आगम
āgama (più precisamente āgama e nigama,a volta si chiamano con questi nomi anche i Veda) che significa sia teoria che strada d'accesso, e sono gli specifici insegnamenti per i tre gruppi di
"fedeli" contemplati nel sanarhana dharma: sakta-vaisnava -saiva, ovvero devoti alla Dea, devoti a Vishnu e devoti a Shiva.
Patanjali,
uno dei mitici siddha del Tamil, si dice fosse il più grande grammatico del suo tempo.
Secondo
la leggenda aveva moltissimi discepoli, almeno mille.
Così,
per farsi ascoltare da tutti prese l'abitudine di velarsi dietro una tenda e di
manifestarsi come “Serpente Cosmico, Adi Shesha dalla voce tonante. Spinto
dalla curiosità un discepolo un giorno sollevò il velo e lo sguardo di Adi Shesha
incenerì all'istante tutti gli allievi. Solo uno si salvò: Gaudapada, maestro
del maestro di Shamkara che si era assentato per andare a fare pipì (!).
Patanjali gli insegnò tutto ciò che sapeva ma,
per punirlo della trasgressione di essersi allontanato senza chiedere il
permesso, lo trasformò in un demone mangiauomini. Gaudapada stava quindi su un
albero, vicino al guado di un fiume, e faceva, come la sfinge, una domanda ai
viandanti, chi sbagliava la risposta veniva mangiato all'istante. La domanda
era questa:
"Dimmi il participio passato di cuocere"
.
Bizzarro,
vero?
In
sanscrito è in realtà un po’ più complicato di ciò che sembra, ma pare
interessante notare che il lignaggio di Shamkara, innovatore e organizzatore
dell’induismo, parte, attraverso Gaudapada, da Patanjali e che la grammatica, o
la danza delle lettere, è importante quanto lo Hatha Yoga, danza degli dei che
Patanjali/Adi shesha apprende da Shiva in persona.
Conoscere
il significato letterale delle parole per molti yogin, è una necessità.
Yogasvrttinirodha, il secondo verso degli Yoga
Sutra di Patanjali, ad esempio, viene tradotto spesso con "arresto delle
modificazioni della mente" come se nirodha
significasse fermare, arrestare (“vritti” può essere tradotto con “modificazioni”
e “chitta” con “mente”/”memoria”)
Ma
per Patanjali nirodha è , insieme ad ekagrata e samyama, una delle tecniche operative del raja yoga.
È
un flusso e, al tempo stesso, è
l'intervallo tra due istanti ovvero due forme-evento o quadri.immagine, che lo
yogi deve "allargare" per diventare "uomo vero", per scoprire,
cioè, la natura della mente.
È
difficile interpretare i testi classici indiani. Nelle traduzioni moderne vige,
ad esempio la tendenza ad interpretare la traduzione di certi termini sanscriti
nella maniera più diversa possibile , soggettiva e riferita a nostre opinioni
personali.
Ad
esempio, a fronte di una definizione di coscienza come insieme delle esperienze e
conoscenze, che si potrebbe anche accettare parlando del più e del
meno, dal punto di vista dello yoga inteso come filosofia realizzativa la
coscienza è conoscenza pura. Coscienza
è, pertanto, la determinazione prima AHAM (IO SONO) che fa discriminare tra IO
e QUESTO (IDAM), tra soggetto di conoscenza e manifestazione (oggetto di
conoscenza) Coscienza è ciò che fa dire
SO'HAM (HAMSA) riflesso
dell'autocoscienza onnipervasiva o conoscenza assoluta.
Comprendere
che cosa sia la Coscienza significa, nello yoga, penetrare e realizzare il Mahavakya
Prajnanam Brahma: il Brahman che è coscienza (conoscenza) assoluta.
La
definizione di coscienza come insieme delle esperienze e conoscenze pare in
realtà una via di mezzo tra chitta
(il teatrino della memoria sostanziato di stoffa del pensare nel quale si
annidano i semi nati dalle esperienze, bogha)
e ahamkara, letteralmente ciò che
costruisce (Kara) l'Io (Aham) che può essere visto come una
proboscide che, dall'interno, si estende verso l'oggetto di conoscenza dando
alla mente la forma dell'oggetto stesso.
Vorrei
proporre adesso una lettura degli yoga sutra di Patanjali uno di seguito
all'altro (magari facendo riferimento a più traduzioni considerate attendibili)
senza leggere note ed interpretazioni, un approccio che potrebbe rivelarsi utile a chi, già
conoscendo patanjali, vuole approfondire lo studio degli Yoga Sutra.
Patanjali Yoga
Sutra I, 1-17,
traduzione semplificata:
Adesso
viene l'esposizione dello yoga: Lo yoga è la sospensione delle modificazioni
della mente (citta), ovvero l'immersione in quello stato, o flusso, detto
nirodha, grazie al quale il veggente (colui che percepisce?) riposa nella sua
essenziale natura (l'uomo vero che riscopre la propria dignità). Quando non si
è immersi nello stato definito nirodha, ci identifichiamo con le modificazioni
della mente perdendo il rapporto con la nostra reale natura. Queste
modificazioni della mente possono essere penose (brutte ) e non penose (belle)
ma sono comunque modificazioni. Esse
sono di cinque tipi:
Giusta conoscenza.
Le basi per una giusta conoscenza
(modificazione non penosa- bella) sono:
1)percezione
diretta (quello che vedo sento tocco capisco direttamente)
2)
inferenza (scoperta del significato implicito di una frase o di un
ragionamento)
Il
non discernimento è una falsa nozione, una credenza o una convinzione o una
percezione basata non sulla reale natura di un oggetto.
