Quando ho cominciato a praticare e studiare yoga –sto parlando dei
primi anni ’70 – in genere si dedicava molto tempo allo studio dei “25
principi” e, in alcune scuole, gli allievi erano tenuti ad imparare a memoria
l’enumerazione del sāṅkhya
e a ripeterla come si faceva con le tabelline.
Mi pare – ma forse sbaglio - che oggi questa abitudine si sia un po’
perduta.
Nell’epoca post new age in molte scuole di yoga e gruppi di studio si
fa un gran parlare di abbandonare il senso di “Io” e “Mio” (magari rifacendosi
a particolari interpretazioni del XVIII capitolo della bhagavadgītā),
annichilire l’ego (inteso come ahaṅkāra)
e uccidere il manas.
Si tratta, in genere, di semplificazioni ad uso di allievi non
particolarmente versati nella filosofia indiana, ma, se le esaminiamo prendendo
come riferimento il Sāṅkhya
darśana
– “l’Enumerazione dei Principi” - da cui procedono le concezioni sia dello Yoga
sia dello Āyurveda frasi come “annichilire l’ego” e
“uccidere il manas” sono decisamente insensate.
Ho pensato che per qualcuno potrebbe essere utile gli appunti che
prendevo agli inizi della mia carriera di yogin.
Li ho copiati, ho corretto qualche baggianata, aggiunto qualche nota e
li ho incollati qua sotto.
Ovviamente non si tratta di “un barlume di verità” né di una
trattazione esaustiva, sono solo le mie-datate - riflessioni, ma credo che
potrebbe dar l’idea di cosa e come si studiava ai miei tempi quando ci si
avvicinava allo yoga.
Un sorriso,
P.
.
I 25 Principi.
Il Sāṅkhya
si fonda sulla enumerazione di 25 principi chiamati तत्त्व tattva parola traducibile con “assioma”, “principio”, ma che, per
ciò che riguarda lo Yoga – N.d.R. immagino che i miei amici sanscritisti
storgeranno la bocca – va assumere il significato di “determinazione” – tva –
di “Quello” – tat – dove “Quello” va inteso come “assoluto”, o forse “la sorgente “della cui esistenza non è dato
di sapere”, oppure come l’insieme di manifestato, e manifestabile.
Filosofia in sanscrito si può dire तत्त्वविद्या tattva vidyā e तत्त्वविद् tattvavid o तत्त्वज्ञ tattvajña significa filosofo.
Il punto di vista corrispondente alla Realtà, la visione del reale si
dice invece तत्त्वदर्शिन् tattvadarśin.
Ma veniamo adesso ai 25 principi (tattva) del Sāṅkhya (che nello Yoga medioevale
saranno portati a 36):
1. Prakṛti detto anche Mula (“radice”);
2.
Buddhi detto anche Mahat;
3. Ahaṅkāra, senso dell'io;
A questi primi tre principi seguono la mente sensitiva (manas, che noi
abbiamo posto al n.19 dello schema, ma spesso viene collocata al n.4), i cinque
tanmātra, che rappresentano cinque potenzialità percettive, i cinque organi di
senso ei cinque organi di azione.
Cinque tanmātra:
4. Qualità auditiva o sonora; (śabda);
5. Qualità della tangibilità (sparśa);
6. Qualità della visibilità (rūpa);
7. Sapidità (rasa);
8. Qualità olfattiva (gandha);
Dai cinque tanmātra procedono undici facoltà individuali, ovvero
cinque organi di sensi - buddhīndriya o jñānendriya - cinque organi di azione
- karmendriya e il manas o “mente sensitiva”.
I cinque organi di percezione - jñānendriya - sono:
9.
Gli orecchi o l’udito (śrotra);
10.
La pelle e il tatto (tvak);
11.
Gli occhi o la vista (cakṣus);
12.
La lingua od il gusto (jihvā);
13.
Il naso o l’odorato (ghrāṇa);
I cinque organi di azione-karmendriya sono:
14.
Gli organi di escrezione (pāyu);
15.
Gli organi generatori (upastha);
16.
Le mani (pāṇi);
17.
I piedi (pāda);
18.
La voce, la parola/gola (vāc);
L’undicesima facoltà individuale è la mente percettiva:
19.
