Ieri parlavo con il mio amico Gabriele Gailli della proliferazione di "maestri tarocchi" negli ultimi tempi.
Conosciamo persone che insegnano yoga senza avere né le basi fisiche, né quelle teoriche, magari dopo aver fatto un corso on line di filosofia indiana, altre che arrivano a stamparsi i diplomi da soli e si inventano stili di yoga dai nomi esotici e insensati.
E i vecchi praticanti magari perdono tempo a discutere tra loro su un'interpretazione di un versetto, sul nome di una posizione o sull'opportunità di far partecipare i loro allievi ad una gara senza far caso ai tarocchi, abilissimi a non entrare mai nelle discussioni accese, per non mettere a rischio l'immagine di guru tolleranti e benevoli che si sono costruiti con pazienza e abilità.
I maestri tarocchi sarebbero facili da riconoscere, visto che in realtà parlano sempre delle solite cose, con parole semplici e digeribili: il qui ed ora, i pericoli dell'Ego e del possesso, la necessità di essere se stessi, Yama e Nyama, l'Amore Universale, l'importante è il sentire ecc. ecc.
Ad una persona brillante e con pochi scrupoli basta leggersi un libro di Eckar Tolle, uno di Ken Wilber, condirli con un po' di teosofia e di psicologia junghiana, aggiungerci un pizzico di legge dell'attrazione ed ecumenismo religioso e il gioco è fatto.
Le parole semplici e già ascoltate fanno assai più presa delle pratiche rigorose e delle audaci e a volte, apparentemente, astruse, riflessioni filosofiche degli antichi maestri indiani.
Così i maestri tarocchi si moltiplicano perché i loro adepti,imparata la lezione,si mettono a insegnare il bignami dello yoga e a spacciare titoli fittizzi.
Ma la colpa è anche nostra, dei vecchi praticanti.
Alcuni di noi per giustificata stanchezza, altri per altrettanto giustificato disinteresse, altri ancora per adeguarsi ai tempi e alle modalità di comunicazione abbiamo cominciato a parlar sempre meno di yoga, lasciando che le fantasiose teorie e le banalizzazioni dei maestri tarocchi divenissero il verbo dello yoga moderno.
Dai ammettiamolo, non ci facciamo più caso quando si parla di apertura di cakra ("cribbio ma non lo sai che se i cakra fossero chiusi saresti morto?"), di karma resettato o di scambi di coppia definiti tantra: lasciamo correre (cosa giustissima yogicamente parlando) ma così facendo rischiamo che quelli che verranno dopo di noi crederanno che lo yoga sia quello dei cinque riti tibetani ("quanti sono adesso? 7 o 8?") e che mettersi sul divano a contare le pecore sia meditare.
Perché non ricominciamo a parlare di yoga anche sui social?
Io ci provo.
incollo il materiale che darò ai miei allievi per il prossimo Week end del corso di formazione, Si tratta di appunti in cui accenno ai brahmāṇḍa, all'antaḥkaraṇa e alla derivazione del jīvātman dai cinque veli limitanti generati nella sfera di Māyāmayāṇḍa.
Quanto mi piacerebbe se lo leggeste e faceste delle critiche di quelle che si facevano un po' di anni fa, tipo "Ma che dici Proietti? il sāṅkhya dice tutt'altro", "maddai, questo è buddhismo mascherato da vedānta?"....
Discussioni tecniche,forse, da eruditi, forse inutili, ma sempre meglio delle consuete corbellerie sul "Qui ed Ora comprato all'autogrill" . Almeno secondo me,ovviamente.
Lo so che è una pretesa sciocca,,, pero...va beh....io ci provo.
Modulo
8 dicembre.
अहंकार ahaṃkāra, in sanscrito, significa appunto
“CIO'
CHE FA (costruisce) L'EGO”.
La
funzione originaria di ahaṃkāra è quella della conoscenza empirica.
Nell'essere
umano l’azione del conoscere, dell’apprendere, avviene solo per differenza.
Se
tocco la fronte di un bambino con la febbre sentirò che "è calda". In
realtà sarà PIU' CALDA del solito.
Quel
solito, quei valori medi oltre o
sotto i quali si percepisce una differenza (più caldo, più freddo, più ruvido,
più morbido, più dolce, più amaro, più veloce, più lento...), è collegato alla
funzione di ahaṃkāra.
Alla
mente raziocinante (che definiremo Manas)
servirà un metro di paragone e questo metro sarà l'io fittizio, ahaṃkāra.
