Edizione del 1920 del "Rāja Yoga" di Vivekananda. Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/14/Raja_Yoga_Vivekananda_title_page.jpg. Una cosa che mi ha sempre colpito dei praticanti di yoga occidentali – non tutti devo dire – è la tendenza a non verificare quasi mai le fonti storiche e l’attendibilità di un insegnamento. Nel nostro ambiente se una persona considerata “degna di fede” fa un’affermazione la si considera una verità inconfutabile - “a prescindere” - e ad esprimere dei dubbi si rischia di essere considerati eretici o, nel migliore dei casi, degli irriverenti provocatori.
I motivi di questo atteggiamento, comune bisogna dire ai praticanti di molte discipline psicofisiche orientali o orientaleggianti, sono da ricercare nel concetto di apauruṣeya – “non di fonte umana”, “senza un autore definito” – riferito da alcune scuole filosofiche “teistiche” indiane, agli inni dei Veda.
Nell’Occidente moderno – a partire dalla fine del XIX secolo – il concetto di apauruṣeya inteso come verità rivelata, o insegnamento di origine divina, è stato applicato agli scritti e alle parole di tutti coloro che dicevano di far riferimento ai Veda, ragion per cui, ancora oggi, la messa in discussione delle parole di uno “swami” o di un “guru” è considerata una bestemmia.
Secondo le credenze più diffuse uno swami o un guru quando insegnano non stanno esponendo una loro teoria o descrivendo una loro esperienza, ma danno voce alla divinità, per cui le loro parole vanno considerate una verità auto-evidente che non può essere oggetto di discussioni né di verifiche.
Al contrario di ciò che insegnavano il buddhismo e le scuole filosofiche più antiche dell’India, come la scuola
Cārvāka del mitico
Bṛhaspati[1] o il
Sāṃkhya, ai nostri giorni ci viene chiesto di abbandonare lo spirito critico; “
non bisogna usare la mente razionale”, ripetono spesso istruttori e maestri - “
bisogna comprendere con il cuore e non con la mente”, “
l’erudizione è un’inutile espressione dell’egotismo spirituale” ecc. ecc. Sembra quasi che la logica e l’atteggiamento scientifico siano degli ostacoli che impediscono l’accesso alla conoscenza autentica.
Può darsi che ci sia del vero, ma è anche possibile che, talvolta, l’atteggiamento fideistico che viene richiesto in diverse scuole e linee di insegnamento crei delle credenze che finiscono per i sovrapporsi, snaturandoli, agli insegnamenti originari dello yoga.
A noi, ad esempio ha sempre incuriosito il
Rāja Yoga:
La maggior parte dei praticanti e degli studiosi ritiene che questo termine -
Rāja – indichi un tipo di yoga, lo yoga autentico derivante dagli insegnamenti di Patañjali, descritto in molti testi moderni come il “Padre dello Yoga” nonostante che almeno fino alla seconda metà del XIX secolo, non troviamo nessun testo in cui lo
Aṣṭāṅga Yoga descritto negli Yoga Sūtra viene definito come Rāja Yoga.
Nella realtà storica lo yoga di Patañjali, definito
Aṣṭāṅga Yoga, o yoga in otto parti, viene identificato con il Rāja Yoga, o Yoga Regale
[2], solo a partire dalle lezioni americane di swami Vivekananda – tenute tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo – che lo riconobbe come, lo yoga autentico, lo yoga “vero”, considerato ad un “gradino superiore” rispetto al cosiddetto “
Haṭḥayoga”. Fino ad allora – ed almeno a partire dal XII secolo - secondo molti commentatori attuali, tra cui David Gordon White
[3], in India, lo
Aṣṭāṅga Yoga di Patañjali era praticamente sconosciuto e sarebbe stato portato a conoscenza del grande pubblico, sia occidentale che orientale da Vivekananda e dalla Società Teosofica.
Prima di Vivekananda i metodi psico-fisici di riferimento per gli yogin erano altri, assai diversi dallo yoga di Patañjali, i principali dei quali erano descritti in tre manuali:
1. Lo
Ṣaḍaṅga Yoga, ovvero lo Yoga in sei parti decritto in un testo di Gorakhnath, il Gorakṣaśataka (Gorakshashatakam)
[4];
2. Il
Saptāṅga Yoga, ovvero lo Yoga in sette parti descritto nella Gheraṇḍasaṃhitā, testo attribuito ad un maestro chiamato Gheranda
[5].
