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PATAÑJALI TRA REALTÀ STORICA E CREDENZE - "STORIA SEGRETA DELLO YOGA"




Nelle nostre università si insegna che la prima attestazione scritta del sanscrito o più precisamente del "medio indoario", siano gli editti di Aśoka - vedi Henry Rogers, Writing System, Black Publishing 2004 - ISBN 0-631-23464-0).

Si tratta di una notizia inesatta, il che non è che possa toglierci il sonno, a dir la verità, ma dovrebbe far riflettere coloro che, sinceramente, si approcciano allo yoga con l'animo del ricercatore.

La più antica "attestazione scritta" - ovvero la prova, data da testi e iscrizioni, dell'esistenza di una lingua in una determinata epoca - del "medio indoario" sono le iscrizioni su ceramica di Anurādhapura, nello Sri Lanka, risalenti a quasi un secolo  prima degli editti del re buddhista.


Basta fare un giro sulla lista delle pubblicazioni della Oxford University (vedi: Kimanshu Prabha Ray - Inscribed Pots, emerging identities - in Patrick Olivelle, Between The Empires, Oxford University Press, 2006, ISBN 978-0-19-977507-1) o della Cambridge University (vedi R.A.E. Coningham, F.R. Allchin, C.M. Batt e D. Lucy, Passage to India? Anuradhapura and the Early Use of Brahmi Scripts - in Cambridge University Archaelogical Journal, vol. 6, n.1, 1996), per rendersi conto che, almeno dal 1996 gli studiosi indiani e inglesi discettano tranquillamente delle ceramiche di Anurādhapura.

In Italia si continua a prender per buone notizie risalenti a più di un secolo fa e alcuni studiosi, senza prendersi la briga di controllarle, le spacciano per verità ontologiche, trasmettendo ai loro allievi una visione alterata della realtà storica.

Non credo si tratti di malafede, penso piuttosto che ci sia un tendenza, molto italiana, a, prendere per verità assoluta la "parola degna di fede" , una perifrasi - si dice così? - che da  per noi di solito indica le teorie e i concetti di qualcuno che è diventato famoso.
Con la storia della "parola degna di fede" in molti ambiti si continuano a considerare realtà storica  le bizzarre teorie di Max Müller sulla "invasione aria della Valle dell'Indo". Una balla creata a tavolino alla fine del XIX secolo e mai suffragata da prove archeologiche.

Mi viene in mente una lettura dei tempi del liceo, la Dionisyaca, il poema del V secolo a.C. scritto da Nonno di Panopoli che narra dell'invasione dell'India da parte delle truppe greche al seguito di Dioniso.
Gli antichi greci erano convinti che si trattasse della cronaca mitizzata di un'antica spedizione greca nella Valle dell'Indo ed era un testo tanto famoso da ispirare le gesta di Alessandro Magno.
Perché gli studiosi, esperti di sanscrito e di filosofia indiana non citano mai il poema del buon Nonno? 

Eppure sarebbe interessante confrontare le opinioni dei greci del V  secolo a.C. con le fantasiose teorie di Müller e la cronaca della lotta di Dioniso contro le "tribù autoctone" comandate da Deriade, Ma, a quanto ci risulta che nessuno abbia mai pensato a cercare delle conferme alle astruse teorie del sanscritista tedesco  nei versi di Nonno - se avete delle informazioni diverse vi preghiamo di darcene notizia -  e questo, secondo noi, dipende dal fatto che quelle di Müller sono considerate "parole degne di fede" e analizzarle alla luce dei testi antichi o delle moderne ricerche archeologiche avrebbe quasi il sapore dell'eresia.

La riluttanza a verificare le teorie e le considerazioni degli "studiosi degni fede" raggiunge il livello più alto quando si parla di Patañjali e degli Yoga Sūtra.

Da quando Svami Vivekananda e la Società teosofica  li hanno eletti rispettivamente a padre  e a libro maestro dello yoga, avvolgendoli quasi di un aura sacra, affrontarli come si dovrebbe, ovvero come si affrontano solitamente gli autori e i testi filosofici, è diventato quasi impossibile.