La
funzione di Ahaṃkāra, per la
“psicologia dello Yoga”, sarebbe quella di conoscere tramite la discriminazione
tra interno ed esterno, tra “io” e “non io” e questo apre le porta alla
possibilità di “godere” delle percezioni sensoriali - in sanscrito भोग bhoga – ovvero di vivere pienamente la vita terrena[1].
Dire
che occorre “dissolvere l’Ego” in realtà è un errore, perché ciò che definiamo
Ego è nello yoga, appunto, Ahaṃkāra, uno strumento di conoscenza. L’idea che
lottare contro l’Ego possa condurre alla “liberazione”, è come pensare che un
astronomo distruggendo il proprio telescopio, possa scoprire nuovi pianeti e
sistemi solari, visto che entrambi, il telescopio e Ahaṃkāra, sono strumenti di
conoscenza.
Lo scopo della pratica yoga non è quello di
distruggere l’ego, ma di insegnare al praticante a non identificarsi con Ahaṃkāra.
Possiamo
immaginare, per cercare di comprendere meglio, che l'interiorità di un essere
umano sia una specie di ameba luminosa, una “coscienza sensitiva” assai
plastica che si protende verso ciò che reputa piacevole e giusto, e si ritrae
d'innanzi a ciò che reputa spiacevole o ingiusto.
Per
l'istinto la cosa è abbastanza semplice, ma l'istinto segue la legge della
natura e la legge della natura mal si accorda con costruzioni sociali complesse:
in una determinata rete sociale ruttare dopo un pranzo sarà reputato
sgradevole, in un'altra non ruttare a tavola verrà considerata un offesa per il
padrone di casa.
Per
cui l’essere umano è costretto a “modulare” Ahaṃkāra
a seconda delle reti sociali in
cui si trova a far parte, ovvero a relativizzarlo.
Lo strumento di conoscenza Ahaṃkāra, ripetiamo, funziona per differenza:
“Io sono qui e sono altro da te che sei lì”,
“questo frutto è buono quest’altro è cattivo” ecc. ecc.
Ahaṃkāra destinato inizialmente a creare in base alle esperienze sensoriali una “pietra di paragone”, un
“modello interiore” grazie al quale conoscere e sopravvivere nella natura è
costretto a “relativizzarsi”, ovvero a creare una serie di modelli sempre nuovi
per adeguarsi alle reti sociali.
Banalizzando un po’ il ragionier Rossi in ufficio,
in un club privè, allo stadio o ad una cena di famiglia dalla zia Rosa si
comporterà in maniera completamente diversa, anzi, “sarà” una persona diversa.
Alla fine ci saranno vari signor Rossi la
cui personalità e il cui comportamento varieranno in funzione del mutare
ambiente esterno. L’unica cosa che rimarrà identica a se stessa sarà lo
strumento di conoscenza Ahaṃkāra in cui il signor Rossi, alla ricerca di
certezze come tutti gli esseri umani, finirà per identificarsi.
In altre parole è come se l’astronomo
credesse di essere il suo telescopio o l’autista la sua automobile.
Visto che Ahaṃkāra è strettamente
legato alle esperienze sensoriali (bhoga) l’essere umano, a causa di questo malfunzionamento dello strumento di
conoscenza, finirà per identificarsi anche con ciò di cui può “godere/conoscere”
legando erroneamente la ricerca della felicità al possesso o all’utilizzazione
di oggetti esterni.
Si tratta di un processo, connaturato alla nascita
stessa della civiltà, che porta ad allontanarsi dal “nucleo di base dell’essere
vivente” che potremmo definire in sanscrito मूलभूत mūlabhūta – “pilastro della manifestazione” - o अन्तरात्मन् antarātman o “atman interiore”.
Da questo processo scaturiranno da un lato
l’evoluzione della società ovvero dell’insieme delle reti sociali, con
l’aumento del benessere generalizzato e della qualità della vita, e dall’altro
l’aumento dell’ansia di incompiutezza dell’essere umano con ovvero la sua
incapacità di essere felice.
Visto che la manifestazione, secondo lo yoga, è
dovuta all’azione di un’energia “cosciente” – ovvero dotata di una intelligenza-
denominata कुण्डलिनी kuṇḍalinī, ecco che, almeno dal medioevo, i
maestri indiani hanno studiato una serie di tecniche psicofisiche per
permettere all’essere umano di eliminare i blocchi che impediscono la
percezione di questa energia primaria e l’identificazione con il proprio
“nucleo di Base”.