3. Il Caturaṅga Yoga, ovvero lo Yoga in quattro parti descritto in un testo di Svātmārāma - un allievo di Gorakhnath – lo Haṭhayogapradīpikā.
Il terzo di questi manuali – lo Haṭhayogapradīpikā – che tra i tre è il più studiato e citato ancora oggi, inizia con un verso sibillino che in italiano suona più o meno così (Haṭhayogapradīpikā I.1):
“Sia lode al primo maestro che rivelò la conoscenza dello Haṭhayoga, una scala che conduce alla vetta suprema del Rāja Yoga.”
Vivekananda e i suoi successori identificando lo Aṣṭāṅga Yoga di Patañjali con il Rāja Yoga, interpretarono il versetto in questo modo:
“Lo Haṭhayoga, fatto di intense e rigorose pratiche fisiche, non è una via alla realizzazione, ma conduce, al massimo, a poter praticare lo yoga di Patañjali”
e questa interpretazione è divenuta, ai nostri giorni, la più comune.
Peccato che sia completamente priva di senso:
In un brano successivo Svātmārāma l’autore dello Haṭhayogapradīpikā - che, tra parentesi non parla mai né di Patañjali né di Aṣṭāṅga Yoga – ci spiega infatti cosa è, secondo lui, il “Rāja Yoga” (Haṭhayogapradīpikā IV, 3-4):
"
Rāja yoga, samādhi, estinguere il Manas, andare oltre il Manas, Realtà, śūnyā.... Stato del Jīvanmukta, Sahajā, Turiyā... Significano tutti la stessa cosa.”
[6]
Rāja yoga quindi è sinonimo di realizzazione, e Svātmārāma voleva semplicemente dire che grazie alle pratiche psicofisiche dello Haṭhayoga si giunge alla realizzazione.
L’errore di interpretazione del 1° versetto di Haṭhayogapradīpikā è troppo evidente per pensare a una semplice svista: si tratta senza ombra di dubbio di una manipolazione messa in atto per dare autorevolezza ad una tesi che, a quanto sappiamo, è stata elaborata proprio da Vivekananda:
“Lo Yoga autentico è il Rāja Yoga e il suo fondatore è Patañjali.”
Il fatto che molti studiosi odierni continuino a ripetere questo errore marchiano di interpretazione - e a difendere ad oltranza questa tesi francamente improponibile - è spiegabile probabilmente con l’atteggiamento fideistico che ci hanno insegnato ad assumere negli ambienti della new age e dello yoga devozionale. Meno comprensibili sono i motivi che avrebbero spinto un uomo colto e intelligente come Vivekananda, che si autodefiniva “Buddha dell’Occidente”
[7], a manipolare gli insegnamenti tradizionali e a pubblicizzare come libro maestro dello Yoga un testo considerato in India, fino ad allora, relativamente poco importante.
Ma perché ci chiediamo, nessun maestro indiano, nessun sanscritista occidentale –il sanscrito era studiato in Europa almeno dal XVIII secolo – si è mai alzato in piedi per dire, magari sommessamente, che l’affermazione “Lo Yoga autentico è il Rāja Yoga e il suo fondatore è Patañjali” non risponde a verità?
Nel libro “Storia Segreta dello Yoga” abbiamo esaminato l’opera di Vivekananda alla luce della sua appartenenza al movimento dei Fighters of Freedom: era un patriota, e il suo mescolare, sapientemente la tradizione orientale con la cultura e la filosofia occidentali contribuì a sfatare il mito della “White Superiority”, alimentato dai colonialisti inglesi, e a creare un immagina nuova, moderna dell’India e del popolo indiano.
Il suo Rāja Yoga pervaso di “Pensiero Positivo”, filosofia tedesca ed empirismo inglese (Hume), ed il suo Induismo edulcorato penetrarono facilmente negli ambienti della ricca borghesia americana permettendo al movimento indipendentista di ottenere sostegno sia a livello finanziario sia a livello diplomatico.
Sicuramente manipolò il sapere tradizionale indiano per nobili fini, per cui il silenzio che avvolge le sue forzature e le sue interpretazioni bizzarre potrebbe essere spiegabile con il sentimento di gratitudine che molti studiosi, soprattutto indiani, nutrono nei suoi confronti.