Se
vedo il riflesso della luna in un secchio d'acqua e penso che la luna sia nel
secchio d'acqua è non discernimento.
Immaginazione.
l'immaginazione
è un flusso provocato da parole , convincimenti, ragionamenti privi di ogni
fondamento, pura fantasia
Sonno.
Il
sonno è quella modificazione che comprende il senso di vacuità, mi sveglio, ad
esempio da un sonno profondo e penso che vi sia stata obnulazione di coscienza,
vuoto, vacuità, mentre questa sensazione in realtà dipende solo dal fatto che
non ho coscienza del testimone.
Non
vi può essere vacuità perché se percepisco il vuoto significa che siamo almeno
in due: io e il vuoto.
Memoria.
La
memoria consiste nel trattenere l'oggetto sperimentato. ho un incidente in
motorino e rivivo le immagini dell'incidente come se fossero qui ed ora.
Fisso
nella mente qualcosa che è passato (e quindi non esiste!) e questo qualcosa è
causa di miei comportamenti come se fosse qualcosa che ha una esistenza reale.
(abhyàsavairàgyàbhyàm
tannirodhah) Il
controllo delle modificazioni precedentemente elencate (giusta conoscenza, non
discernimento, immaginazione, sonno, memoria) si ottiene con il non
attaccamento e con l'esercizio costante del nirodha. Per esercizio costante si intende
l’essere fermamente fondati nello stato di nirodha, ovvero nel finalizzare
continuamente la nostra pratica alla sospensione delle modificazioni, al
tentativo cioè di esperire e tentare di rendere stabile il flusso che abbiamo
chiamato nirodha.
Questo
esercizio (abhyàsa) non è facile, bisogna praticarlo per lungo tempo,
incessantemente, con entusiasmo, senza distrazioni.
Per
ciò che riguarda il non attaccamento si può dire che è la consapevole
padronanza di chi ha superato il desiderio di oggetti visibili ed invisibili; è
risaputo infatti che paura, desiderio, avversione nascono sempre dal desiderio
di oggetti. Se ottengo l'oggetto che desidero provo piacere, se arriva un
oggetto che non desidero o tarda ad arrivare quello che desidero divento
pauroso e rabbioso. Ma questo non è ancora il distacco supremo che invece è
rappresentato dalla totale libertà dai guna.
Solo
prendendo coscienza del purusha si può essere liberi dai guna in quanto i guna
rappresentano le qualità della prakriti. Questo prendere coscienza del purusha
è una condizione di conoscenza, condizione che si accompagna:
all'argomentazione
(tutto sembra seguire un disegno logico ed è facile argomentare, con l'aiuto
delle scritture ), alla deliberazione , alla beatitudine (ananda) e al senso
dell'Io sono. Ecco quindi che tramite l'esercizio del nirodha e del non
attaccamento si può ottenere l'identità con il purusha, l'identità con il
purusha si può definire samadhi.
La
parola argomentazione sta a significare che si parla del samadhi con Prajna
(conoscenza coscienza) della prima specie ovvero vitarka in cui la coscienza si
concentra su un oggetto, un seme.
Deliberazione
sta ad indicare che si parla del samadhi vicara e quindi non si segue un
oggetto specifico, ma si tratta di una certezza intuitiva. una spontanea
deliberazione.
Beatitudine
sta a indicare che si parla del samadhi ananda in cui si è immersi nell'unità e
si ha a che fare con gli dei intesi come immagini che rivestono le idee
platoniche (archetipi).
“Senso
dell'io sono” significa che si parla del samadhi asmità: riconosco l'identità
con l'uno, Aham brahmasmi, si parla quindi di esperienze del samadhi che avvengono
sul piano della prakriti. A qualcuno il discorso potrebbe sembrare oscuro o
complesso, a me pare cristallino, logico ed essenziale. Per facilitare la
comprensione di alcuni testi fondamentali per lo yogadarshana è opportuno
abituarsi a leggere le scritture cercando di comprendere, prima, il loro
significato letterale e solo successivamente passare alle interpretazioni date
loro dai vari glossatori.
In
questo modo molto di ciò che ci appare confuso nella filosofia realizzativa
assumerebbe una improvvisa chiarezza. Gli yoga sutra sono non un manuale di
istruzione, ma la testimonianza di una realizzazione.. Per comprenderli
bisogna, comprendere prima dal punto di vista letterale, usando la cosiddetta
mente empirica che è riflesso della Coscienza assoluta. Comprendere il
linguaggio letterale, studiare i testi con un certo rigore e senza gli svolazzi
della fantasia può essere noioso, forse, ma è necessario. Occorre insegnare
alla nostra mente empirica una nuova tecnica del pensare.
Yogasutra I,
17 - vitarka vichara ananda asmita rupa anugamat samprajnatah
traduzione di Raphael:
“la condizione di conoscenza è quella accompagnata
dall'argomentazione,dalla deliberazione. dalla beatitudine dal senso dell' io
sono".
il Sutra I,17 descrive
quattro tipi di samadhi.
Il samadhi è conoscenza
diretta della realtà.
significa che non vi è
distinzione tra OGGETTO di conoscenza e tra SOGGETTO conoscitore.
Per comprendere appieno
penso sia necessario introdurre i concetti di अस्ति asti - भाति
bhāti - प्रिय priya
प्रिय priya, dalla radice PRA che significa insorgere ,
sbocciare, è tutto ciò che è piacevole,bello a vedersi, amabile,
adorabile,beato e portatore di beatitudine.
भाति bhāti dalla radice bhā che significa luce, significa
apparire sembrare, luccicare, scintillare ecc.