I blocchi potremmo considerarli come il prodotto
delle multi-personalità dell’essere umano create, a loro volta, dal
malfunzionamento dello strumento Ahaṃkāra.
Una serie di stratificazioni che impedirebbero
sempre secondo lo Yoga, la normale evoluzione dell’essere umano in natura.
Gli आसन āsana, le tecniche di purificazione, gli esercizi
di sospensione del respiro - प्राणायाम prāṇāyāma – non sono altro che metodi per
preparare il corpo umano all’impatto con l’energia primaria, kuṇḍalinī, rappresentata
come una “serpentessa” (anche…) per via del fatto che nel medioevo i नाग nāga
– “cobra”, “serpente”, “piombo nel
senso alchemico del termine” - erano
considerati i “Pilastri del Mondo”.[2]
Oltre al lavoro sul corpo lo yoga propone anche un
lavoro sulla mente che consiste in una serie di tecniche finalizzati a produrre
una serie di trasformazioni - परिणाम pariṇāma – chiamate समाधि samādhi, समापत्ति samāpatti, संयम saṃyama… destinate a trasformare in maniera definitiva la percezione
della realtà e il funzionamento della mente.
Qui occorre fare attenzione alle parole: trasformazione
della percezione della realtà non significa affatto che la realtà per lo yoga è
illusoria.
L’interpretazione di माया māyā come illusione e frode è una banalizzazione molto in auge in occidente,
ma non corrisponde affatto agli insegnamenti dello Yoga: Māyā, intesa come देवी devī
(kuṇḍalinī o शक्ति śakti) è la responsabile della manifestazione attraverso il duplice potere,
velante e proiettivo. Chi crea l’illusione, nei miti indiani, è मय maya – con la “a” semplice –nome dell’architetto dei “demoni” che, grazie ai poteri della mente
crea delle architetture “di sogno”.
L’ignoranza di molti pseudo-studiosi attuali e del
recente passato ha creato questa erronea interpretazione che, per un effetto di
rimbalzo assai frequente, è stata abbracciata anche da ambienti indiani.
Per lo Yoga la manifestazione non è assolutamente
illusoria, è la percezione erronea della realtà, a darne immagini diverse a
seconda del livello di trasformazione della mente.
Il cosiddetto risveglio di kuṇḍalinī che
“condurrebbe” all'evoluzione dell’essere umano e alla sua identificazione con
il “nucleo fondamentale dell’Essere” è ciò che porta a quella che, in termini
occidentali, potremmo definire “identità di Essere e Divenire”.
Per identificarsi con questo “nucleo fondamentale
dell’Essere” secondo lo yoga occorre fare un viaggio a ritroso verso la
sorgente della manifestazione, viaggio che oggi viene definito “auto-indagine”
o “meditazione sul chi sono io”.
Allo scopo di aiutare il praticante a intraprendere
questo viaggio gli yogin medioevali hanno creato una serie di schemi che vanno
a costruire una cosmogonia, ovvero una interpretazione dell’origine e della
formazione dell’universo e dell’essere umano.
Cominciamo con il dire che ciò che chiamiamo Manifestazione per lo Yoga è una combinazione di
cinque principi (Spazio, Aria, Fuoco, Acqua e Terra) e tre "qualità”
(Sattva, Tajas, Tamas).
Questo
significa che, a livello assoluto, non c'è nessuna differenza tra ciò che
chiamiamo persona ed io (inteso come mente, sensazioni, emozioni, corpo) ed un
carciofo: i principi costitutivi sono gli stessi.
In
genere gli “schemi” usati nello Yoga partono, dichiaratamente o meno, da due
mantra vedici:
Oṃ
Tat Sat e Sat Cit Ānanda Nāma Rūpa.
- तत् tat, parola assimilabile all'inglese that - si pronuncia alla stessa maniera - significa “Quello”
e sta ad indicare qualcosa di cui non possiamo negare l'esistenza, ma che non
si può in alcun modo rappresentare né immaginare, non dotato di attributi o qualità.
- सत् sat che significa vero, esistente, giusto, buono,
reale esistenza, "che esiste", rappresenta la possibilità di
manifestazione, tutto ciò che è manifestabile, ma non è conoscibile (non
ancora) dall’essere umano. In pratica la materia non distinta dall’energia. ॐ inespresso e inesprimibile.