Non bisogna dimenticarci, tuttavia, che Vivekananda era un massone e forse, esaminando le sue parole e le sue opere dal punto di vista dell’esoterismo e della filosofia della “Filosofia Perenne” potrebbe emergere una verità parallela, non immediatamente accessibile a chi ignora completamente l’astrusa simbologia massonica.
RĀJA YOGA E ARS REGIA
Copertina della prima traduzione italiana- 1909 - del saggio sullo "Yoga", di Annie Besant
Qualche mese fa ci hanno regalato un libro prezioso: si tratta della prima edizione italiana – 1909 - di “Yoga” un commento agli Yoga Sūtra di Patañjāli scritto da Annie Besant, una delle donne più influenti del XIX e del XX secolo, eletta nel 1871 presidente dell Indian National Congress e, all'epoca dellapubblicazione, Presidente Generale della Società Teosofica, e tradotto da un certo Maggiore O. Boggiani.
Si legge nella prefazione:
“Questa breve introduzione al Yoga venne svolta in quattro conferenze date a Benares in Dicembre 1907, allo scopo di preparare gli studiosi, che volessero praticare il Yoga, a comprendere i Sùtra di Patañjāli, che costituiscono il trattato più importante sulla materia.
Insieme al mio amico e collaboratore Bagavàn Dàs io sto traducendo questi Sùtra ed i commenti di Vyàsa, corredandoli di note esplicative alla luce della Teosofia. Possa questo piccolo saggio dare anche ai profani un’idea della Scienza delle Scienze, e forse attirarne alcuni verso questi studi.
Il libro – e le conferenze da cui è stato tratto – hanno lo scopo secondo Annie Besant “di preparare gli studiosi […] a comprendere i Sùtra di Patañjāli […] alla luce della Teosofia”, Sūtra, si badi bene che la Besant non ha ancora tradotto – “Insieme al mio amico e collaboratore Bagavàn Dàs io sto traducendo questi Sùtra ed i commenti di Vyàsa” - e che mai tradurrà.
La Besant che definisce gli Yoga Sūtra “il trattato più importante sulla materia [dello Yoga]”, si augura che il suo “piccolo saggio possa dare anche ai profani un’idea della Scienza delle Scienze” con cui indica, si badi bene, non lo Yoga, ma la Teosofia giacché non si tratta di un libro di Yoga, ma di un testo che intende promuovere le teorie dell’esoterismo occidentale.
Basta, infatti, leggere poche pagine del “piccolo saggio” per rendersi conto che ha non niente a che vedere con gli Yoga Sūtra di Patañjāli; si legge, per esempio a pagina 8:
“L’universo esiste per il Sé. Non per quanto può dare il mondo esterno, non per il dominio sopra gli oggetti del desiderio, non per amor della bellezza o del piacere, il Grande Architetto pensa e costruisce i suoi mondi.”
Quello del “Grande Architetto dell’Universo” – GADU – è un concetto tipicamente massonico che non è paragonabile, a quanto ci risulta, con nessun concetto espresso da Patañjāli, ma le differenze più notevoli tra il “piccolo saggio” della Besant e i testi tradizionali dello Yoga emergono nel capitolo intitolato “Pratica del Yoga”;
leggiamo a pagina 131, il paragrafo intitolato “Abitanti della Soglia”:
“Vi sono diverse specie di abitanti della Soglia. Vengono primi gli elementali, i quali cercano di interdire all’uomo il piano astrale. E ciò è ben naturale, perché son dessi gli elementali della forma, i Rùpa Deva, occupati nella costruzione dei regni inferiori, e per essi l’uomo è realmente una creatura odiosa in causa delle sue proprietà distruttive, Questa è la ragione per cui essi lo hanno in tanta antipatia: ovunque vada, egli danneggia il loro lavoro, calpesta i vegetali ed uccide gli animali, di modo che tutto quel gran regno di natura odia persino il nome dell’uomo. Essi si collegano per fermare chi sa appunto muovendo il primo passo cosciente nel piano astrale, e cercano di spaventarlo nella tema che egli intenda portare la sua distruttività in quel nuovo mondo.”