अस्ति asti dalla radice AS che significa essere vuol dire
Esso (lui, lei) E', ma anche esistere, essere stare...
bhāti è la "luce
propria" di un oggetto, ciò che dà origine alla forma con la quale lo si
può "conoscere".
La vera forma (स्वरूप svarūpa ) di un oggetto, sarà quindi la forma che
appare senza sovrapposizioni mentali, come diretta emanazione della luce
propria dell'oggetto, bhāti.
Il samadhi con seme è
quindi la conoscenza diretta che nasce dall'unione fusione del conoscente con
l'oggetto di conoscenza.
वितर्क vitarka significa
argomento.In questo caso è il nome del tipo di samadhi che insorge dalla
concentrazione su un pensiero particolare, un seme.
Per esempio medito su OM
NAMAH SIVAYA, comincio ad intravedere la sua struttura triplice (nama= mondo
delle forme, Ya = jiva individuato, Siva = assoluto) e la sua struttura
quintuplice (NA- MA-SI-VA-YA) che rappresenta i cinque poteri della
manifestazione (creazione, distruzione,mantenimento, velamento , grazia) fin
quando i pensieri cominciano a girare da soli fino a farmi perdere il concetto
dell'individualità e la consapevolezza del voler conoscere-comprendere e la
mente si identifica completamente nel mantra, che rimane come seme (pratyaya).
विचार vicāra significa, idea, concetto.
in questo caso è il nome
dato al secondo tipo di samadhi.
l'idea è ciò che sta
"dietro all'oggetto.
è il noumeno.
la differenza tra il vitarka
samadhi ed il vicāra samadhi è , banalizzando, una differenza di
"spessore".
Il primo (vitarka) indica
un pensiero più grossolano, si utilizza cioè l'intelligenza ordinaria.
per citare Dante si
potrebbe parlare di "piena comprensione del linguaggio letterale".
in un certo senso VITARKA
è il samadhi della coscienza di veglia.
Il secondo (vicāra)
utilizza una intelligenza più sottile.
l'intelligenza intuitiva
che fa svelare , in un attimo, il significato di simboli ed allegorie.
Si potrebbe parlare di
"piena comprensione del Linguaggio Allegorico".
Se l'attenzione nel
vitarka samadhi è su un oggetto, in vicāra vi è la possibilità di comprendere
la reale natura di tutti gli oggetti.
Vitarka è una freccia che
centra il bersaglio stabilito.
vicāra è la possibilità di
tirare la freccia verso qualunque bersaglio .
in un certo senso è il
samadhi della coscienza di sogno.
I terzo tipo di samadhi è आनन्द ānanda che significa gioia, beatitudine , grande
piacere sessuale..., detto anche सानन्द sānanda .
È la beatitudine indifferenziata, è lo stato
della conoscenza assoluta permeata dall'ignoranza assoluta.
Lo si può collegare allo stato coscenziale di
Prajna o sonno profondo.
Il quarto stadio o tipo di samadhi è detto अस्मिता asmitā ed è riferito con l'Uno, l'Essere, l'Antico
dei giorni.Asmitā può essere tradotto con egoismo e rappresenta qui l'identità
con Isvara .
Quattro specie di samadhi , quindi, (corrispondenti ai
quattro dhyana del buddismo) che vengono definiti samprajñāta ovvero con
conoscenza ad indicare che esistono ancora dei contenuti che possono essere
ridotti alla dialettica Soggetto conoscitore-oggetto di conoscenza.
Ricapitolando avremo:
vitarka o savitarka
(corrispondente , credo,al primo "dhyana" del buddismo)collegato al
ragionamento empirico, al linguaggio letterale ed allo stato detto visva stato
di veglia
vicāra o savicāra
(corrsipondente al secondo dhyana del buddismo)collegato alla comprensione intuitiva
(tipica ad esempio del fare arte), al linguaggio allegorico ed allo stato detto
Taijasa
ānanda o sānanda
(corrispondente al terzo dhyana del buddismo) collegato all'identità con le
idee/dei , al linguaggio morale ed allo stato detto prajña.
asmitā o sasmitā
(corrsipondente al quarto dhyana del buddismo) collegato all'identità con l'uno
principiale, al linguaggio anangogico ed allo stato detto di Isvara.
questi quattro livelli
sono collegati tra loro nel senso che non si può accedere ad uno stato senza
aver esperito e stabilizzato i precedenti.
La stabilizzazione dei
livelli del samadhi è chiamata Amākalā,
uno dei nomi o poteri della Dea, che si potrebbe, secondo me, tradurre come
Arte (कला kalā ) divina o arte dell'immortalità (अमर amara sta per immortale, eterno, dio)
Oltre questi quattro tipi o livelli del samadhi ve
ne sono altri che si possono considerare dei "gradini" indispensabili
a salire da un livello all'altro.
Il vitarka o savitarka samadhi è legato alla conoscenza/identificazione
di/con un oggetto "grossolano" (un pensiero "grossolano")
in un certo senso si tratta di un processo teso a svelare gli "effetti di
un oggetto.
Quando la mente si identifica completamente con
l'oggetto grossolano o il ragionamento empirico c'è uno stacco, un momento di
(apparente?)assenza.
Si può fare l'esempio (banalizzando)di una
persona completamente concentrata sulla soluzione di un problema matematico o
un gioco enigmistico.
Il momento in cui ha o crede di aver colto la soluzione
non ha le parole per dirlo.
ma il ragionamento che lo
ha condotto a tale soluzione cessa improvvisamente.
Il totale assorbimento nella soluzione del
problema ed il conseguente isolamento da tutto ciò che può interferire con tale
soluzione è definibile vitarka samadhi.