-
चित् Cit che significa intelletto, spirito, anima, ma in questo caso si intende,
come Coscienza/Intelligenza. ॐ”interiore” non ancora espresso ma esprimibile.
-
आनन्द Ānanda è l'essenza dei due precedenti, la loro capacità espressiva, il suo potersi
rendere percepibile, Śiva e Śakti. La manifestazione intesa come l'Essere
che percepisce se stesso. La Forma e il Vuoto creativo insieme.
नाम
Nāma rappresenta la possibilità di percezione
dello Spazio originario, qualificato dallo sviluppo di due "entità", che
potremmo definire come l'Uno e come il Testimone/sperimentatore
che gode della percezione dell'Uno. Le qualità dello “Spazio Originario” sono Luce
(è auto- luminoso), Silenzio (è lo stato di infinita potenzialità del suono) e Vuoto
(è lo stato di infinita potenzialità della materia-sostanza).
I
principi Luce, Silenzio, Vuoto vengono manifestati grazie a tre correnti, tre
modificazioni della Śakti definite:
1.
Kriyā śakti o energia dell'Azione;
2.
Jñāna śakti o energia della CONOSCENZA;
3.
Icchā śakti o energia del Desiderio.
Nell'induismo
prendono talvolta i nomi di:
a. सरस्वती Sarasvatī, Dea della Musica e del Desiderio;
b. लक्ष्मी Lakṣmī, Dea dello splendore e della Fortuna;
c. उमा Umā, la “difficile a comprendere”.
1. La Luce è l'aspetto visibile, in termini di luce/fuoco, dell'ॐ silenzioso, inespresso
(N.B. non ci sono ancora i sensi,ovvero la capacità di percepire).
2. Il Silenzio è l'aspetto sonoro dell'ॐ silenzioso.
3. Il Vuoto è l’aspetto tangibile dell’ॐ silenzioso.
-
Queste Tre Grandi Madri, personificazione dei tre principi della manifestazione
e rappresentazione visibile (Luce) udibile (Silenzio) tangibile (Vuoto), si
ripropongono, in scala, in tutti i gradi della manifestazione che viene
definita रूप rūpa.
In
pratica si è così già creato il cosmo, diviso in cinque sfere o dimensioni che,
in termini tantrici possiamo definire ब्रह्माण्ड brahmāṇḍa ovvero "testicoli
di Brahman”.
I
Corpi/Testicoli universali sono cinque:
1) Śiva-śakti,
uovo della “Luce/Coscienza di Śiva (corrispondente ad Ānanda del mantra Sat Cit Ānanda Nāma Rūpa);
2) Śaktimayāṇḍa, uovo delle
tre grandi madri e dei “cinque poteri divini”[3]
(corrispondente a Nāma del mantra Sat Cit Ānanda Nāma Rūpa);
4) Prakṛtimayāṇḍa, uovo della
“sostanza”;
5) Pṛthvīmayāṇḍa, uovo
della materia (corrispondenti, le ultime tre uova, a Rūpa del mantra Sat Cit
Ānanda Nāma Rūpa).
Māyā,
Prakṛti e Pṛthvī sono i tre mondi della Dea che infatti è chiamata त्रि पुर सुन्दरी tripura
sundarī, “la Bella delle Tre Città”,
mondi che sul piano individuale hanno delle corrispondenze con il corpo mentale
(Māyā), il corpo psichico (Prakṛti) e il corpo fisico (Pṛthvī).
Dalla
sfera Māyā insorgono i cinque “Veli limitanti” i kañcuka, come cinque sono i poteri della divinità:
Se
il Divino è ONNIPRESENTE (vyāpakatva)
il mondo umano è caratterizzato dalla LIMITATEZZA DELLO SPAZIO (कला kalā, atomo),
ovvero dal porre l'attenzione sul particolare.
Se
il Divino è ONNISCIENTE (sarvajñatva)
l'essere umano è caratterizzato dalla CONOSCENZA DISCRIMINANTE (विद्या vidyā[5].
Se
il Divino è COMPLETO IN SÈ (pūrṇatva), l'umano sarà limitato da PASSIONE E DESIDERIO
(राग rāga).
Se il Divino è ETERNO (nityatva), l'umano sarà limitato dal
TEMPO
(काल kāla).
Se
il Divino è ONNIPOTENTE (sarvakartṛtva),
l'umano sarà limitato dal principio di necessità o principio di causa effetto (नियति niyati).