Il brano – e siamo sicuri che concorderanno anche coloro che conoscono il testo di Patañjāli solo in maniera superficiale – non ha niente a che vedere con gli Yoga Sūtra, ma usa, come era abitudine dei Teosofi, una terminologia riferibile all’induismo e al buddhismo per esprimere concetti tipici dell’esoterismo occidentale. Il termine “
Rùpa Deva” ad esempio non esiste né nel Buddhismo né nell’induismo. Esistono invece il termine sanscrito
Devarūpā e il termine pāli
Devarūpa che indicano rispettivamente un personaggio letterario -
Devarūpā è una delle “danzatrici celesti” che
Viṣṇu “offre” al re
Naravāhanadatta nel poema epico
Kathāsaritsāgara[8] - e, genericamente, l’immagine di una divinità
[9], ma non hanno assolutamente niente a che vedere con “Guardiani della Soglia”, “Elementali” e viaggi astrali.
La verità è che Annie Besant scrive un commento a Patañjāli senza tener minimamente conto di ciò che Patañjāli – o chi per lui – scrive negli Yoga Sūtra:
“Yoga” il “
piccolo saggio” pubblicato in Italia nel 1909, è in realtà una introduzione alla Teosofia il cui fine non è affatto quello di avvicinare gli studiosi all’antica disciplina indiana, ma, come ella stessa ammette
[10], quello di fare proselitismo per la Società Teosofica spacciando una serie di credenze provenienti dal Neo-platonismo e dal
Perennialismo occidentali per autentico sapere indiano.
Anche Vivekananda nel testo, famosissimo, “Rāja Yoga”, a parte una breve disamina degli “otto passi”, parla di tutto fuorché di Patañjāli. Ecco ad esempio un brano tratto dal capitolo III - “Prana” – della versione del 1896 di “Rāja Yoga” [N.B. la traduzione in italiano è nostra]:
“Quando lo Yogi diventa perfetto non ci sarà nulla nella natura che non sia sotto il suo controllo: se Egli ordina agli dei o alle anime dei defunti di venire, essi risponderanno al suo ordine. Le forze della natura gli obbediranno come schiave.”
In pratica Vivekananda sta esprimendo gli stessi concetti della Besant e continuando la lettura diventerà sempre più evidente che non sta parlando affatto degli Yoga Sūtra, ma delle credenze che si stavano diffondendo in quegli anni negli ambienti esoterici occidentali, come il Pensiero Positivo – il “
New Thought” di Phineas Quimby - e soprattutto il “
Mind Cure Movement” di William James, che si poneva come sintesi di Idealismo e Induismo
[11] e può essere considerato la base teorica della attuale New Age.
“[…] Il Prana è la forza vitale di ogni essere. Il pensiero è l’azione più bella e più alta del Prana. […] Quando la mente ha raggiunto […] la Super-coscienza va oltre i limiti della ragione e si trova faccia a faccia con fatti che nessun istinto o ragione potrà mai conoscere. Tutte le manipolazioni delle forze sottili del corpo, le diverse manifestazioni del Prana, se allenate, danno una spinta alla mente, la aiutano a salire più in alto e diventare Super-cosciente […]. Ogni parte del corpo può essere riempita con il Prana e quando sei in grado di farlo puoi controllare l’intero corpo. Tutta la malattia e l’infelicità provate nel corpo saranno perfettamente controllate e sarai capace di controllare il corpo di un altro. Tutto è contagioso in questo mondo, sia ciò che è buono sia ciò che è cattivo […]. Se sei forte e sano anche le persone che sono vicino a te avranno la tendenza a diventare forti e sane, ma se sei malato e debole gli altri diverranno malati e deboli. […] Scoprirete che i guaritori traggono semplicemente vantaggio dallo stato naturalmente sano di un corpo. Arriva un medico allopatico e cura i malati di colera con le sue medicine. Viene l’omeopata e le sue medicine hanno un effetto forse maggiore di quelle allopatiche, perché l’omeopata [ ] lascia che la natura si occupi dei suoi pazienti. Colui che guarisce per fede è su un piano ancora superiore perché grazie alla forza della sua mente risveglia, attraverso la fede, il prana dormiente del paziente.”