Il momento di cessazione
dell'attività che precede il momento della espressione della soluzione è detto
NIRVITARKA samadhi e patanjali lo citerà nel sutra I,43;
“Quando la memoria è
purificata e la mente perde la sua propria forma e soltanto la conoscenza reale
dell'oggetto (di concentrazione) risplende, si ha lo stato di concentrazione
senza argomentazione (nirvitarka)”.
In pratica si ha la "percezione" (?)
della "vera forma" dell'oggetto e di ciò che di quella vera forma è
"causa", ovvero ciò che prima abbiamo definito भाति bhāti, la luce propria di un oggetto, senza le
sovrapposizioni create dalla mente.
Nirvitarka samadhi, ovvero
la conoscenza consapevolezza della vera "natura" di un oggetto
conduce al samadhi detto vicāra o savicāra, la coscienza/conoscenza o la
possibilità della coscienza/conoscenza della reale natura di tutti gli oggetti
o fenomeni.
Si è sul piano delle energie sottili, taijasa, il
piano di sogno. anzi si può dire che savicāra è la piena coscienza di sogno.
L’identificazione nella
coscienza di sogno diviene in un certo senso "oggetto di conoscenza".
Il gradino successivo è nirvicāra, il momento in
cui cessa anche il pensiero della identificazione con il piano delle energie
sottili e conduce al sānanda samadhi caratterizzato dalla pura beatitudine.
ovviamente anche il
piacere/beatitudine, a sua volta, può divenire oggetto di conoscenza.
Quando cessa questa possibilità si ha il nirānanda
samadhi che conduce alla consapevolezza isvarica dell'IO SONO, o
sasmitā samadhi.
Questi 7 livelli [sei per
il vedanta nel quale (cfr. Indian Psychology, Volume 1, di Jadunath Sinha)
Sānanda e Nirānanda sono considerati un unico stato] rappresentano l'insieme
dei
samadhi samprajñāta o samadhi con conoscenza .
La rivelazione della coscienza di veglia vitarka
o savitarka samadhi è relata alla conoscenza dei Bhuta o elementi grossolani
(etere, aria, fuoco, acqua, terra) ed al loro risolversi l'uno nell'altro (la
terra si discioglie nell'acqua ecc.).
La rivelazione della coscienza di sogno vicāra o
savicāra samadhi è relata alla conoscenza dei Tanmatra ovvero gli elementi
sottili (suono, sensazione tattile, luce/colore,sapore, odore)
La rivelazione della coscienza di sonno profondo
o della beatitudine che nasce dalla armonizzazione degli opposti ānanda o
sānanda samadhi è relativa ai sensi ovvero alla possibilità di percepire ed
interpretare gli elementi sottili.
La rivelazione dell'unità primordiale asmitā o
sasmitā samadhi è relativa alla comprensione di ahamkara come funzione e non
come individualità.
Il tutto si può ridurre al processo introspettivo
del Chi sono ovvero alla meditazione (cfr.Shamkara aparokshanobhuti) su Ko'ham
(chi sono io) - Na'ham ( non sono) - So'ham (sono questo).
Meditazione/concentrazione
sugli elementi grossolani (vitarka) io non sono(na'ham) il corpo fisico.
Meditazione/concentrazione
sugli elementi sottili (vicāra) io non sono il corpo energetico, le energie sottili,
i movimenti emotivi.
Meditazione/concetrazione
sulla coscienza sensitiva (ānanda) io non sono la mente che percepisce le
diversità e la molteplicità.
Meditazione sull'IO sono (asmita) Io sono l'unità degli
opposti.
Vitarka è ciò che coglie ASTI la qualità
dell'esistenza negli oggetti grossolani (Asti-essenza-esistenza) ovvero la
forma (RUPA) svelandone la vera forma o svarupa.
Vicāra è ciò
che coglie la luce (bhati) che sottende agli oggetti grossolani svelandone il
Nome (nama) ovvero il suono/luce che rende percepibile la forma.
Ānanda è ciò che coglie l'essenza di beatitudine
(priya).
Wikipedia definisce il PUDORE come "senso di riserbo e di disagio nei confronti di un comportamento riguardante le pulsioni fondamentali".
Una immagine o uno scritto che offende il "Comune Senso del Pudore" viene censurata e chi è colpevole di averla pubblicata può andare incontro a sanzioni di vario genere.
La "pudicizia", soprattutto nelle donne, è considerata una dote preziosa e chi non la possiede è una (uno) svergognata(o), indecente, immorale, corrotta(o), scostumata(o) depravata(o).
Interessante.
Guardate queste due immagini:
La prima è tratta da un video indiano, credo, vietato ai minori di diciotto anni, in cui con molta eleganza e dolcezza si insegnano le tecniche della Fellatio e del Cunnilingus secondo, dice lo speaker, l'Arte dell'Amore indiana.
Se non avessi messo i quadratini neri il mio post sarebbe stato segnalato e censurato dai social network (e non è detto che non accada...)
La seconda immagine, invece, è tratta da un film andato in onda liberamente su televisioni pubbliche e private e considerato adatto anche ad "un pubblico non adulto" si tratta di una scena di Kill Bill nella quale Kiddo (Beatrix), la protagonista, si vendica di Sophie Fatal (una dei killers assoldati dall'amante per ucciderla e massacrare il nuovo marito, gli amici e i parenti) tagliandole le braccia.
Posso pubblicare il dolore di Sophie senza problemi, a nessuno verrebbe in mente di censurarmi o di segnalarmi alle autorità competenti.
Non posso pubblicare invece l'immagine integrale tratta dal video sulla fellatio senza rischiare spiacevoli conseguenze.
