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LO YOGA, L'AUTO-STIMA E IL MITO DEL 10%



Il potere delle parole mi ha sempre affascinato, ne basta una, pronunciata in un certo modo,in un determinato momento per cambiare la vita di una persona, di una famiglia o di una nazione.
Pura magia.
A volte per determinare il corso della storia basta la sua assenza.
Ricordo ad esempio uno studio, di Noam Chomsky sulla lingua cinese all'epoca dei mandarini.
Pare che contadini e allevatori, tartassati dai nobili e umiliati dalle loro angherie,  se la passassero assai male in quei tempi, ma, stranamente, nelle cronache non c'è traccia di disordini e tentativi di rivolte.
La spiegazione, secondo Chomsky, era da ricercarsi nell'assenza di una parola che significasse "ribellarsi contro l'ordine costituito". I contadini stavano male, sapevano che la colpa era dei loro governanti, ma non avevano gli strumenti linguistici per esprimere il loro dissenso e,quindi,per trasformarlo in azione.
I napoletani ai tempi di Masaniello potevano dire -"Stiamo male! La colpa è dei Borboni! Ribelliamoci!"- e scendevano in piazza.
-"Stiamo male"-dicevano i francesi ai tempi di Marat -"La colpa è del Re! Ribelliamoci"-e facevano la Rivoluzione.
I cinesi  no.
Dicevano -"Stiamo male! La colpa è dei mandarini!"- e la cosa finiva lì.

Pure la parola Rivoluzione è interessante. I francesi fanno la Rivoluzione per liberarsi dal Re  e creare la Repubblica e dopo pochi anni si ritrovano con un imperatore più dispotico dei monarchi precedenti.
Sorprendente per chi studia la Storia, normale per chi crede alla magia delle parole.

Vediamo che dice la Treccani:
rivoluzióne s. f. [dal lat. tardo revolutio -onis «rivolgimento, ritorno», der. di revolvĕre: v. rivolgere]. – 1. Nell’uso scient., per un corpo in movimento intorno a un altro corpo, lo stesso che giro completo, e anche il relativo moto, più propriam. detto moto di r.; in senso meno proprio è usato come sinon. di rotazione (di un corpo intorno a un asse). In partic.: a.In geometria, superficie o solido di r., lo stesso che superficie o solido di rotazione. b. In astronomia, moto di r. (o, talvolta, semplicem. rivoluzione), il moto di un corpo celeste (pianeta, satellite, compagno di una stella doppia) intorno al suo centro di gravitazione (Sole, pianeta centrale, astro principale).

Già...Rivoluzione è l'atto di "ruotare intorno ad un asse fino a tornare al punto di partenza".
Per secoli si è usata (e si usa tutt'ora) la parola Rivoluzione  nel senso di "cambiamento improvviso", "rovesciamento dei valori", "trasformazione radicale" , ma ciò che significa veramente è "muoversi per tornare al punto di partenza.
Pensate alla rivoluzione sessuale, all'amore libero e ai reggiseni bruciati nei favolosi anni '60.
Oggi sui network ti censurano anche i quadri di Giorgione e Caravaggio, e se posti l'immagine della tua fidanzata al mare, in topless ti sospendono l'account Facebook!

Sembra quasi che le parole abbiano un potere che esula dall'uso che se ne fa: hai voglia a cambiarne il significato! Prima o poi la magia nascosta nel suono originario si farà viva, con furia distruttrice a volte, con arguzia e ironia altre.

Chissà che accadrà con "Empatia" ad esempio.
Al giorno d'oggi si usa spesso come sinonimo di "Compassione". Chi è "empatico", oggi è uno che sente le emozioni degli altri, si infila nei loro panni e li comprende.
Chi non è "empatico" è un insensibile, ai limiti della crudeltà.
Insegnare Yoga o fare il terapeuta per un "non empatico" è praticamente impossibile.
Ma quale sarà il vero significato della parola?
Surprise!
In origine con Empatia si indica  una tecnica teatrale, basata sulla capacità dell'attore di far insorgere stati emotivi apparentemente immotivati negli spettatori, grazie a particolari atteggiamenti e toni della voce.
Insomma, si tratta di una tecnica di manipolazione. 

Non so se notate la sottile differenza: un tempo  era definito empatico chi, per un proprio fine, creava intenzionalmente pianti, risa o rabbia negli altri.