Manas o senso interno;
Dalle undici facoltà individuali proceono i cinque elementi gossolani
o mahābhūta:
20.
Etere (ākāśa);
21.
Aria (vāyu);
22.
Fuoco (tejas);
23.
Acqua (ap);
24.
Terra (pṛthivī);
Infine, dalla combinazione
di tutti i principi emerge il venticinquesimo, che in alcune scuole, dove viene
riconosciuto come principio maschile assoluto, è posto al primo posto nello
schema:
25.
Puruṣa.
Come si è visto le undici facoltà individuali sono:
-
i cinque organi di sensi, i cinque organi di
azione e il Manas che rappresentano l'insieme degli strumenti di conoscenza
dell'individuo.
Da notare che talvolta si parla di 13 strumenti di conoscenza, perché
vi si aggiungono il senso dell'io, Ahaṅkāra, e Buddhi.
È interessante notare che nel Sāṅkhya:
-
Ciò che viene rappresentato dagli 11 strumenti
di conoscenza è definito "प्राण prāṇa";
-
Buddhi, o mahat, viene indicata talvolta come la trimūrti, ovvero viene intesa, per
così dire, come "luce intelligibile" e identificata con śiva, viṣṇu
e brahma.
Sia gli undici principi - che rappresentano le possibilità di
conoscenza dell'individuo - sia la buddhi, sono costituiti da prakṛti, sostanza.
Si parla di strumenti e, insieme, di principi costituenti della
manifestazione. Ciò significa che per il sāṅkhya
– e quindi per lo yoga e lo āyurveda
che al sāṅkhya
fanno riferimento - la manifestazione e la percezione, in un certo senso, sono
la stessa cosa.
Il primo tattva - प्रकृति prakṛti - ed il venticinquesimo - पुरुष puruṣa - potremmo considerarli come una polarizzazione
“apparente” dell'Essere.
Immaginiamo che siano due sostanze- o energie o enti –complementari,
in completo equilibrio tra loro e quindi in stato di quiete.
Per motivi che il sāṅkhya
non si propone di indagare l’equilibrio si spezza e si manifestano tre forze –
o qualità o sostanze – definite guṇa.
La parola गुण guṇa assume dei significati diversi a seconda dell’ambito in cui
viene usata, e questo può portare a una certa confusione:
-
Nella tradizione grammaticale del sanscrito - vyākaraṇa
- sviluppata nell’ “Aṣṭādhyāyī” attribuito a Pāṇini, guṇa indica la presenza
di una “a” breve in un unione con le altre vocali (grado “apofonico”) -
con la conseguente nascita delle vocali “composte” “e” ed ”o”- e si contrappone
al “grado allungato” – vṛddhi – che porta alla creazione dei dittonghi.
Esempio:
Vocali: a – i – u
Guṇa: a - e – o
Vṛddhi: ā – ai – au
-
Nel Jainismo la parola guṇa indica invece i
“dravya” - “stoffa”, “oggetto” – intesi come caratteristiche sia delle sostanze
organiche sia delle sostanze inorganiche, ovvero il colore, il gusto, l’odore
ecc.
-
Nel Buddhismo i guṇa sono le qualità del
praticante, ovvero:
1.
La “purezza” (in pāli pvisuddhi-guna);
2.
La “conoscenza trascendente” (pañña-guna);
3.
La “compassione” ((karunadhiguna);
-
Nelle scuole filosofiche “ateistiche” sāṅkhya
e yoga –quelle che ci interessano in questo ambito - i guṇa sono invece sia forze, che sostanza
che qualità
Avremo:
-
Rajas, attività, crepuscolo energia, passioni,
forza, desiderio (colore rosso);
-
Tamas, passività, oscurità, notte, pesantezza,
inerzia (colore blu/nero);
-
Sattva, equilibrio, neutralità, leggerezza,
giorno, purezza (colore bianco).
Due leggi governano i guṇa:
1.
Alternanza (quando le tre forze si influenzano
a vicenda);
2.
Continuità (quando una di queste qualità è
dominante rimane tale per un certo tempo).
I tre guṇa, tra loroindipendenti, sono costantemente intrecciati
nella natura differenziata e la loro azione reciproca controlla tutta l'evoluzione
della materia.