La cosa più stravagante è che la cosa apparirà normale al 90% delle persone: nella nostra società ci si deve nascondere per fare l'amore, ma un calciatore che che prende a testate un collega diventa quasi un eroe e un lottatore che spezza con un calcio la tibia dell'avversario passa alla storia per la sua potenza.
L'amore urta il Comune Senso del Pudore, la violenza no.
Un video che insegna a dare piacere al proprio amato o alla propria amata è "indecente", "vergognoso", "da depravati" e se proprio lo si vuole vedere dobbiamo farlo di nascosto, a casa, magari sul pc dopo aver attivato la modalità "naviga in incognito"
Un film in cui si insegna a tagliare braccia e teste è "divertente", "fico", "strepitoso", e se ne discute liberamente in bar, riunioni di amici e trasmissioni televisive.
Siamo così abituati all'orrore da considerarlo "adatto alla visione dei bambini (magari accompagnati) e siamo così disabituati all'amore da considerare le sue espressioni "indecenti".
Non è cosa solo dei nostri giorni.
Secondo alcuni studiosi il quadro più famoso di Courbet, l'Origine del Mondo, conservato al Museo D'Orsay, a Parigi, è stato tagliato dall'autore.
la prima versione pare rappresentasse una donna nell'attimo successivo all'orgasmo con le braccia tese verso l'alto, a ringraziare il cielo, e lo sguardo di chi conosce l'estasi.
Courbet avrebbe deciso di non esporre la modella alla gogna mediatica del tempo: l'idea che un atto così semplice e naturale come il fare l'amore possa avvicinare alla divinità può turbare, evidentemente, le nostre coscienze.
Meglio molto meglio, per il rispetto dei valori su cui si regge la nostra società, rappresentare la sofferenza, il dolore e l'angoscia.
E' così da secoli.
E nessuno lo trova strano.
Mi chiedo però, a volte, che cosa penserebbe un alieno, come il David Bowie di "L'Uomo che cadde sulla Terra", o il Kevin Spacey di "K Pax" vedendo che da noi l'immagine di una donna che bacia il pene del suo sposo è considerata "oscena" ed "immorale" e quella di un essere umano che spezza le braccia ad un suo simile una manifestazione di forza.
Ma è possibile fare i viaggi astrali? Sognare di sognare e uscire fuori dal corpo per viaggiare non solo nelle creazioni, fantastiche, della nostra memoria, ma anche nell'akasha, come diceva Steiner, o addirittura nella realtà quotidiana?
È possibile che ciò che sogniamo abbia degli effetti sulla vita "reale" nostra e di altri? A rigor di logica, perché no? Nel mondo notturno vivo spesso esperienze ispirate agli eventi diurni, e un fenomeno esterno al mio corpo di dormiente si ficcherà nella sfera onirica senza problemi. La sveglia che, ospite inatteso, compare in corpo e voce nei sogni dell'alba è una esperienza che, almeno una volta, abbiamo fatto tutti noi, e anche le voci dei vicini o la pioggia improvvisa penetrano, facilmente, anche se trasformati, nella sfera del sogno. Niente ci vieta di pensare che anche il sogno posso "esondare" nella veglia e indirizzare o trasformare la nostra vita.
Gli aborigeni australiani dicono di vivere costantemente nel mondo di sogno, che per loro è la realtà vera. I tantrika tibetani si addestrano a viaggiare nel sogno come ad arrampicarsi sulle montagne dell'Himalaya, e [ per non parlare degli sciamani sudamericani, sin troppo famosi dopo il boom di Castaneda e la recente moda post freackettonica dell'ayahuasca, gli sciamani mongoli e siberiani dicono di viaggiare in lungo e in largo con mente ed anima. Aborigeni australiani, tantrika tibetani e sciamani siberiani hanno in comune l'uso della danza e della musica, anzi del suono: particolari vibrazioni emesse dalla voce umana e da strumenti a fiato e percussione, sembrano avere il potere di trasportare l'essere umano in altre dimensioni. Ho trovato tecniche simili se non uguali tra rappresentanti di culture tra loro lontanissime, come i dervish islamici (ho "girato" con un danzatore della confraternita di Istanbul), gli attori di teatro Noh (ho lavorato con sensei Akira Matsui) e i sacerdoti Vodoo (ho avuto modo di vedere una serie di video strepitosi e inediti girati da Gilles Coullet, francese, ma assai addentro alla cultura haitiana): usano le percussioni, la voce e i flauti esattamente nella stessa maniera! Sembra quasi che per gli esseri umani, un tempo, gironzolare, coscientemente, nel "mondo degli animali fantastici" fosse una cosa normale, tanto è vero che il fondatore della scuola di medicina di Salerno, il severo Parmenide, insegnava ai suoi allievi ad andare a "sognare" nei templi per trovare cure e medicine, anziché perder tempo in biblioteca.
Per lo yoga le cosiddette "uscite dal corpo" avvengono sul piano di sogno o taijasa (vedi "I DUE TAIJASA").
Taijasa viene da तेजस् tejas che significa radianza, fiamma, splendore, ed il suo significato letterale di è "appassionato".
Sul piano di sogno le "idee" indossano abiti tratti dalla percezione dello stato di veglia. Questi "abiti" possono provenire sia dall'esperienza di veglia soggettiva (visva - stato di veglia individuale) che dall'esperienza di veglia oggettiva (vaisvanara - stato di veglia universale) e questo comporta l'esistenza di "due diversi livelli di sogno".
