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EMPATÉIA O LA COMPRAVENDITA DELLE EMOZIONI


-"Non sei Empatico!"-
-"L'Empatia è alla base delle relazioni umane"-
-"La mancanza di Empatia rende crudeli!"-


Che strano che è il linguaggio umano.
Ci sono parole che sonnecchiano per decenni nei libri di medici, farmacisti o architetti e poi si svegliano, improvvisamente, e cominciano a viaggiare di bocca in bocca come avessero vita propria, assumendo significati nuovi, completamente svincolati, a volte, dal suono e dal senso originario.
Se digiti "Empatia" su Google, in  mezzo minuto arrivano un milione e trecentomila risultati.
Nei corsi di formazioni per manager, nelle classi di yoga, nelle sedute psicanalitiche, nei programmi televisivi non si fa altro che parlare di Empatia.
Non essere Empatici ai nostri giorni è una vera tragedia. 
Gli amici ti voltano le spalle, le/gli amanti ti abbandonano disgustati, una normale giornata di lavoro si trasforma in una Via Crucis.
Terribile.
Ma cosa significa Empatia?
Già, perché a dire il vero non è che si capisca bene: mettersi nei panni degli altri? 
Soffrire dei dolori altrui? 
Essere dotati di compassione? 
Saper risuonare al canto delle emozioni?




Negli anni '80, quando studiavo storia dell'Arte a Pisa, Empathy, per me e i miei compagni di corso, era la traduzione del termine tedesco Einfühlung, un neologismo coniato dal critico d'Arte Robert Vischer
Letteralmente significa UN (ein) CONTATTO (fühlung), ma per Visher indicava il processo di comprensione del "messaggio" di un quadro o di una scultura e, per allargamento semantico, la capacità di comprendere il valore simbolico della natura.

Einfühlung: usare l'immaginazione per entrare, un attimo, nell'animo di un pittore al fine di interpretare al meglio la sua opera.

In altre parole è una tecnica di interpretazione simbolica ideata per i critici d'Arte.
Gli inglesi tradussero Einfühlung con Empathy perché riscontrarono delle analogie tra il processo di interpretazione messo a punto da Visher e l'antica arte dell' empatéia (εμπαθεία), ovvero la capacità del cantore greco, di far risuonare assieme a quelle della lira, le corde emotive dello spettatore.
Perché, se ascolto la storia di Achille che piange sul cadavere di Patroclo mi commuovo (a volte)?
Di Achille, a dire il vero non m'importa un bel fico secco, non l'ho mai conosciuto, non sono mai stato innamorato di un guerriero acheo, né sono mai stato a Troia a fare a sassate e spadate per vendicare l'onore di un marito tradito.
Le lacrime non sono prodotte dal ricordo di una mia esperienza, ma da un ingrediente misterioso che Omero e l'attore che lo interpreta, sanno aggiungere al suono delle parole.



In trent'anni di teatro, di attori in grado di far piangere il pubblico con le parole ne avrò conosciuti forse una decina.
Non è una roba facile.
Eppure ad ascoltare quanto si dice in giro sembra che quasi tutti siano "empatici" .
E chi non lo è farebbe bene ad affidarsi alle cure di qualche specialista per imparare ad esserlo!
Strano.
L'inghippo nasce agli inizi del '900, quando un gruppo di psicologi e filosofi ispirati da Husserl e Wundt (si tratta dell'argomento del mio primo esame di psicologia, ne vado molto orgoglioso... ne  avevo messi due nel piano di studio) si inventa la Psicologia Sociale, ovvero lo studio dei rapporti tra il singolo e la comunità.
Einfühlung per gli psicologi, diventa la capacità, innata, dell'essere umano e di altri mammiferi, di comprendere le emozioni che stanno dietro alla mimica facciale o al gesto di altri individui della stessa specie.
Capacità innata, significa che fa parte ( o dovrebbe far parte, non dimentichiamoci che è una teoria...) del corredo genetico di una determinata specie.
In parole povere: il gatto muove la coda quando è nervoso, il cane quando è contento.
Fido vede Silvestro che scondinzola e si fionda a condividere le coccole, a Silvestro girano invece i maroni e lo graffia sul naso. cane e gatto diventano nemici.
Non si capiscono perché sono di due specie diverse, se fossero della stessa specie ci sarebbe, naturalmente, Einfühlung
Interessante.
Ricapitolando:
1) per un greco del IV sec, a.C. "Non sei Empatico" voleva dire "Non sei un bravo Attore".
2)Per uno studioso d'Arte dello scorso secolo il significato era "Non sei un un bravo Critico"
3)Per noi, oggi, significa "Non appartieni alla specie umana" o "Non appartieni a questa comunità sociale".
Ciò che indicava fino al secolo scorso, una qualità non comune, un talento eccezionale, ai nostri giorni è considerata una normale modalità di comunicazione. tanto normale da far apparire alieni coloro che vengono "accusati" di non possederla o di non farne uso.
A prescindere dall'uso scorretto che si fa della parola (la si usa come sinonimo di compassione, simpatia, capacità di accogliere ecc. ecc) essere empatici ai nostri giorni è diventato un imperativo morale.
Si fanno stage e corsi di formazione per apprendere l'Empatia.
Ecco qua (tratto da "Il mondo dell'empatia. Campi d'applicazione" di Federico Fortuna e Antonio Tiberio, Franco Angeli Editore): 

