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HAṬḤAYOGA - IL RESPIRO DEL FUOCO E DELL' ACQUA

Nel Laghu k ālacakratantra (IV, 196-97), un testo che fa parte del Canone Buddhista Tibetano, troviamo un intero capitolo dedicato allo haṭḥayoga, che ci fornisce delle indicazioni interessanti su cosa si intendeva nell’anno mille per haṭḥayoga. “Si espone adesso lo yoga del metodo violento (haṭḥayoga). Qui, quando, pur essendo stata vista l’immagine grazie alla ritrazione, ecc. il momento immoto […] non si verifica, non essendo il soffio ben controllato, allora mediante l’esercizio del suono (nādābhyasāt) occorre far spirare violentemente (haṭḥena) il soffio vitale nel canale di mezzo e, ciò fatto, arrestare il bindu del bodhicitta nella gemma del vajra che si troverà allora nel loto della saggezza. [Grazie a questa pratica lo yogin] realizzerà l’istante immoto, in base alla non vibrazione (niḥspanda). Tale lo yoga del metodo violento  (haṭḥayoga) .” Per poter interpretare il brano bisogna considerare che nel  k ālacakratantra : -          Per “ bodhicitta ” si intende lo

COSA È LO HAṬḤAYOGA?

    Cosa è lo  Haṭḥayoga? Molti praticanti, più di quanti pensassi fino a poco tempo fa,  credono che lo  Haṭḥayoga sia uno "Yoga ginnico" in cui si sta fermi in certe posizioni, a differenza del viny āsa in cui si passa fluidamente da una posizione all'altra. Una disciplina fisica insomma, abbastanza statica, che viene collegata alle religiosità hindu e  alla spiritualità new age . Fino ad una cinquantina di anni fa, quando ho cominciato a fare yoga, si considerava invece lo    Haṭḥayoga come una pratica alchemica finalizzata ad ottenere dei poteri psichici in seguito ad un'esperienza che chiamavamo "apertura del Terzo Occhio". Ogni  āsana era (è...) anche e soprattutto un rito, e non solo un esercizio  per sciogliere le articolazione e rilassare i muscoli. La foto che accompagna questo post ( l'autrice è Jacqueline Hargreaves)  ritrae un'affresco del XVIII secolo in cui si vede uno  Haṭḥayogin impegnato nella pratica di  paścimottānāsana

IL TANTRA DELLO SGUARDO E LA BIBLIOTECA DI BABELE

  Il Tantra dello Sguardo è una tecnica tanto semplice quanto tremendamente efficace; ci siede tanto vicini da rischiare di sciogliersi in un bacio e si cercano i nostri occhi negli occhi dell'altro. Si respira e si immagina di prendere aria e, poi, di donarla al partner proprio attraverso gli occhi. Tecnica semplice, che ha effetti straordinari: dopo un po' si perde la coscienza dello spazio e ci si confonde, fino a non sapere più chi è colui che osserva e chi è che è l'osservato. Guardarsi negli occhi, senza nessun altro scopo che ricevere e donare un riflesso di luce: Laura ed io lo facciamo spesso, e ogni volta mi meraviglio della potenza, assurda, di un esercizio così semplice. Certo essere innamorati aiuta, ma è un'esperienza che vale sempre la pena di provare: si ha la sensazione di vedersi visti e di toccare, per un istante, un brandello della propria essenza. Bisogna dire che tempo era una pratica comune, non occorreva certo essere Yogi: lo sguardo e il gesto e

PARLIAMO D'AMORE? DIWALI 2021

  Pare desueto, l'amore, di questi tempi.  Due che si amano e  vivono per farsi felici l'un l'altro, non fanno notizia. La paura si vende meglio, e se  non se ne ha abbastanza ci ficchiamo sotto le coperte, ad occhi chiusi, nella speranza di scorgere le streghe, i fantasmi ei draghi perduti tanti anni fa, nell'oscurità senza tempo di una sera d'inverno.  A volte, fuggiamo invece  nella luce del sole, dove la Ragione, unica maestà, ci inebria di certezze, si,  ma non dà gioia,  Rassicura, certo, dà conforto,  ma  le sue mirabili architetture, prima o poi, lo sappiamo bene,  perdono fascino, si inaridiscono. Raro che amore si accompagni alla paura e la luce, accecante, della ragione non gli dona:  preferisce la penombra, il pastello del tramonto o la notte stellata. "Se il sole ci mostra il mondo senza pudore, è con discrezione che i ricami oro e argento  delle stelle ci portano fuori dalle tempeste, e addolciscono il vuoto angosciante della notte.  Troppo caldo

SHIVA E L'AMORE CHE NULLA PRETENDE

  L’Amore che Nulla Pretende   Sono tante le chiavi di interpretazione del mito di Satī . Di certo vi si può leggere un conflitto tra il mondo strutturato da una mente, tra virgolette, “maschile” e l’universo del sentire e delle emozioni che, probabilmente sbagliando, definiamo “femminile”. Satī, dea “bambina”, viene a trovarsi al centro di un conflitto, per lei assurdo, tra il Padre e lo Sposo. Dak ṣ a , figlio di Brahmā vuole affermare la sua superiorità nei confronti del genero. Śiva , dal canto suo, non ha nessuna intenzione di scendere a patti con il suocero, né di farsi umiliare davanti all’assemblea delle divinità. Di fronte al mancato invito reagisce con orgoglioso distacco e, quando la moglie gli comunica la sua decisione di partecipare comunque, con o senza di lui, alla cerimonia organizzata dal padre, tira fuori l’arma della violenza passiva: “Vai pure, fa ciò che vuoi, ma poi non venirmi a raccontare che non te l’avevo detto! ” Quante volte noi uomini abbiamo u