Oggi l'empatico è chi patisce per le pene altrui e per le gioie altrui si rallegra.

L'antica arte dell'empatéia (εμπαθεία) insegnava al cantore greco, a far risuonare assieme a quelle della lira, le corde emotive dello spettatore.
Perché, se ascolto la storia di Achille che piange sul cadavere di Patroclo mi commuovo (a volte)?
Di Achille, a dire il vero non m'importa un bel fico secco, non l'ho mai conosciuto, non sono mai stato innamorato di un guerriero acheo, né sono mai stato a Troia a fare a sassate e spadate per vendicare l'onore di un marito tradito.
Le lacrime non sono prodotte dal ricordo di una mia esperienza, ma da una serie artifizi tecnici studiati a tavolino.



In teatro il pubblico sa che l'attore mente, nella vita sociale no.

Che accadrebbe se, come accaduto con "Rivoluzione", il potere nascosto nella parola Empatia decidesse di venire alla luce?

Sarebbe terribile! Le migliaia, forse milioni di empatici maestri, terapeuti, "facilitatori" e istruttori che affollano il variegato mondo delle discipline olistiche, guardandosi alle specchio,riconoscerebbero in se stessi dei cinici manipolatori.

Una catastrofe! la loro auto-stima avrebbe un down peggio della Borsa dopo l'Affaire Lehman Brothers.

Ah! Ecco. 
Auto-stima è un'altra parola assai usata nella nostra società.
Vediamo che significa.
"Auto" ovviamente significa "da sé", "da soli", direte voi.
Sbagliato. Cerchiamo sul vocabolario:

auto, s.m. - "Atto, "azione teatrale in atto”; in un primo tempo di argomento biblico o agiografico ( autos viejos ), gli autos vennero poi precisandosi (secolo XVI) nella forma dell’ auto sacramental, a carattere allegorico-religioso, che si rappresentava a mezzogiorno, in piazza, e al quale assistevano tutti, dal sovrano al popolo minuto".


Anche qui siamo nel campo teatrale. In origine "Auto" indicava una rappresentazioni teatrale messa in scena dalla Chiesa e dalle classi dominanti.
Visto che per un periodo gli "auto" interpretati da preti e monaci, si contrapponevano agli spettacoli fatti dai teatranti professionisti (considerati miscredenti), la parola finì per indicare, nel linguaggio popolare le azioni di chi,per così dire, "se la canta e se la suona".

Passiamo a "stima".
Si legge nel  vocabolario Treccani:

stima s. f. [der. di stimare]. – 1. a. Valutazione del valore economico e monetario di un bene immobile o mobile (o anche, in rari casi, di un servizio): fare o far fare la s. di un fondo rustico, di un terreno fabbricativo, di una casa, o di un quadro, di un gioiello (o di una consulenza professionale, di una prestazione tecnica); ormai ant. la locuz. avv. senza stima, in modo inestimabile, enormemente: per la morte del padre ... senza s. rimase ricchissimo (Boccaccio). Con sign. più generico, valutazione monetaria di qualsiasi fatto che costituisca un aspetto o una conseguenza di carattere economico

Quindi, letteralmente, "Auto-stima" starebbe ad indicare la valutazione economica di un bene materiale fatta dal suo stesso proprietario, insomma,l'atto di "cantarsela e suonarsela" anche in materia economica.

In altre parole se devo vendere una casa non la faccio "stimare" dai consulenti della banca o da un architetto. decido io il valore di vendita.

Ai nostri tempi il termine "Auto-stima" si usa esclusivamente nel senso di valutare se stessi.
E per valutare se stessi esiste una formula precisa:
 "Si definisce Auto.stima il rapporto matematico tra un "Io ideale" e un "Io percepito".

Più l'Io percepito si avvicina all'Io ideale (o lo supera) e più sono felice (Io ideale/Io percepito = 1 o < 1)
Più si allontana più sono infelice (Io/ideale/Io percepito >1).

Non so se notate l'incongruenza: si applica una precisa formula matematica a fenomeni soggettivi e straordinariamente mutevoli, impossibili da misurare e verificare.

Come posso misurare il mio Io inteso come personalità, carattere, capacità di relazionarsi con lì'esterno, sensibilità...mi do dei voti?