Dire che Patañjali "è" lo Yoga classico come scrive Wikipedia e  molti insegnanti e sanscritisti  ad esempio è una affermazione discutibile: nel medioevo vengono praticati  lo yoga "a quattro branche", almeno tre versioni yoga "a sei branche", lo Yoga "a .sette branche" e lo yoga a "otto branche"  di Patañjali, e quest'ultimo non viene citato in nessun testo, commentario o cronaca per almeno quattro secoli.

Senza voler citare l'autorevole, a quanto ci risulta, Davi Gordon White (vedi: White, David Gordon (2011), Yoga, Brief History of an Idea (Chapter 1 of "Yoga in practice")(PDF), Princeton University Press) basta  pensare che dal XVI secolo al XIX secolo (quando Vivekananda  lo ha eletto a libro maestro dello Yoga) non esiste in tutta la letteratura indiana una sola pubblicazione, commento o recensione di Yoga Sūtra.

Le citazioni precedenti, nonostante ciò che si crede e dice, si contano  sulla punta delle dita:


Vācaspati Miśra (900–980 CE) autore del "Tattvavaiśāradī";
Bhoja Raja's Raja-Martanda, (X secolo) autore dello Raja-Martanda
Ramananda Sarasvati's (XVI secolo) autore dello "Yogamani-Prabha"

Cui si deve aggiungere l'anonimo autore di "Yogabhashyavarttika" probabilmente  del X secolo;
(N.B. se abbiamo tralasciato qualche autore saremo se ce lo segnalaste)

A questi non indimenticabili commentari, si devono aggiungere le "moltissime" a detta di wikipedia in italiano, traduzioni in varie lingue a partire dal V secolo.
Si parla di traduzioni in cinese, in giapponese ed altro.
Probabilmente è vero, solo che se si fa una ricerca non superficiale si trovano  solo le tracce di poche traduzioni:

1. XI secolo traduzione in arabo e persiano da parte di  Al Biruni;
2. XV secolo traduzione in javanese di anonimo conservata oggi allo  "Staatsbibliothek" di Berlino.

Le altre numerosissime traduzioni e i moltissimi commentari che si citano al giorno d'oggi sono stati tutti composti dal 1874 ad oggi, in concomitanza con la nuova politica culturale degli indipendensti indiani del  Brahmo Samaji e dell'Arjo Samaji. 

In pratica, allo stato attuale delle ricerche - ribadiamo che saremo felici di prendere atto di nostri eventuali errori e dimenticanze -  esisterebbero quattro testi che citano gli yoga sutra  scritti tra il X e il XVI secolo e due traduzioni una dell'XI secolo e una del XV secolo.
Poi dal XV secolo al 1874 silenzio assoluto.

Questi fino a prova contraria sono i fatti.
 Se poi qualcuno ha voglia di continuare ad etichettare il testo di Patañjali come "Yoga Classico" faccia pure, ma sarebbe auspicabile dare un'occhiata anche ai testi di Gorakhnath, Gaudapada Dattreya e gli altri yogin medioevali, magari anche solo per farsi un'idea di cosa era considerato yoga classico fino al 1874.

Ma torniamo a Patañjali


Di lui stando a ciò che si racconta in Occidente, si sa poco e nulla.

Si dice, che sia ’incarnazione di Ādiśeṣa, re dei nāga, mitica creatura metà umana e metà serpente, sulle cui spire riposa il dio Viṣṇu durante le pause, ristoratrici, tra la creazione e la dissoluzione di un ciclo cosmico.

La leggenda - che personalmente ho raccontato per anni – dice che un giorno, guardando Śiva ballare, Viṣṇu cominciò a battere le mani e a schioccare le dita per battere il tempo. 

Incuriosito il re dei nāga alzò la testa e rimase così affascinato dalla danza del Naṭarāja (così viene chiamato ŚivaNaṭarāja, re della danza) che lo implorò di insegnargliela per poterla, a sua volta, donare agli esseri umani. 