Verrebbe da chiedersi quale sia il legame tra l’omeopatia e gli Yoga Sūtra, ma si tratterebbe di una domanda retorica:
È evidente che sia Besant sia Vivekananda usano Patañjāli e il Rāja Yoga come uno schermo su cui proiettare le loro personali interpretazioni dell’esoterismo occidentale del XIX secolo. L’attribuire le opere del proprio ingegno ad un padre nobile è una tecnica consolidata per acquisire autorevolezza e far riconoscere, se stessi e i propri adepti come appartenenti ad un lignaggio o una tradizione antichissimi o, meglio ancora, pre-umani.
Tra l’altro sono loro stessi a definire, per la prima volta, “Patañjāli il padre dello Yoga” [Vivekananda] e gli Yoga Sūtra “il trattato più importante sullo Yoga” [Besant] anche se, nonostante sembri incredibile, la copia più antica degli Yoga Sūtra esistente, a quanto sappiamo, è quella editata e pubblicata da pandit Jibananda Vidyasagara, amico del co-fondatore della Società Teosofica col. Olcott, a Calcutta nel 1874.
La Besant con il Col. Olcott ad un convegno inter religioso nel 1893.
A parte le voci su una possibile manipolazione o, addirittura, riscrittura del testo - Jibananda, lavorava per conto della Asiatic Society of Bengal, una emanazione della Loggia massonica di Calcutta - viene da chiedersi il motivo per cui Besant e Vivekananda hanno deciso:
1. Di scegliere proprio Patañjāli come padre del nuovo Yoga teosofico-massonico;
2. Di definire il nuovo Yoga teosofico-massonico Rāja Yoga.
Possiamo ovviamente solo fare delle supposizioni:
La scelta di Patañjāli potrebbe essere motivata proprio dalla scarsa diffusione, in quegli anni, della sua opera. Se si fossero presi come riferimento Gorakhsanath, cui all’epoca facevano riferimento moltissimi Haṭḥayogin, o Śaṃkara, fondatore dell’ancor oggi potentissimo ordine degli Śaṃkaracarya, prima o poi qualche eminente studioso indiano avrebbe alzato la voce per difendere gli insegnamenti originari, e le eventuali diatribe che ne sarebbero nate avrebbero sicuramente nuociuto, in termini di consenso, sia ai teosofi sia ai Fighters of Freedom.
Patañjāli sarebbe stato invece il candidato perfetto per una manipolazione per almeno due validi motivi:
1. Non esistevano scuole e lignaggi che si riconoscevano nel suo yoga;
2. Era il nome di almeno cinque autori di una certa fama, trai quali spiccavano il Patañjāli eminente grammatico vissuto probabilmente tra il II e il IV secolo a.C. e il Patañjāli di Chidambaram, yogin, medico e danzatore, vissuto tra il IV e il V secolo d.C.
In altre parole, il nome di Patañjāli circolava da tempo sia trai sanscritisti sia tra gli yogin, e le scarse notizie sulla sua vita e sul periodo in cui sarebbe vissuto potevano contribuire al processo di mitizzazione che avrebbe poi trasformato il grammatico e/o il tantrico Patañjāli nel padre nobile dello Yoga moderno.
Restano da chiarire i motivi per cui Vivekananda utilizzò il termine “Rāja Yoga” - fino a quel momento usato per indicare una particolare configurazione astrologica o, in ambito Nath, come sinonimo di realizzazione – per definire il nuovo Yoga teosofico-massonico. Possiamo supporre che volesse sancire la superiorità del suo Yoga sugli altri stili e scuole - Rāja Yoga potrebbe essere tradotto con “Yoga Regale” - ma è anche possibile che ci siano altre ragioni, poco comprensibili per chi non è addentro alla simbologia e al linguaggio della Massoneria.
Riprendiamo un attimo la copia del libro “Yoga” della Besant che ci è stato appena regalato:
In copertina si vede un uomo, probabilmente un antico greco, che sale tre gradini che conducono ad una porta, protetta da due colonne, sulla quale spicca il sigillo di Salomone.
Sotto al tempio è disegnato un sigillo rettangolare che rappresenta una lampada ad olio dalla cui fiamma si diffondono sette raggi.
In alto, tra due svastiche, si distingue la parola “NON”, in basso si legge invece “EXTINGUETUR”.
La libreria che ha stampato il volume è la “ARS REGIA” di Milano, di cui pare essere proprietario un certo “Dott. G. Sulli-Rao”.