E ammettendo di poterlo fare, che senso ha confrontarlo con un "Io ideale"?
L'Io ideale è sempre frutto della fantasia.
Anche se prendo a modello un personaggio realmente esistente,o esistito (Alessandro Magno, Marilyn Monroe, Ronaldo, Steve Jobs...) non potrò mai sapere quali sono le sue reali speranze, sogni, dinamiche mentali, emozioni...Non potrò mai sapere chi è in realtà.

Certo, se vado, ad esempio sul piano dello sport agonistico il discorso è diverso.
Misuro le prestazioni.
Se il mio Io Ideale corre i cento metri piani in 10" netti e io in 11", mi allenerò per essere più veloce e più mi avvicino ai 10" netti più sono soddisfatto.

Ma nella vita quotidiana che senso ha?
Eppure il concetto di "auto-stima" è entrato così profondamente nel nostro immaginario che il migliorare il rapporto Io ideale/io percepito è diventato quasi un imperativo morale.
Ci si è inventati un nuovo mestiere, quello del "motivatore", colui che mette in pratica delle tecniche di manipolazione (Empatéia?)per migliorare l'auto-stima di manager, sportivi e persone comuni.

Si organizzano, con titoli e modalità diverse, centinaia di corsi "per aumentare la propria autostima" e si passa un sacco di tempo a costruire  dei modelli da imitare, dei modelli di comportamento, delle persone ideali cui assomigliare.

Il concetto di auto-stima è entrato così profondamente nella nostra testa da farci dimenticare che è una roba che non esisteva fino al secolo scorso.
Lo consideriamo una verità ontologica, ma è una teoria moderna, elaborata dallo psicologo americano Williams James, presidente della Society for Psychical Research dal 1894 al 1895:



William James era persona assai influente, da una sua battuta nacque, negli anni '90 del XIX secolo, il mito del 10%, la balla cosmica per cui l'essere umano utilizzerebbe solo una minima percentuale delle proprie facoltà mentali.

Già, anche questa per la maggior parte delle persone è una verità ontologica: sul mito del 10% (o 20% secondo alcuni) si scrivono libri, si realizzano film e si creano nuove religioni e correnti filosofiche. 
Il successo di Scientology,ad esempio, dipende in gran parte, dalla convinzione che Dianetica, ideata da Ron Hubbard possa aumentare la percentuale di utilizzazione delle capacità cerebrali. Eppure si tratta di una balla, o di una battuta.
Quando era ricercatore dell'Università di Harvard William James ideò un "percorso formativo" (ovvero un sistema di addestramento) per il figlio di un suo collega, Boris Sidis, particolarmente portato per la matematica. Nel 1908, dopo aver verificato i progressi del bimbo prodigio affermò:

-"Stiamo facendo uso di solo una piccola parte delle nostre possibili risorse mentali e psicologiche"-

Le performance del ragazzino col tempo si assestarono su livelli di normalità (se non di mediocrità), ma la frase passò alla storia.

Nel 1936 un attore americano, Lowell Thomas, nello scrivere l'introduzione ad un manuale per venditori, "How to win friends and influence people" di Dale Carnegie, riprese la battuta di James e, per dargli autorevolezza scientifica, aggiunse l'affermazione sul 10% di cervello utilizzato.

Il libro divenne un Best Seller e la balla del 10% si trasformò in una "verità scientificamente dimostrata" per milioni di persone.

In realtà,lo ripeto, si tratta di una credenza, ma è stata ripetuta così spesso da personaggi autorevoli che è quasi impossibile sradicarla.

L'essere umano contemporaneo è sempre convinto di essere sottovalutato, di non essere apprezzato per ciò che veramente vale, di non utilizzare appieno le proprie capacità, per cui la balla del 10% arriva come il cacio sui maccheroni per ravvivare le speranze di successi strabilianti e far intravedere l'uscita dal tunnel della mediocrità che molti di noi credono di aver imboccato.

La sensazione di non vivere la vita, fantastica ovviamente, per la quale saremmo nati dipende in gran parte dal concetto di auto-stima, un'altra delle brillanti invenzioni di William James.