Nell’essere umano, ad esempio, la malattia è dovuta alla “continuità”
di uno stato “tamasico” sia di pensieri sia di emozioni sia della condizione
fisica (non c’è differenza sostanziale essendo tutti e tre – pensiero,
emozione, azione fisica – costituiti della medesima sostanza), per cui sarà
necessario intervenire con stimoli – fisici, emotivi o mentali - “rajasici” che
ristabiliranno l’alternanza conducendo ad uno stato “sattvico”, così come uno
stato continuativo “sattvico” verrà riequilibrato, sempre tramite rajas, per
ricreare l’alternanza.
Visto che le tre forze sono intrecciate tra di loro ci saranno anche
un “sattva tamasico”, un “sattva rajasico”, un “rajas sattvico” ecc. ecc.
Secondo gli insegnamenti del sāṅkhya
i guṇa, nella “ipotetica” unione puruṣa-prakṛti, sono “in quiete”, ovvero in
equilibrio, ma adun certo punto avviene “qualcosa”, a livello informale - un
qualcosa di cui non è dato conoscere i motivi - e viene prodotto il principio बुद्धि buddhi (o महत् mahat), assimilabile al nostro o logos.
Il principio buddhi, attivato dai tre guṇa non più in equilibrio,
viene rappresentato con le tre “persone divine”, brahma (buddhi attivata da
rajas), visnu (buddhi attivata da sattva) e śiva (buddhi attivata da tamas)[1].
La buddhi possiamo immaginarla come un raggio di Sole/Luce
intelligibile che va a disciogliere una porzione di prakṛti/sostanza primaria
mutandola in acqua/ चित्त
citta – una “specializzazione della mente” che
qui potremmo intendere come memoria/inconscio - dando luogo ad ahaṅkāra,
ovvero "ciò che fa l'io".
Siamo sempre sul piano informale.ma ahaṅkāra è lo strumento tramite
cui il jiva individuato può costruire gli altri strumenti, quelli con cui si
“darà vita” alla manifestazione formale - intesa come possibilità di conoscenza
della manifestazione - ed alla possibilità di azione.
Da ahaṅkāra procedono gli elementi sottili: i tanmātra, che, a loro
volta, daranno luogo a ciò che nel Sāṅkhya è definito प्रण praṇa, ovvero gli undici mezzi di conoscenza ed azione:
-
I cinque organi di senso: udito, tatto, vista,
gusto odorato;
-
I cinque organi di azione: ano, genitali, mani,
piedi, gola;
-
Il manas che è tutto ciò che sul piano formale
definiamo mente, intelletto, capacità immaginativa.
Gli undici strumenti, prana, sono ciò che si manifesta/rappresenta con
i cakra.
È solo adesso che si producono i cinque elementi grossolani, i भूत bhūta, ovvero la manifestazione fisica.
L'individualità quindi, sul piano formale, in un certo senso non
esiste, ma è vista come l'insieme degli undici principi che procedono da ahaṅkāra
e producono la realtà grossolana.
Se buddhi la possiamo immaginare come il fuoco - il raggio di luce che
illuminando l'acqua/citta dà vita al terzo principio del Sāṅkhya: Ahaṅkāra/terra
– possiamo anche dire che va a rappresentare l'intermediario tra आत्मन् ātman – spirito, anima intesa come sorgente
della vita - e जीवात्मन् jīvātman o anima individuata, dove जीवा jīva significa essere umano nel senso biologico ovvero “essere
vivente.
In un certo senso quindi buddhi - di cui brahma, viṣṇu e siva sono
una rappresentazione simbolica - dà origine
al jīvātman, come il raggio del sole crea l'immagine del sole sullo specchio
d'acqua.
Analogamente, come si è
detto, ahaṃkāra, terzo principio del sāṅkhya, lo si potrebbe
definire come il prodotto del riflesso della intelligenza creatrice
dell’Universo sull'Acqua/citta, e lo dobbiamo intendere come “insieme
delle condizioni d'esistenza che danno luogo all'individualità”.
Ahaṃkāra è responsabile della nozione di IO - अहम् aham - e, più che “Ego” lo si dovrebbe identificare con la "coscienza
individuale".