Per comodità e strizzando l'occhio al linguaggio degli esoteristi e degli alchimisti, possiamo dire che uno dei due livelli fa riferimento alle acque inferiori (sub conscio) ed uno alle acque superiori (sovraconscio), dove per acqua intendiamo in realtà citta, la "materia del pensare". Taijasa inferiore è il regno degli incubi e degli animali fantastici.
Nelle upanishad si dice che è uno stato auto-luminoso perché ciò che vediamo non è illuminato dal sole, ovvero da "colui che risiede nell'occhio del sole" (Ra, come per gli egizi) ma da qualcosa di interiore.
Anche se, a pensarci bene, "le percezioni sono sempre interiori".
Quando si parla di stato di sogno si intende sia il sogno vero e proprio sia uno stato di coscienza particolare sperimentabile allo stato di veglia. Diciamo che Taijasa è lo stato che nell'esoterismo occidentale viene definito "corpo psichico" o, a volte, "corpo astrale". Alcuni identificano "corpo astrale" con "corpo causale", ma se si parla di yoga, per corpo causale si intende lo stato detto prajna, l'unione delle energie complementari in cui la coscienza individuale, la capacità di percepire, è assopita e immersa in uno stato di beatitudine privo di discriminazione.
Quando , per qualche evento traumatico, per l'uso di droghe psicotrope, per talento naturale o in seguito ad appropriata istruzione, si vive l'esperienza di uscita dal corpo fisico occorre fare attenzione ai segni che possono indicarci se l'esperienza è "reale"( messo tra virgolette... da un certo punto di vista non è mai reale!) o se è frutto esclusivo della nostra fantasia. Ci sono sogni che hanno una luminosità "bassa". Ce ne sono altri, in cui, spesso, si è coscienti di sognare o si sogna di dormire e di sognare, che hanno una luminosità più forte, paragonabile alle esperienze di veglia.
Si tratta dei due livelli di sogno di cui si è parlato.
L'uscita dal corpo vera e propria è una cosa diversa, ed è facilmente riconoscibile perché accompagnata da segnali precisi. Per esempio si può sentire, quando inizia il "viaggio", un rumore secco, come di una corda che viene tesa improvvisamente ed un rumore diffuso, come quello di un motore di frigorifero quando, invece " si torna alla base". Un altro segnale è il rapporto con il tempo ordinario: se si sta dormendo ed è notte l'uscita dal corpo avviene, all'inizio, in un' atmosfera notturna. Se si sta dormendo o "praticando"di giorno l'atmosfera è invece diurna. Se si è per così dire in taijasa inferiore si percepisce una specie di bava, come una ragnatela umidiccia che circonda il corpo, la luminosità sarà inferiore e la vista, seppur chiara, sarà, in confronto alla veglia o a taijasa superiore, leggermente offuscata. In Taijasa superiore, all'oppoto, tutto apparirà più chiaro e luminoso. Muovendosi, "volontariamente", nello stato di sogno, si procede, inizialmente, a grandi balzi, o piccoli voli, o con corsa e passo molto leggeri. Si potranno incontrare incubi, "elementali", mostri e creature inquietanti. E/o vivremo in una stato di continua inquietudine accompagnato da meraviglia. Per controllare le immagini del sogno esistono tecniche abbastanza precise descritte sia dai tibetani che dagli sciamani siberiani, australiani , sudamericani. Tecniche molto simili o identiche. Taijasa superiore, in cui "si volerà come un aquila" e la luce sarà quella di un mattino di luglio, è lo stato che conduce alla "percezione del puro intelletto".
Il 14 luglio prossimo (tra due giorni!) uscirà in libreria il mio secondo libro "HATHA YOGA, LA LINGUA PERDUTA DEI VEGGENTI", Edizioni Aldenia (www.aldenia.it).
Inutile dire che sono emozionato.
Rendo pubbliche per la prima volta le esperienze degli ultimi dieci anni: l'incontro con Fabio "Ganesha" e Yoga.it (uno dei luoghi "virtuali" più liberi e fecondi dell'universo internettiano),, la nascita, spontanea (autogenesi?) del Gruppo Vedanta, le fraterne amicizie con ricercatori come Fabio Cozzi, Onofrio Amendola, Gianni Bencista, Laura Nalin, Andrea Pagano, "Yogasan",Malcolm Bilotta, Petulia Lera....
Esperienze che hanno mutato profondamente la mia visione dello Yoga e mi hanno "costretto", a guardare il mondo da una diversa, assai feconda prospettiva.
"La Lingua Perduta dei Veggenti" è in apparenza un manuale, ma a leggere tra le righe è il resonto di una rivoluzione, la "Rivoluzione della Dolcezza", come la chiama Laura Nalin.
Coltivare la Via della Dolcezza trasforma anche la nostra percezione della realtà e ci insegna una diversa tecnica del pensare, una condizione della mente che lentamente, ma inesorabilmente, fa piazza pulita delle maschere, dei filtri cognitivi, dei pregiudizi che, di solito, ci impediscono di godere appieno di quella meravigliosa avventura che chiamiamo esistenza.
Può sembrare strano che un diverso approccio ad una serie di esercizi corporei possa trasformare così profondamente un essere umano, ma non dobbiamo dimenticare che lo Hathayoga è la via dell'Alchimia interiore, il sentiero della trasmutazione insegnato da migliaia di anni: Il corpo è il crogiolo, la mente, il mercurio, le emozioni lo zolfo e l'Amore il fuoco. "Hatha Yoga, la lingua perduta dei Veggenti - simbologia e pratica della serie Rishikesh". Edizioni Aldenia. Prefazione di Malcolm Bilotta. Foto di Copertina di Roberto Rizzotto (Photorizz) Immagini di Francesca Proietti. ISBN: 9788896618851 Cap. IV LA VIA DEGLI IGNORANTI
IV - LA VIA DEGLI IGNORANTI
- “Ma se lo yoga porta all’illuminazione e nel mondo lo praticano milioni
di persone perché ci sono così pochi illuminati”-
Fu Fabio, credo, a farmi questa
domanda in uno dei nostri primi incontri.