La
madre dei cinque veli limitanti è माया māyā.
Se
non ci fossero i veli di māyā non esisterebbero il TEMPO né lo SPAZIO; non
esisterebbe il PRINCIPIO DI CAUSA EFFETTO né la PASSIONE; non esisterebbe
l'individuo. Senza il principio di determinazione spaziale, ad esempio, come potrei
sapere, guardando un altro negli occhi chi di noi due è “IO”?
Non potrei sapere se IO sono colui che guarda o colui che è guardata. Senza Māyā, la “Dea”, l’individualità non avrebbe modo di esistere.
Non potrei sapere se IO sono colui che guarda o colui che è guardata. Senza Māyā, la “Dea”, l’individualità non avrebbe modo di esistere.
I
cinque kañcuka associati ai cinque
elementi primari:
1. La limitatezza dello Spazio kalā, associata, ovviamente, allo Spazio.
2. La Conoscenza vidyā,
associata all’Aria.
3. La Passione rāga,
associata al Fuoco
4. Il Tempo kāla,
associato all’Acqua
5. Il principio di causa-effetto niyati, associato alla Terra.
I
5 veli formano quello che è chiamato जीवात्मन् jīvātman, l'anima
individuata o incarnata, detta anche अणु पुरुष aṇu puruṣa (atomo, particella
elementare della materia)[6].
Dai
veli limitanti procedono innazitutto gli “elementi sottili:
- Il primo Velo, kalā,
che rappresenta la delimitazione dello Spazio, lo possiamo associare a śabda, “radice e modalità espressiva del
Suono”.
- Il secondo Velo, vidyā,
che rappresenta la delimitazione della conoscenza lo possiamo associare all'Aria
e quindi a sparśa, “radice e modalità
espressiva della Tangibilità”.
- Il terzo Velo, rāga,
che rappresenta la delimitazione del Fuoco, lo possiamo associare a rūpa, “radice e modalità espressiva di
Colore e Forma”.
- Il quarto velo limitante è kāla, che rappresenta la delimitazione dell’Acqua, lo possiamo
associare rasa, “radice e modalità
espressiva del Sapore”.
- Il quinto velo limitante è Niyati, il principio di causa effetto, ciò che induce a pensare in
termini di Volontà, Azione, Risultato. Il risultato è il precipitato derivante dall'azione
combinata dei primi due fattori. Al quinto velo di māyā, delimitazione della
Terra, è associato gandha, radice e
modalità espressiva dell’Odore.
Dai
cinque elementi sottili procedono gli elementi grossolani, gli organi di senso,
gli organi di azione e le funzioni della mente.
Le
funzioni della mente, compreso ciò che abbiamo definito Ahaṃkāra, sono cinque:
1. Ahaṃkāra, che rappresenta la conoscenza tramite la
discriminazione tra soggetto (io) ed oggetto;
2. Citta, che rappresenta il deposito di immagini/vibrazioni trai
quali l'organo interno "pesca" per investigare e rappresentare la
realtà soggettiva;
3. Manas, che rappresenta la volontà di scegliere e
rappresentare;
4. Buddhi, che rappresenta la capacità stessa di conoscere;
A
queste va aggiunto lo stato della mente in quiete, senza discriminazione tra
soggetto ed oggetto ecc., che possiamo definire Ānanda.
5. Ānanda (“Beatitudine”) è la "presenza" scevra da conflitti, nella
quale, allo stato potenziale, sono già presenti le funzioni della mente, gli
organi di conoscenza, gli organi di azione ecc.
Buddhi
e Manas, al pari degli organi di conoscenza e degli organi di azione, sono una modificazione/combinazione
dei cinque elementi sottili (Spazio, Aria, Fuoco, Acqua, Terra) e delle tre
"qualità" (Tamas, Rajas, Sattva).