Praticamente, secondo la attuale, cattiva interpretazione delle teorie dei neuroscienziati di inizio '900, ciascuno di noi avrebbe la possibilità di giocare a calcio come Ronaldo, essere sexy come Marilyn Monroe, fare soldi come Steve Jobs e dipingere come Caravaggio.
E soprattutto sarebbe felice e soddisfatto per essersi infilato nei panni di Ronaldo, Marilyn, Steve Jobs o Caravaggio.
Ma chi l'ha detto che questi personaggi sono o sono stati felici e soddisfatti? che ne sappiamo dei moti profondi della loro anima?

Prima di James gli esseri umani, salvo eccezioni, pensavano a vivere e a far vivere la propria famiglia e la propria comunità, non a crearsi modelli di comportamento.

Leonardo da Vinci disegna bene sin da bambino. I genitori lo mandano a bottega perché sviluppi il suo talento e ne faccia una professione:

Non è che si sia messo a pensare a Giotto come ad un'io ideale ed abbia passato la vita a cercare di assomigliargli!

Ma veniamo al mondo dello Yoga.
Credo che occuparsi di Yoga (o di Zen, o di Taoismo) senza abbandonare i nostri pregiudizi culturali sia solo uno sterile esercizio della mente, un giochino per tenerci impegnati.

Affrontare la pratica  dello  Haṭhayoga o del Tai ji Quan, i testi di Shankara e Lao Tse o i discorsi di Shakyamuni con gli occhiali della psicologia moderna o della filosofia tedesca del XIX° secolo può essere divertente e gratificante, ma forse è inutile, o addirittura nocivo.

Come andare in montagna con le pinne e la muta da sub.

Non si possono, tradurre i termini sanscriti e cinesi riferiti, che so...,all'energia vitale con le parole di Freud o di Henry James, perché l'universo degli yogin e dei taoisti era "fisico".

Ahaṅkāra, ad esempio, il termine sanscrito che viene tradotto con "egotismo" o "individualità", per gli yogin è una realtà fisica, un organo, o parte di un organo, che ha la funzione di permettere la conoscenza della realtà: tutta la realtà racchiusa tra le vibrazioni A ed Ha, ovvero la prima e l'ultima sillaba dell'alfabeto sanscrito, rese visibili dal fuoco/luce (Ra) e ricondotte al cuore (Ka, primo petalo del cakra del cuore e prima consonante dell'alfabeto). 

L'universo dello Yoga e del Tao è vibrazione, le energie mentali, le emozioni, i sentimenti si muovono esattamente come le onde del mare, i raggi del sole o il vento d'estate.

Molti di noi si occupano di psicologia e credono di occuparsi di Yoga. 

Il che non è assolutamente un male, ci mancherebbe, i problemi nascono quando si confondono le due discipline.

Come se non bastasse di questi tempi si tende a chiamare "psicologia" un mucchio di roba pseudoscientifica, che sta Freud e Jung come la gassosa allo champagne.

Roba pericolosa, da affrontare con le scarpe rinforzate e i mutandoni della nonna...




Il concetto di individuo come persona umana è concetto moderno appartenente alla teologia, alla filosofia e alla giurisprudenza occidentali.

Nella nostra costituzione si parla chiaramente di sviluppo delle possibilità creative e produttive della persona umana.
L'uso dell'aggettivo qualitativo "umana" sta ad indicare la differenza che i legislatori riconoscevano tra Persona Umana e Persona Divina.

La Persona Umana è l'individuo, Paolo, Andrea, Roberta.

La Persona Divina è il Cristo.
Con il mutamento dell'organizzazione sociale, nel XVIII° secolo, la comunità è diventata "Società di Individui".

E' John Locke il primo a parlare compiutamente di Personal Identity e siamo nel 1694.






Prima di allora il concetto di individuo non esisteva.

Il Re non era un individuo, il Papa non era un individuo, e le famiglie erano organizzate in maniera diversa da oggi.

Possiamo intuirlo grazie alla sopravvivenza di alcune consuetudini:

io mi chiamo Paolo perché mio nonno si chiamava Paolo e suo nonno si chiamava Paolo.

Il sapere familiare si trasmetteva da nonno a nipote permettendo l'alternarsi di cicli di "conoscenza" rappresentati dalle generazioni.

Non c'era nessuna differenza tra i vari Paolo della famiglia.
Si trattava dello stesso "ente".