Una domanda cretina, di quelle che
nessuno di solito ha il coraggio di fare. Ma sono proprio le domande cretine,
come mi ha insegnato l’esperienza di Yoga.it e del Gruppo Vedanta, che possono
donarci un barlume di consapevolezza.
Perché a fronte di milioni di
praticanti ci sono così pochi “realizzati”? Dove sono tutti questi esseri umani
immuni da angoscia, rabbia e dolore, che vivono costantemente in uno stato di
beatitudine?
In altre occasioni ed in altri
ambiti forse non avrei neppure risposto, limitandomi al sorriso buddhico
d’ordinanza, o magari, prendendo a prestito frasi prese da altri, avrei parlato
della “qualificazione dell’aspirante yogin”,
della predisposizione innata, frutto del buon karma accumulato in vite
precedenti, del gioco incomprensibile degli dei, la līlā, (“frutto del gioco
incomprensibile degli dei” è un affascinante perifrasi ad effetto il cui
significato reale, nel linguaggio corrente, sarebbe “Non ne ho assolutamente idea”), ma tra i ricercatori del Gruppo
Vedanta le perifrasi ad effetto, i luoghi comuni e le maschere funzionano poco.
Se ci si affida al buon senso
comune la “domanda cretina” ha solo tre possibili risposte:
1.Ci hanno raccontato un
sacco di balle.
2.L’insegnamento dello Yoga
ci è arrivato incompleto o corrotto.
3.La maggior parte di noi
non è in grado di capire e soprattutto di mettere in pratica le parole dei
maestri antichi.
Ammesso e non concesso che i
Veggenti vedici dicessero la verità, non si può certo negare che nello Yoga
contemporaneo ci sia la tendenza a romanzare, edulcorare o inventare. A volte
lo si fa per fini didattici, altre per ragioni di mercato. Alcuni,
semplicemente, si divertono un mondo a raccontare balle, ma, a quanto ho visto
in giro, il numero degli insegnanti seri e preparati è di gran lunga superiore
di quello dei santoni improvvisati o dei simpatici cialtroni.
Per ciò che riguarda gli
insegnamenti trasmessi dai libri è vero che bisogna tener conto dei pasticci
fatti dai primi traduttori. Pasticci poi perpetuati nel tempo da ricercatori
pigri o affetti da comprensibile timore reverenziale nei confronti dei loro
maestri e mentori[1]. È anche vero che alcune opere ci sono
giunte incomplete, ma il problema principale, secondo me, non riguarda tanto le
traduzioni pasticciate quanto l’interpretazione dei testi.
In questo noi
occidentali siamo un vero disastro. I nostri filtri cognitivi e la
indistruttibile convinzione che le nostre conoscenze della natura e della
psiche umana siano superiori a quelle dell’antichità ci costringono ad
inventare le teorie più bislacche e a prendere, spesso, metafore poetiche per
dati di fatto e la cronaca di evento realmente accaduto per metafora.
Lo Yoga, il concetto
di illuminazione e le tecniche per realizzare lo Stato Naturale provengono dai
Veda, i quattro libri sacri della civiltà indo-ariana, risalenti almeno al XX
secolo a.C., e nei Veda sono scritte cose inaccettabili per l’uomo moderno.
Prendiamo, per fare,
un esempio un versetto del Ṛgveda, il “Libro degli Inni”, nella traduzione
ottocentesca di Ralph T.H. Griffith:
"The car that was not made for horses or for
reins, three-wheeled, worthy of lauds, rolls round the firmament".
(Ṛgveda 4. 36. 1)
In italiano:
"Il carro che non è fatto per cavalli né redini, ha tre ruote, è
degno di lode e rotola intorno al firmamento".
Il brano parla del Tricakra Ratha, un carro a tre ruote che
“rotola intorno al firmamento” ovvero
che va in orbita…
Non si tratta di un
caso isolato: nei Veda e nella letteratura epica indiana sono descritte
moltissime navi volanti, come il Tritala,
“macchina costruita per viaggiare nei tre elementi, terra, aria ed acqua” (Ṛgveda 3. 14. 1),
il Vayu Ratha, “macchina volante che funziona a gas” (Ṛgveda 5. 41. 6)
o il Jalayan, “Idrovolante” (6. 58. 3).
Il Kara invece è un mezzo anfibio (Ṛgveda
9. 14. 1), simile a quelli usati dagli alleati durante l’invasione in
Normandia[2].
Che dovremmo fare dopo aver letto i Veda?
Riscrivere la storia e ammettere che gli esseri umani dell’Età del bronzo
avevano una tecnologia pari se non superiore, alla nostra?
Meglio,
molto meglio, pensare a viaggi astrali nel futuro che a viaggi spaziali, a
incredibili visioni profetiche piuttosto che a narrazioni di eventi passati.
La necessità di difendere il mito del progresso su
cui si basa la civiltà attuale, unita al fascino dello Yoga e della cultura
vedica, ha creato nel tempo un meccanismo perverso in virtù del quale tutto ciò
che potrebbe destabilizzarci della letteratura dell’India antica (le armi di
distruzione di massa, i viaggi spaziali,
gli accenni alla rigenerazione cellulare e alle modifiche del DNA) viene catalogato
come metafora, visione profetica o balla cosmica, mentre ciò che riguarda le
concezioni filosofiche, i culti e le credenze religiose diventa spesso verità
incontrovertibile, da accettare come atto di fede.