Più precisamente Buddhi, Manas ed organi di conoscenza sono, il risultato della combinazione delle parti sattviche dei cinque elementi sottili. Prana ed organi di azione sono invece il risultato della combinazione delle parti rajasiche dei cinque elementi sottili. Insieme Buddhi, Manas, Prana, organi di conoscenza ed organi di azione, compongono il cosiddetto organo interno.अन्तःकरण antaḥkaraṇa:
Più precisamente Buddhi, Manas ed organi di conoscenza sono, il risultato della combinazione delle parti sattviche dei cinque elementi sottili. Prana ed organi di azione sono invece il risultato della combinazione delle parti rajasiche dei cinque elementi sottili. Insieme Buddhi, Manas, Prana, organi di conoscenza ed organi di azione, compongono il cosiddetto organo interno.अन्तःकरण antaḥkaraṇa:
1. Ānanda, in quanto, rappresentazione dell'infinita potenzialità,
è assimilabile all' elemento Spazio;
2. Manas all'Aria;
3. Buddhi al Fuoco;
4. Citta all'Acqua;
5. Ahaṃkāra alla terra;
L'adesione
ad una o all’altra di queste funzioni o stati dà origine alle cinque Guaine che
in sanscrito vengono chiamate koṣa
che corrispondono sul piano soggettivo ai cinque brahmāṇḍa:
1. Annamayakoṣa o Guaina dell'alimentazione è collegata ad Ahaṃkāra ed a Pṛthvīmayāṇḍa;
2. Prāṇomayakoṣa o Guaina dell'energia vitale è collegata a Citta ed a Prakṛtimayāṇḍa;
3. Manomayakoṣa o Guaina della mente è collegata a Manas ed a Māyāmayāṇḍa;
4. Buddhimayakoṣa o Guaina dell'intelletto è collegata a Buddhi ed a Śaktimayāṇḍa;
5. Ānandamayakoṣa o Guaina della Beatitudine è collegata ad Ānanda e alla sfera di Śiva-śakti;
L'essere
umano come lo conosciamo noi sarà formato dalle cinque Guaine, dai cinque
organi di percezione, dai cinque organi di azione, dai cinque Prāṇa… ovvero da
una serie di modificazioni dei cinque Elementi (Spazio, Aria, Fuoco, Acqua,
Terra) e dei tre Guṇa (Rajas, Sattva e Tamas).
La
parte sattvica dei cinque elementi, ad
esempio, dà origine alle cinque percezioni ed ai cinque oggetti di percezione:
1.
Lo Spazio produce il Suono e l’Udito.
2.
L’ Aria produce la Tangibilità e il Tatto.
3.
Il Fuoco produce Luce/Colore/Forma e la Vista.
4.
L’ Acqua produce il Sapore e il Gusto.
5.
La Terra produce l’Odore e l’Olfatto.
La
parte rajasica dei cinque elementi dà
origine invece alle cinque possibilità di azione:
1.
Lo Spazio produce la facoltà del parlare.
2.
L’Aria produce la facoltà del prendere.
3.
Il Fuoco produce la facoltà dell'andare.
4.
L’Acqua produce la facoltà del generare.
5.
La Terra produce la facoltà dell'evacuare.
La
parte tamasica dei cinque elementi
darà infine origine agli organi fisici di percezione e di azione:
1.
Lo Spazio produce l’Orecchio (organo
dell'udito) e la Bocca (organo del parlare).
2.
L’Aria produce la Pelle (organo del tatto) e
la Mano (organo dell'afferrare).
3.
Il Fuoco produce l’Occhio (organo del vedere)
e il Piede (organo dell'andare).
4.
L’Acqua produce la Lingua (organo del gusto)
e i Genitali (organo del generare).
5.
La Terra produce il Naso (organo
dell'olfatto) e l’Ano (organo dell'evacuare).
Perciò
che riguarda i cakra sono anch’essi legati agli elementi:
1)
Viśuddha cakra (plesso della gola)
Sabda
- sostanza sonora;
Srotra,
orecchio - organo della percezione uditiva;
Vāk,
bocca - organo dell'azione del parlare;
Akāśa
- spazio allo stato grossolano;
2)
Anāhata cakra (plesso del cuore)
Sparśa
- tangibilità;
Tvak,
pelle - organo della percezione tattile;
Pāni,
mano - organo dell'azione dell'afferrare;
Vāyu
- aria;
3)
Manipura cakra (plesso dell’ombelico)
Rūpa
- luce/forma/colore;
Cakṣu,
occhio - organo della percezione visiva;
Pāda,
piede - organo dell'azione di andare;
Tejas
- fuoco;
4)
Svādhiṣhthāna cakra (plesso dei genitali)
Rasa
- sapore;
Rasanā,
lingua - organo della percezione del sapore;
Upastha,
genitali - organo dell'azione del riprodurre;
Jala
- acqua;
5)
Muladhara cakra (plesso del perineo)
Gandha
- odore;
Ghrāṇa,
naso - organo della percezione dell'odore;
Pāyu,
ano - organo dell'azione di evacuare;
Pṛithvī
- terra;
Tutto
ciò che riguarda le nostre capacità di pensiero, azione, percezione e tutto ciò
che riguarda il nostro corpo fisico non è altro che una proiezione/modificazione
dei cinque elementi primari.
