3.14 è un altro di quei versetti in cui risulta evidente l'impossibilità di comprendere Yoga Sutra senza leggere il commento di Vyāsa. Credo che con tutta la buona volontà immaginabile nessun praticante potrenbbe arrivare a comprendere 3.14 senza leggere le spiegazioni. Anche perchè si fa uso di termini , come dharma o śānta, che solitamente vengono tradotti in modi affatto diversi: qui dharma significa "qualità", nel senso di "potere" insito in un particolare oggetto o gruppo di oggetti: il Dharma dell'argilla ad esempio è il vaso, o la statua o il bicchiere; śānta invece rappresenta ciò che "tramonta" ciò che è "passato". Un'altra cosa importante è l'assoluta necessità di conoscere il Sāṃkhya: senza la conoscenza dei 25 principi e delle relazioni tra Suono, orecchio, Spazio ecc. questo versetto - e tutto lo Yoga Sutra - sarà completamente incomprensibile. 3.14: शान्तोदिताव्यपदेश्यधर्मानुपाती धर्मी ॥३.१४॥ In caratteri latini: ś
Il titolo di questo Post è volutamente provocatorio, non credo assolutamente che la Via della Devozione rappresenti un problema, ma utilizzando esclusivamente, o quasi, la fede come strumento di conoscenza, si rischia di non comprendere perfettamente o addirittura di travisare alcuni insegnamenti tradizionali, compresi, ovviamente, quelli di Patañjali. Il problema dell'utilizzazione esclusiva o quasi dello strumento di conoscenza della fede mi è balzato agli occhi cercando di interpretare gli aforismi 3.44, 3.45 e i relativi commenti che si riferiscono, dichiaratamente, agli insegnamenti del Vaiśeṣika di Ka ṇ āda. Vaiśeṣika, da Viśeṣa ( विशेष , "particolarità", "diversità", "carattere distintivo") è una delle sei scuole filosofiche ortodosse indiane, e si basa su una serie di concetti che sembrano fare a pugni con la Via della devozione: per Ka ṇ āda ciò che è reale nell'Universo deve essere innanzitutto godibile, percepibile, e può essere ridotti