La coscienza individuale è ciò che rende possibile il rapporto con gli
oggetti esterni – बाह्यbāhya - e gli oggetti interni o अभ्यन्तर abhyantara.
Questa possibilità di fruizione è detta अभिमान abhimāna che letteralmente - e su questo ci sarebbe da riflettere - significa
sia orgoglio che arroganza.
Gli oggetti esterni – bāhya -
sono ciò che l'io, grazie ad abhimāna, percepisce dove
“percezione”, “percepibile” è प्रत्यक्ष pratyakṣa, parola che letteralmente significa "ciò che sta dinanzi agli occhi.
Gli oggetti interni – abhyantara -
sono ciò che l'io contempla, in sanscrito ध्यान dhyāna.
Ciò che è percepito e ciò che è contemplato prendono assieme il nome
di इदम् idam che letteralmente significa questo, ma che prende il
significato di altro da Sé.
Osservando con attenzione l'ordine dei principi del sāṅkhya ed il
significato dei termini sanscriti, scopriamo che l'ego – ovvero abhimāna - inteso come
l'arroganza dell'io- aham - che crede di essere diverso dagli oggetti percepiti
e contemplati, è un prodotto della coscienza individuale o ahaṃkāra.
Ahaṃkāra a sua volta è un riflesso della luce dell'intelletto o buddhi - identificabile con la त्रिमूर्ति trimurti, brahma, viṣṇu, siva – e, come tale “produce” tutti
gli altri principi – tattva - di ciò che chiamiamo
manifestazione.
È da ahaṅkāra infatti che procedono i cinque elementi sottili – tanmātra - che a loro
volta produrranno i cinque organi di percezione, i cinque organi di azione ed
il manas, da cui procedono i cinque elementi grossolani o bhūta.
Manas che traduciamo spesso con mente percettiva o senso interno, è in
realtà tutto ciò che definiamo ragione, immaginazione, capacità progettuale in
relazione all'individualità.
In pratica tutto ciò che riguarda il pensiero ed è “formale”
è manas.
Questo è un concetto assai importante perché significa che quando si dice, per esempio, che “occorre
annichilire l'ego” - inteso come ahaṃkāra - o uccidere il manas – dipinto da
taluni come il demonio - o li connotiamo comunque di negativo, si è per lo meno
superficiali.
Senza ahaṃkāra, secondo il sāṅkhya
e lo yoga, non vi sarebbe nessuna possibilità di manifestazione formale.
Senza manas (che è prodotto direttamente
da ahaṃkāra - non vi è niente di ciò che definiamo pensiero
o ragionamento o ideazione o fantasia.
Ahaṃkāra è ciò che produce e permette di far conoscere
la “manifestazione formale”.
Buddhi riguarda invece ciò che è la manifestazione Informale e non è in alcun modo
rappresentabile, immaginabile o percepibile se non tramite i suoi effetti
ovvero altro ahaṃkāra e tutto ciò che
da ahaṃkāra procede.
Uccidere l'ego, per lo yoga, significherebbe uccidere, la
manifestazione formale.
Ovvero far scomparire l'universo.
Perciò che riguarda, ईश्वर īśvara inteso come ventiseiesimo tattva secondo una interpretazione
assai popolare di Patañjali – sulla quale non concordo completamente – rappresenta
il punto di incontro, o l’insieme o la sorgente di manifestazione formale e
manifestazione informale.
Īśvara in questo caso coincide con mūlaprakṛti - मूल mūla = radice – e la sua
realizzazione - ovvero l’ipotetica identificazione del praticante con Īśvara - non potrebbe
implicare in alcun modo l’annichilimento di ahaṃkāra
inteso come “ego”, perché il senso dell'Io è sempre e comunque esistente a
livello potenziale, essendo una determinazione (riflesso) di Buddhi.
[1] Vedi R. Guenon,
L’uomo e il suo divenire secondo il Védànta”:
“Mahat viene ad essere concepito
distintamente come tre Dei per influenza dei tre guna, poichè è una sola
manifestazione (murti) in tre Dei, nell'universale è isvara, ma considerato (sul
piano dell'individualità e separazione) appartiene agli esseri individuali.”
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