La
bocca, l'orecchio, il parlare, l'ascoltare, il suono non sono altro che
proiezioni dello Spazio.
La
mano, la pelle, l'azione dell'afferrare, il sentire, la tangibilità non sono
altro che proiezioni dell'Aria.
Il
piede, l'occhio, l'azione dell'andare (muoversi), il vedere, la forma non sono
altro che proiezioni del Fuoco.
Gli
organi genitali, la lingua, il procreare, l'assaporare, il gusto non sono altro
che proiezioni dell'Acqua.
L'ano,
il naso, l'evacuare, l'odorare, l'odore non sono altro che proiezioni della Terra.
I
cinque Elementi sottili a loro volta sono proiezioni/modificazioni delle tre
energie o correnti primarie che possiamo identificare con “Vuoto”, “Luce” e “Silenzio”
che altro non sono, che proiezioni o punti di vista dell'energia espressa
dall'Essere, ovvero kuṇḍalinī
Il
corpo fisico si pone, nello Yoga, come il Tempio di Dio (della Dea) inteso come
rappresentazione del Macrocosmo, perché in ogni singolo organo si possono
riconoscere gli elementi primari della Creazione.
Una
volta compresa questa identità tra microcosmo (il corpo umano) e il macro-cosmo
(l’Universo), lo yogin - il cui corpo sia stato preparato tramite la pratica
delle posizioni, delle purificazioni, della sospensione del respiro, della
concentrazione e della meditazione- sarà in grado di sostenere fisicamente e
mentalmente l’impatto della eventuale “risalita di kuṇḍalinī”, un evento che
produce una serie di trasformazioni tangibili ed oggettive, una modificazione
dei processi fisiologici.
Un
evento che non è assolutamente metaforico, e si accompagna ad eventi non
ordinari e all’acquisizione o allo sviluppo di talenti e capacità non
ordinarie.
Queste
capacità emergono dalla “risoluzione delle guaine corporee, dando la
possibilità all’essere umano di sperimentare, coscientemente e contemporaneamente
stati di coscienza che, secondo lo yoga, il vedānta egli altri quattro “punti
di vista filosofici”, sono accessibili a tutti.
Ricordiamo
che le cinque guaine sono:
1. Annamayakoṣa o Guaina dell'alimentazione;
2. Prāṇomayakoṣa o Guaina dell'energia vitale;
3. Manomayakoṣa o Guaina della mente;
4. Buddhimayakoṣa o Guaina dell'intelletto;
5. Ānandamayakoṣa o Guaina della Beatitudine;
Le
cinque guaine sono collegate agli stati di coscienza dell’essere umano
denominati:
- Corpo Fisico (veglia)
- Corpo Psichico (sogno)
- Corpo Causale (sonno profondo).
Per
corpo fisico si intende la consapevolezza della coscienza di veglia o विश्व viśva.
Per
corpo psichico la consapevolezza della coscienza di sogno o तैजस taijasa.
Per
corpo casuale la consapevolezza della coscienza di sonno profondo oप्रज्ञ prajña.
Si
tratta di stati che risultano dallo spostamento dell'attenzione su uno più koṣa.
La coscienza di veglia (viśva) è lo stato in cui si ha la possibilità di sperimentare quattro dei cinque koṣa:
La coscienza di veglia (viśva) è lo stato in cui si ha la possibilità di sperimentare quattro dei cinque koṣa:
C’è
materia (anna), percepibile sia da
noi che da altri diversi da noi.
C'è
energia (Prāṇa), c'è attività mentale
e percettiva (Manas).
C'è
la possibilità dell'intuizione (Buddhi).
C’è
la possibilità di accedere al sonno profondo ovvero all'unione degli opposti,
ma non la coscienza della stato di sonno profondo (ānanda).
Nella
coscienza di sogno, taijasa,
permangono la possibilità di accedere al sonno profondo (ma non della coscienza
dello stato di sonno profondo) e all'intuito sovra-conscio:
C’è
attività mentale e si percepiscono odori, sapori ecc., ma la materia sarà allo stato
sottile e, se si analizza il sogno, स्वप्न svapna, si vedrà che
nessuno allo stato di veglia, né noi né altri, potrà assistere ai fenomeni che
il sognatore sta vivendo all'interno di sé.
