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I SATSANG DEL GIOVEDI' - PLATONE E LO YOGA (prima parte)







La settimana scorsa, dopo il "Satsang del Giovedì" con Gabriele Gailli e Nunzio Lopizzo, ci siamo trovati a parlare delle affinità tra il pensiero, la vita e soprattutto, la maniera di affrontare la morte, di Nisargadatta, Yogananda e Ramakrishna e quello di Socrate, Platone e Plotino.

L'idea che lo Yoga e la filosofia Greca siano parte di una Tradizione unica (la "Filosofia perenne") non è certo nuova, ma le occasione per parlarne e discutere sulle affinità tra le due linee di insegnamento, nell'era della Post New Age e del Boom del mercato della Spiritualità, sono assai rare.
Ed è per questo che la chiacchierata dell'altra sera mi ha rallegrato e mi ha fatto venir voglia di approfondire un poco l'argomento, nella speranza che altri siano invogliati ad entrare nel nostro "Cenobio" virtuale.

Si parlava della morte, con Nunzio e Gabriele, e delle differenze tra il concetto di Corpo Tomba dell'Anima di Platone e degli Orfici, e quello, non solo indiano, di Corpo come tempio di Dio.

Differenze apparenti, secondo me.
Se il corpo per Platone e gli orfici è TOMBA dell'anima ne è anche SEGNO (SEMA), in pratica avremo Corpo - Custodia dell'anima (SOMA) e corpo-Segno dell'anima (SEMA).
Per noi è difficile comprendere certe sottigliezze perché nella civiltà moderna la parola sta sostituendo il Corpo.

Sembra di intravedere,  un processo di trasformazione secondo la direttrice PAROLA (la Vibrazione Universale dello Yoga o il Verbo dei cristiani)-Corpo-parola (intesa come pensiero discorsivo e linguaggio comune).

Il corpo per lo Yoga, è la rappresentazione artistica della Parola (con la P maiuscola) per cui gli esercizi psicofisici cui si sottopone lo yogin altro non sarebbero che tentativi di sciogliere i "nodi" che impediscono la libera espressione, nella materia, di ciò che definiamo anima.

Oggi invece, il corpo viene modificato, con le ginnastiche, la chirurgia estetica o la moda, per renderlo simile ad un'idea che non è più Idea nel senso platonico, ma sovrastruttura culturale.
Non si ricerca più lo "stato naturale", sinonimo della Libertà che spetterebbe all'essere umano per "dignità di nascita", ma uno "stato culturale" in cui si cerca di somigliare a modelli fisici e psicologici imposti dalla società. 

In altre parole un'Estetica Relativa ha sostituito l'Etica/Estetica platonica e si cerca di adeguare il corpo, anziché al "Bene in Sé", al  modello sociale  che non è il più segno (sema) dell'anima, ma la combinazione delle apparenze che vengono attribuite a concetti relativi come successo, gioventù o salute.



Scrive Raphael nella prefazione di "Orfismo e Tradizione Iniziatica":

"Dioniso! Questo nome è stato sulle labbra di migliaia di persone in luoghi diversi, fin da epoche remotissime e , se ancora se ne scrive, vuol dire ch'esso è presente".

Se Dioniso è presente, lo sono anche i Titani.
Dioniso Zagreo, fatto a brandelli dai Titani viene riportato alla vita come redentore (Dioniso Celeste) da Zeus, e dalle ceneri dei Titani Zeus stesso creò gli uomini.

Dioniso e i Titani sono quindi un duplice aspetto del corpo, materia grezza (i Titani), di incredibile potenza, illuminata da un riflesso divino (Dioniso).
Ma torniamo all'Anima, che, nella banalizzazione moderna del pensiero di Platone e Plotino sarebbe rinchiusa nel "Corpo prigione".

Per gli orfici è "Figlia di Terra e di Cielo Stellante", una definizione che mi ricorda molti passi delle upaniṣad.
Anima come frutto dell'unione tra la Materia e il "suono/luce" proveniente dalle stelle...
Ecco...la Parola, con la P maiuscola, è suono/luce del Cielo stellante, la parola con la p minuscola  ne è la pallida imitazione.