E' per questo, probabilmente, che nella bibbia i vari Matusalemme e Noè vivono per secoli e secoli.
Il nome rappresentava qualcosa di più dell'individuo, e durava ben oltre i 40-50 anni di vita media di allora.

Con il pensiero filosofico e teologico legato al passaggio dal regime feudale alla società borghese si è applicato al singolo elemento della comunità lo stesso principio che si applicava prima al Cristo o, nella Grecia presocratica, ad Orfeo.





Il Cristianesimo in occidente si basa sulla "Trinitarietà":

Gesù è Persona Umana.
Cristo è Persona Divina.
Dio è l'Assoluto.Allo stesso modo per gli orfici:

Orfeo era Persona Umana.
Dioniso era Persona Divina.
Zeus era l'Assoluto.

Per individuo o persona umana si intende oggi un essere razionale dotato di coscienza di sé e in possesso di una propria identità.
Una definizione non soddisfacente.
E se uno sviene e perde conoscenza (ovvero non è più cosciente) non è più una persona?
E se uno è scemo e non agisce razionalmente non è una persona?

Si è arrivati a definire l'individuo tramite un qualcosa di spirituale che lo anima e caratterizza al di là della dimostrazione di razionalità e coscienza di Sé.
Nella Filosofia Orientale non c'è niente del genere, o meglio c'è, ma è collegato ad una "alterazione percettiva" dovuta all'ignoranza. 

Per questo che non riusciamo a capire come mai per Patañjali (yoga sutra) अस्मिता asmitā (egotismo, individualità, egoismo) sia contemporaneamente indicata come causa di sofferenza (क्लेश kleśa) e come il più alto stato coscienziale raggiungibile con la pratica yogica, il samadhi sasmitā.

L'individualità, l'ego, nello yoga non esistono.

Le catene di insegnamento, i "lignaggi" sono la negazione dell'individualità:

L'identità individuale, per lo yoga, il taoismo o lo zen, è solo un costume di scena, una maschera di cartapesta che cela il volto della Persona.
Se non prendiamo coscienza della differenza tra ciò che "è" e ciò che è causato, in noi, dalle sovrapposizioni culturali difficilmente potremmo comprendere la portata degli insegnamenti di Shankara, Buddha o Lao Tse.

Ciò che ci sembra connaturato alla nostra stessa esistenza, come il concetto di identità individuale inalienabile, è spesso frutto di teorie psicologiche e di discussioni tra intellettuali.

Discussioni fatte tra menti acutissime, per carità, e teorie che hanno prodotto cambiamenti radicali nella società moderna, ma non si deve credere che questi concetti esposti da menti così raffinate, siano parte della nostra natura.

Il concetto di identità individuale, che ha condotto a notevoli progressi dal punto di vista sociale, ha finito per alimentare l'egotismo e la ricerca di piaceri e beni materiali.

La piccola volpe che si fa rincorrere e sbranare dai segugi per salvare la vita ai propri cuccioli non ha il senso dell'identità.
Segue la legge naturale.

Quanti sarebbero pronti a sacrificare la propria vita , oggi, per la propria famiglia o i propri figli? 
Chi lo fa viene chiamato o eroe o pazzo.
Un tempo era cosa naturale.

Il cercare di armonizzare una filosofia non duale come lo Yoga con il concetto di identità individuale è impresa improba.

Cerchiamo la realizzazione dell'ego e parliamo di realizzazione dell'Assoluto, finendo per confondere la soddisfazione dei nostri desideri, il nostro "sentirsi bene o a nostro agio", l'accrescersi della nostra "auto-stima" con il progresso (?) spirituale.

L'uso frequente della parola umiltà che si fa nelle sale conferenze, nei forum filosofici, nelle classi di yoga ne è la riprova.
Affermare -"Io sono umile"- o -"Tu devi essere più umile"- di vista dello yoga è una contraddizione in termini.

L'umiltà è una colorazione dell'ego.
Se Kashyapa si inginocchia di fronte alle parole di Buddha non lo fa per umiltà, lo fa perché si tratta di un naturale riconoscimento.

Sensei Akira Matsui, un attore di teatro Noh, diceva spesso che sapersi inginocchiare in seiza posando per tre volte la fronte a terra è cosa assai difficile per i praticanti non esperti.

Chissà...forse se imparassimo a inginocchiarci per benela nostra Autostima ne beneficerebbe...

Un sorriso, P.



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