I risultati sono bizzarri: se in una lezione o in
una conferenza dico che Patañjali, il “mitico” autore degli Yoga Sūtra, è “un immortale serpente cosmico incarnatosi nel ventre di una donna
sterile”, nessuno fa una piega, e magari ci scappa pure l’applauso. Se,
citando gli studi di università indiane, racconto invece che era un danzatore
(un essere umano in carne ed ossa nato e morto come tutti gli esseri umani) che
ad un certo punto della sua vita si è unito ad un gruppo di ricercatori nella
foresta di Chidambaram (i “Siddha di
Chidambaram”) per studiare i legami tra danza, musica, astronomia e anatomia e
creare, infine, lo Haṭhayoga, sarò
tacciato, se mi va bene, di cialtronaggine e superficialità.
Torniamo
adesso alla nostra domanda cretina (-“Se lo yoga porta all’illuminazione
e nel mondo lo praticano milioni di
persone perché ci sono così pochi illuminati?”-) e vediamo di riformularla alla luce di quanto abbiamo detto: - “Ammesso che lo yoga conduca
all’illuminazione, visto che non siamo in grado di interpretare e comprendere
gli insegnamenti tradizionali, come si fa a raggiungere lo Stato Naturale?”-
La prima cosa che viene in mente è
quella più scontata: scoviamo qualcuno che abbia realizzato lo Stato Naturale e
ci facciamo spiegare gli insegnamenti da lui.
Il problema è che ai nostri giorni
è più facile incontrare un maestro proclamato, o autoproclamatosi, illuminato
che un ciabattino, e separare il grano dal loglio, spesso, non è semplicissimo.
Un’altra possibilità, visto che i testi antichi sono ormai facilmente
reperibili su internet, sarebbe quella di trovare, da soli, una chiave di
interpretazione, una diversa “tecnica del pensiero” che ci permetta di
bypassare la barriera delle sovrastrutture culturali e dei filtri cognitivi,
per arrivare a capire, finalmente, che diavolo volevano dirci i ṛṣivedici.
Una sera di un paio di anni fa,
mentre ci spaccavamo la testa a cercare di capire il testo di un buddista
cinese, Andrea (Andrea Pagano, un altro ricercatore “storico” del Gruppo
Vedanta) ebbe un’idea stravagante:
- “Perché non facciamo gli ignoranti?” -
Geniale.
Pratico Yoga dal 1973. Dal 1996 al
1998 ho lavorato con i monaci tibetani della setta Gelugpa, per sei anni ho
studiato e praticato gli insegnamenti dell’Advaita Vedanta di Ādi Śaṅkarācārya, nel 2013 grazie a
Rupchand, un allievo di Babaji di Haidhakhan sono entrato in contatto con i
testi e gli insegnamenti la tradizione Nath
(vedi Sadashiva Charitamrita, ad
esempio).
La mia testa è così piena di
nozioni, termini in sanscrito, mantra, simboli che, di solito, da una sola
parola di un testo di yoga ne scaturiscono altre 1.000.
Rischio, in pratica di non leggere
mai quello che ha scritto un autore, ma quello che secondo me, i miei
istruttori, i libri letti in precedenza, avrebbe dovuto o voluto dire.
L’approccio da ignoranti,
l’interpretare una parola o una frase in senso letterale, partendo dal
presupposto che uno scriva o dica esattamente quello che vuole scrivere e dire,
niente di più e niente di meno, oltre a farti sembrare uno scemo dà risultati inaspettati.
È un formidabile esercizio di
pulizia che a lungo andare abbatte le architetture barocche della nostra mente
e restituisce al pensiero quella semplicità senza la quale, a detta delle
scritture, è impensabile avvicinarci allo Stato Naturale.
È una tecnica per eliminare la
“malizia” (ne parlava Svami Vivekananda
il primo maestro indiano a cercare, nel XIX secolo, un confronto con la scienza
occidentale), quel pensiero obliquo che ci porta a vedere dietro i gesti e le
parole altrui mille e mille verità nascoste.
È una via per cominciare a vedere
le maschere che indossiamo in ogni momento della nostra esistenza.
Da quando ho imboccato la “via
degli ignoranti”, alcuni passaggi di testi vedici o tantrici, prima misteriosi,
senza gli occhiali dell’erudizione sono improvvisamente chiari, semplici,
comprensibili.
Lo so che può apparire strano, ma
in fondo è nella logica delle cose: gli autori dei testi vedici erano dei
realizzati ed un realizzato, a quanto si
dice, è come un bambino, in lui gesti, parole, pensieri insorgono con la grazia
naturale di un fiore che sboccia, con spontaneità e semplicità.
Come potrebbe una mente complicata
afferrare un pensiero semplice come un fiore che sboccia?
[1]In Tantra la via del sesso – Edizioni Aldenia, racconto, ad
esempio la storia di Nandi, una maestra tantrica cui vengono attribuiti
mille libri, che nel 1800 è stata trasformata nella cavalcatura di Śiva, un
gigantesco toro bianco. Tutt’oggi,
anche in India, ci sono devoti pronti a giurare che il quadrupede si sia
ficcato una penna tra gli zoccoli per mettere nero su bianco gli insegnamenti
del dio della danza.
[2]Mezzi così sofisticati avevano bisogno di una
manutenzione altamente specializzata, così nei testi sono citati iKathasaritsagara, operai addetti alla manutenzione delle navi
transoceaniche, Rayyadhara che si
occupavano di mongolfiere e dirigibili e i Pranadhara
a cui spettava il compito di mantenere in efficienza aerei e navi spaziali.