Per la Tradizione Unica la nostra esistenza è (dovrebbe essere) un viaggio a ritroso verso la Parola e il suo artefice, celato nel punto di incontro tra il Manifestato (e il Manifestabile) e l'Immanifesto, per noi, nella nostra società, è, spesso, un girotondo fine a se stesso, danzato al ritmo dell'ininterrotto chiacchiericcio che ci accompagna, volenti e nolenti, in ogni istante della nostra vita, condizionando le nostre scelte, le nostre opinioni, le nostre azioni.

L'estrema diffusione dello Yoga e delle discipline chiamate oggi olistiche se da un lato ha avvicinato i  molti al pensiero orientale, dall'altro ha prodotto un'estrema banalizzazione del sapere tradizionale.
I motivi sono ovvi: più semplice e accattivante è il messaggio e maggiore sarà il numero dei clienti.
Il numero di coloro che sono in grado (o sono costretti, per ragioni di mercato) d banalizzare il messaggio degli antichi maestri promettendo guarigioni da ogni male, illuminazioni a prezzi scontati  e iniziazioni un tanto al chilo, negli ultimi tempi è aumentato a dismisura e visto che, per dare  autorevolezza al loro dire, usano le stesse espressioni dei maestri antichi, anche coloro che sarebbero qualificati ad un insegnamento tradizionale vagano, smarriti, tra le mille e mille proposte del "business della Consapevolezza".

Quando si dice che la tradizione in occidente si è interrotta o dorme credo si intenda proprio questa mancanza di riferimenti certi.

Un Maestro parla e scrive per discepoli e aspiranti dal diverso livello coscienziale.

Un discepolo comprende a seconda del proprio livello coscienziale.

Ma, non essendoci un riferimento certo, ecco che in occidente ci si trova ad andare a tentoni.

Per tornare alla questione della originale identità tra Tradizione occidentale e Tradizione orientale, facciamo un esempio pratico: la Laminetta Aurea di Turi, trovata in una tomba orfica (kern-frammento 24 c.) il cui testo viene riportato dal Reale, citato a sua volta da Raphael in "Orfismo e Tradizione Iniziatica", pg. 47:

"...Folgore scagliata dalle stelle. Volai via dal Cerchio che dà affanno e pesante dolore, e salii a raggiungere l'anelata Corona con i piedi veloci, poi mi immersi nel grembo della Signora [...] e discesi nell'anelata Corona con i piedi veloci...."

Credo che nessuno si scandalizzerebbe se dicessi che termini come "Folgore", "Cerchio che dà affanno", "anelata Corona", "grembo della Signora", siano quasi le traduzioni letterali di parole sanscrite che per noi yogin sono familiari ("vajra",  "saṃsāra", "mūrdhānta", "Kōṉiyammaṉ" o "Yonidevī"), e, approfondendo, vedremo che le affinità tra Yoga e Filosofia greca sono molte e niente affatto formali:

Platone, ad esempio,  indica tre vie per far volare l'anima verso "l'anelata corona":
1) Conoscenza;
2) Eros;
3) Azione.

non vi pare che potrebbero essere intese come jñāna mārga, bhakti mārga e  karma mārga?

Basterebbe tradurre ātman con Noùs, jīvātman con Psiché   e Soma con sthūla śarīra per trasformare i testi orfici e platonici in trattati vedantici.

le corrispondenze  tra tradizione orientale e tradizione (definiamola così...) pitagorica sono sin troppo evidenti:

"Zeus è il principio, lo stato mediano e la fine del tutto"

Dicono gli orfici.


"Il praṇava (Oṃ) è in verità, l'inizio, lo stato mediano e la fine di ogni cosa"

Dicono le upaniṣad, a dimostrazione, secondo me, del fatto che si tratti di un'unica tradizione.

Tornare ad approfondire il pensiero di Pitagora, Platone e gli Orfici, renderebbe immediatamente più chiari gli insegnamenti dei maestri indiani, aiutandoci a scrostare la patina di ignoranza che, nel mercato della spiritualità, è stata spalmata sugli autentici insegnamenti dello Yoga.

Un sorriso, 
P. 

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