Nella
coscienza di sonno profondo, prajña,
le attività dell'intuito, della mente, la capacità di agire e la capacità di
percepire saranno invece solo allo stato potenziale.
Ciò
che definiamo Corpo Fisico è la presenza cosciente nella Guaina della materia
annamayakoṣa.
Ciò
che definiamo Corpo Psichico è la presenza cosciente nel corpo interno (अन्तःकरण antaḥkaraṇa) composto
dalle tre Guaine "centrali" prāṇomayakoṣa
o Guaina dell'energia vitale, manomayakoṣa
o Guaina della mente, Buddhimayakoṣa
o Guaina dell'intelletto.
Ciò
che definiamo Corpo Causale è la presenza cosciente nella Guaina della
beatitudine o ānandamayakoṣa.
Sul
piano universale a questi "corpi" corrispondono tre diversi “enti”:
1) वैश्वानर vaiśvānara (stato di veglia), Uomo Universale o Corpo Fisico Universale;
2) हिरण्यगर्भ hiraṇyagarbha (stato di sogno), Germe d’Orto o Corpo
Psichico Universale;
3) ईश्वर īśvara (stato di sonno profondo), il “Signore” o Corpo Causale Universale.
Se
si considerano Pṛthvī, Prakṛti e Māyā come tre diverse forme della Dea (Śakti), potremmo affermare che Vaiśvānara,
Hiraṇyagarbha e Īśvara sono i
loro aspetti, tra virgolette ”maschili”, sancendo così l'esistenza di un
principio maschile, पुरुष puruṣa, che assume tre aspetti diversi (tre identità diverse) sul Piano Fisico
Universale, sul Piano Psichico Universale e sul Piano Causale Universale.
La
realizzazione è l’identificazione dell’essere umano con questi tre aspetti e il
conseguente accesso ad un ulteriore stato di coscienza definito तुरीय turīya, il “quarto”.
[1] Per evitare confusione bhoga non indica
specificamente le esperienze positive, ma tutte le esperienze comprese quelle
che generano tristezza, dolore e disperazione.
[3] Per cinque poteri in questo caso si intendono le cinque Energie Primarie:
Cit Śakti, Ānanda Śakti, Icchā Śakti, Jñāna Śakti, Kriyā Śakti.
[4] I”cinque veli” limitanti sono i cinque कञ्चुक kañcuka,
parola che letteralmente significa "giacca", "blusa",
"giubba
[5] Può sembrar strano
che vidyā venga considerata una limitazione, ma questo dipende dal nostro
pensiero incapace di pensare in termini non duali. Si è tentati di considerare vidyā in termini positivi ed avidyā in termini negativi senza
considerare che Avidyā è determinazione di vidyā e viceversa, così come il
chiaro è determinazione dello scuro ecc.…
[6]
N.B. Il jīvātman non può fare a meno di incarnarsi, non può fare a meno di
agire perché la sua natura è Azione. Può essere agito, può agire in linea con
la Legge (giusta azione), può comprendere la natura dei veli limitanti, ma quei
veli sono il jīvātman stesso. Cercare di
comprendere la natura di Māyā con la Mente umana è impossibile: intuito sovra-conscio,
mente percettiva, sensi, organi d'azione sono essi stessi determinati dai veli
di Māyā. Taluni pensano che il termine Māyā indichi l'illusorietà della sfera
materiale e teorizzano una dicotomia tra Spirito e Materia, intendendo per
spirito ciò che riguarda il sentire o il pensare e per materia "la
carne". Le parole carne, carnalità, sensualità assumono per costoro una
valenza negativa. Ma ciò che chiamiamo Buddhi ad esempio (o Intuito
sovra-conscio, espressione più alta della mente umana) è determinazione dei
cinque veli di māyā al pari di un corpo flessuoso e di due labbra turgide. Non
c’è, a livello oggettivo nessuna differenza tra l'attrazione per un simbolo
religioso o per un idea filosofica e l'attrazione per il corpo dell'amante. Si
tratta in entrambi i casi di un processo innescato da Amore e desiderio. Si
tratta di due diverse modalità espressive della Dea, di fenomeni che
appartengono entrambi alla sfera di prakṛti. I cinque veli di Māyā sono la
stoffa di cui è costituito l’essere umano nella sua interezza. Corpo, Parola e
Mente.
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