"Apprendere l'empatia - 
Selezionare insegnanti e allievi; 
Una scala di misurazione dell'empatia; 
Metodi di training; 
Esercizi per sviluppare l'empatia"

Empatia è  un metodo, che si apprende, per far passare il proprio messaggio nell'inconscio degli allievi, degli interlocutori, dei consumatori.
Si dirà che in fondo il fine è il medesimo dei Rapsodi e degli Aedi greci, che affinavano la propria sensibilità e le proprie capacità espressive per emozionare lo spettatore.
Ma c'è una differenza notevole, e coloro che si occupano di Yoga ne dovrebbero tener conto: teatro, musica, danza in origine erano ARTE SACRA.
L'interprete non portava la propria volontà individuale, ma "ASCOLTAVA E UBBIDIVA", sentiva le voci degli Dei, ovvero la legge della natura, e le riproponeva ( provava a riproporle...) pari pari.
Il messaggio che filtrava era un messaggio universale.
L'insegnante, il venditore, il politico odierni di solito cercano di trasmettere il proprio messaggio.
Essere empatico per un manager, significa entrare nella sfera emotiva di  sottoposti e clienti, imparare a comprendere eventuali segnali di disagio o apprezzamento, e convincerli della validità del messaggio suo e della sua azienda.
Essere empatici ai nostri giorni significa essere seduttivi, tanto è vero che nei "manuali tecnici" si studiano le dinamiche dell'innamoramento.
Ecco  dallo stesso testo di prima ( "Il mondo dell'empatia. Campi d'applicazione" di Federico Fortuna e Antonio Tiberio, Franco Angeli Editore) il brano che precede il capitolo sul Training Empatico:

"Lo sviluppo dell'empatia dalla nascita all'innamoramento:
Empatici si nasce o si diventa?
Le fasi dello sviluppo e la trasformazione dell'empatia; 

L'empatia tra genitori e figli; 
Le differenze dovute al sesso; 
Ulteriori contributi delle ricerche in campo evolutivo e sociale
L'empatia nelle relazioni d'amore
Empatia e amore; 
L'accuratezza empatica; 
L'empatia nella risoluzione dei conflitti di coppia; 
L'empatia prolunga l'amore; 
Quando l'amore supera l'empatia; 
Empatia e relazioni intime"

Non so se è chiaro: si studiano le dinamiche naturali dell'innamoramento e  si impara a ripresentarle in ambiti come l'imprenditoria o l'insegnamento dell'algebra, che con l'Amore fisico non dovrebbero avere niente a che vedere.
Per far passare meglio un messaggio imparo a farti innamorare riproponendo, artificiosamente, gesti, sguardi, toni della voce che insorgono, naturalmente, negli amanti.
Un simile training ha buone probabilità di condurre al successo, qualsiasi sia la nostra attività.
Ma sarebbe meglio tener lontani certi processi dalle scuole e dai corsi di yoga.
Chi insegna Yoga è, di solito (spero) anche un praticante. 
Sta lavorando per entrare in contatto con la propria vera natura.
Se segue il pensiero dominante e cerca di "apprendere l'Empatia" come la intendiamo ai nostri giorni, rischia di non saper più riconoscere i propri moti dell'animo.
Se buona parte della mia energia la dedico al cercare di indovinare qual'è il tuo punto debole, la breccia dalla quale posso far entrare il mio messaggio, e non sono sicuro del messaggio che devo far passare cosa otterrò alla fine?
Certo farò innamorare gli allievi.
Certo riuscirò a creare una buona energia nella classe o nella scuola o nel gruppo di meditazione, ma se non ho fatto ancora i conti con  con quelle sovrastrutture culturali (Cittavritti?) che impediscono il contatto con il vero Sé, alla fine che ne accadrà di me e dei miei allievi?
L'insegnante di Yoga dovrebbe essere colui che accompagna coloro che lo riconoscono come istruttore, in un viaggio a ritroso verso l'identità con il Principio, con Dio.
Questo è lo scopo dello Yoga.
Cerchiamo di non dimenticarcelo.


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