Fu così che Ādiśeṣa, deciso ad insegnare lo Yoga agli uomini, una volta istruito ai passi e ai gesti della danza di Śiva, si incarnò nel ventre di una donna sterile, ragion per cui venne chiamato Patañjali, da añjali, che significa “offerta”, “benedizione”, e pāta, “caduto dall’alto”[1].


Inutile dire che la storiella ha la stessa possibilità di essere vera della favola degli asini volanti pugliesi, ragion per cui molti commentatori dicono che "il caduto dall'alto" sia un personaggio mitico, mai esistito realmente.

La figura di Patañjali è un po’ l’emblema del processo di mistificazione che ha portato alla costruzione del moderno yoga occidentalizzato.

A dispetto delle leggende che abbiamo ascoltato e ripetuto per anni, infatti, Patañjali non è affatto il “serpente cosmico incarnatosi nel ventre di una donna sterile non si quando né dove”, ma un danzatore ed un esperto di āyurveda nato a Thiru-Gona-Malai, nell'attuale Sri Lanka.



Molte delle discussioni che si fanno ai nostri giorni sugli Yoga Sūtra svanirebbero come nebbia al sole se si leggesse un altro libro di Patañjali il Charana Shrungarahita Stotram dedicato al Naṭarāja, che Patañjali scrisse – non ci sono dubbi in proposito - durante la sua permanenza al Thillai Nataraja Temple di Chidambaram.

Il Nataraja Temple attuale è stato costruito nel X secolo d.C. sulle basi di una costruzione risalente, al massimo, al V secolo d.C.[2] per cui è assai difficile che sia stato visitato da Patañjali prima di quell’epoca.

Secondo le fonti storiche Tamil quindi pare che Patañjali fosse uno yogin śaiva nato tra il IV e il V secolo d.C. 
 La sua tomba è conservata nel tempio di Brahmapureeswarar.




Per qualche stravagante motivo il Charana Shrungarahita Stotram.- scritto in Tamil e scaricabile gratuitamente su internet[3] - non è mai stato tradotto in occidente.

Pensateci: è da più di un secolo che yogin e filosofi si interrogano sul significato degli Yoga Sūtra e sull’origine dello yoga di Patañjali, scopriamo che esiste un testo dello stesso autore che parla di Śiva re della danza e nessuno si prende la briga di tradurlo.

Forse inquadrare storicamente Patañjali nell’ambito dei creatori del nāṭya yoga – yoga danzato – del Tamil chiarirebbe le idee di molti sul significato dei versetti degli Yoga Sūtra.

Comunque sia, per la storia Patañjali era un danzatore nato nello sri Lanka nel IV-V secolo d.C. trasferitosi poi nel Tamil Nadu dove sarebbe entrato a far parte del gruppo dei cosiddetti Siddha del Tamil.

Le testimonianze sulla sua vita e sulle sue opere non sono certo rare nella letteratura Tamil, questo sotto ad esempio è un brano di un testo tantrico di Tirumular, il Tirumandiram, tradotto in Inglese poco tempo fa:

“Nandhi arul Petra Nadharai Naadinom Nandhigal Nalvar Siva Yoga MaaMuni Mandru thozhuda Patañjali VyakramarEndrivar Ennodu (Thirumular) Enmarumaame”

Traduzione:
“Cercammo i piedi del Signore che diede la grazia a Nandhikesvara. Eravamo questi otto: i quattro Nandhi, Śivayogamuni, Patañjali, Vyaghrapāda ed io”

Per i ricercatori indiani non c’è nessun dubbio: Patañjali, lo ribadiamo,  era decisamente un danzatore del IV-V secolo d.C. e insegnava uno yoga pieno di riferimenti alla danza, alle arti marziali e allo Āyurveda.

Possiamo scegliere se credere ai documenti storici oppure alle leggende che lo ritraggono come un personaggio mitico nato chissà quando e chissà come che insegna uno yoga mentale, quasi privo di riferimenti al corpo fisico e all’alchimia interiore indiana.

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