Per ciò che riguarda la "Ars Regia" sappiamo che si tratta di una delle tre “Arti Iniziatiche” – o “tre chiavi” - della Massoneria, definite nel loro insieme, talvolta, “Triplice Via del Fuoco” ad indicare i tre sentieri che permettono all’iniziato di accedere alla “conoscenza suprema”.
La prima Arte Iniziatica è l’Ars Muratoria, o fase del praticantato exoterico, che porta all’apprendista la conoscenza eruditiva e lo sviluppo della mente “raziocinante”.
La seconda Arte Iniziatica è, appunto, l’Ars Regia, fase dei “Piccoli Misteri”, che porta l’adepto allo sviluppo della mente intuitiva.
La terza Arte iniziatica è infine l’Ars Pontificia, la fase dei “Grandi Misteri”, l’arte del costruire un ponte tra Cielo e Terra, tra Spirito e materia, che conduce l’adepto, tramite lo sviluppo della cosiddetta “mente informale” alla comprensione di tutti i simboli e al dominio delle energie della natura.
È possibile che Vivekananda abbia scelto la definizione Rāja Yoga per l’assonanza con “Ars Regia”?
Non possiamo saperlo; quel che è certo è che sulla copertina del libro della Besant troviamo, senza ombra di dubbio chiari riferimenti alla simbologia massonica. Tra l’altro Giuseppe Sulli Rao, l’editore della Besant, risulta essere un Maestro al 33° e ultimo grado della Massoneria, più precisamente “Primo Maestro venerabile 33° grado della R:.L:.n.16 all’Oriente di Roma e primo Maestro Venerabile della Federazione italiana del Droit Humain
[13]”.
Giuseppe Sulli-Rao, "Maestro venerabile 33° grado della R:.L:.n.16 all’Oriente di Roma e primo Maestro Venerabile della Federazione italiana del Droit Humain ”.
La “
Grande Loge symbolique écoissaise mixte de France Le Droit humain” di Parigi, appartenente al “Rito Scozzese Antico e Accettato”, è la più antica loggia massonica “mista” del mondo. Ne facevano parte alcune delle donne più influenti del XIX secolo, tra le quali spiccano i nomi di Alexandra David-Néel, teosofa, tibetologa e
Maestro del 33° e ultimo grado del Rito Scozzese Antico e Accettato[14], e del “Presidente Generale della Società Teosofica” Annie Besant che sarà autorizzata, nel 1903, ad aprire a suo nome la prima loggia mista in terra inglese.
Ritratto giovanile di Annie Besant.
Ricapitolando, quindi, abbiamo due Maestri massoni – ricordiamo che anche Vivekananda era affiliato alla massoneria ed aveva raggiunto il grado di Maestro - che, più o meno nello stesso periodo, scrivono dei saggi su un testo – gli Yoga Sūtra – che è stato pubblicato in sanscrito per la prima volta pochi anni prima da Jibananda Vidyasagara, un altro affiliato alla massoneria.
Viene il sospetto che il successo mondiale degli Aforismi di Patañjāli e del Rāja Yoga sia stato in qualche modo voluto dalla massoneria di fine ‘800, in base ad un qualche disegno, per noi profani, di difficile lettura, un disegno che ha probabilmente poco a che vedere con lo Yoga indiano e con la sua storia.
Fissiamo adesso alcuni punti, utili a chiarire i sorprendenti quanto inequivocabili collegamenti tra Patañjāli e la Massoneria:
1. Tra il 1874 e il 1894 – la versione attualmente conservata all’Asiatic Society di Calcutta è quella del 1894 - Jibananda Vidyasagara, massone bengalese soprannominato “
the God Father” – il “Padrino” – dal massone e co-fondatore della Teosofia Henry Steel Olcott, pubblica “
Patanjala Darsanam with Vyasabhashya”
[15], che è a tutt’oggi, la più antica pubblicazione esistente degli Yoga Sūtra.
2. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo i Maestri massoni Annie Besant e Swami Vivekananda – Vivekananda era stato iniziato nel 1884 alla loggia “
Anchor and Hobe” n.1 di Calcutta
[16] - personaggi fondamentali nella storia dello Yoga moderno, decidono entrambi di tenere lezioni e conferenze su Patañjāli definendolo “
il padre dello Yoga”, e pubblicano due saggi su “Yoga Sūtra” definendolo “
il più importante manuale di yoga esistente”;
3. Grazie probabilmente all’appoggio della massoneria internazionale e della Società Teosofica i due saggi e, in seguito, la versione di Jibananda Vidyasagara del testo di Patañjāli – vengono tradotti in varie lingue e diffusi in tutti i continenti;
4. Nel XX secolo gli Yoga Sūtra di Patañjāli diventano “il libro maestro” di milioni di praticanti di Yoga sia in Occidente sia in Oriente.
Se si considera il fatto che fino al XIX secolo circolavano in India decine di trattati di Yoga nessuno dei quali citava gli Yoga Sūtra, l’idea che dietro successo del libro di ci sia un qualche oscuro, per noi, disegno massonico ci pare tutt’altro che campata in aria.
Ecco alcuni testi di Yoga ritenuti fondamentali, secondo James Mallison
[17] ed altri studiosi, fino al XIX secolo:
1. Joga Pradīpikā, di Ramanandi Jayatarama (1737);
2. Gheraṇḍa Saṁhitā (XVII secolo);
3. Śiva Saṃhitā (XVII secolo);
4. Haṭha Ratnāvalī, di Srinivasa (XVII secolo);
5. Amaraughaśāsana, attribuito a Gorakhanath (XVI secolo);
6. Haṭhayogapradīpikā, di Svātmārāma (XV secolo);
7. Śārṅgadharapaddhati, (XIV secolo);
8. Khecarīvidyā, (XIVsecolo);
9. Yogabīja (XIV secolo);
10. Dattātreyayogaśāstra, attribuito a Dattatreya (XIII secolo);
11. Vivekamārtaṇḍa, attribuito a Gorakshnath (XIII secolo);
12. Amaraugha Prabodha, attribuito a Gorakshnath (XII secolo);
13. Goraksaśatakạ, di Gorakhsanath, (XI secolo);
In nessuno di questi testi vengono citati né Patañjāli né i suoi aforismi.
Se veramente Patañjāli fosse il “Padre dello Yoga”, ci chiediamo, come è possibile che in nemmeno uno di questi libri ci sia una sola citazione di lui o degli Yoga Sūtra, considerati dalla Besant il “Manuale fondamentale dello Yoga”?
LA RELIGIONE UNIVERSALE
È probabile, a questo punto che quello che viene considerato ancora oggi la “Bibbia dello Yoga”, sia stato ripescato - o addirittura riscritto – nella seconda metà del XIX secolo; ma perché massoni e teosofi avrebbero impiegato tante energie per pubblicare, commentare e diffondere un testo, a quanto pare, minore della letteratura indiana?
Per cercare di risolvere il quesito dobbiamo addentrarci nel sapere massonico.
Scrive J. Gottlieb Fichte
[18]:
“[…] Il maggior segreto dei Liberi muratori è che non ne hanno nessuno.”
La Massoneria non ha segreti, perché si propone come “un contenitore di frammenti di una conoscenza del passato oggi perduta”. In un certo senso, è alla ricerca di chi possa contribuire a svelare i “Misteri” e a condividere con gli altri esseri umani la propria esperienza “extra ordinaria”.
Questa concezione si basa sulla vera o presunta esistenza di una “Filosofia Perenne” o “Tradizione non umana”, che, in tempi remotissimi, avrebbe sviluppato un sistema di conoscenze, oggi perduto, per insegnare all’essere umano la “Via verso l’immortalità”.
La Tradizione sarebbe la portatrice della “Conoscenza autentica” simboleggiata dalla Luce o talvolta dal Fuoco, che non si estinguono mai – “NON EXTINGUETUR” – e si manifesta attraverso le azioni e le parole dei “Grandi Iniziati” che periodicamente, nei momenti più bui per l’umanità, si incarnano come esseri umani. I grandi iniziati sarebbero Platone, Mosè, Buddha, Lao Tzu, Cristo – visto come profeta illuminato e non come “Figlio di Dio – Maometto ecc., tutti personaggi che avrebbero avuto una via di comunicazione diretta con un “Assoluto inconoscibile e irrappresentabile” definito in tempi moderni “Super-coscienza”.
Per riappropriarsi della “Scienza delle Scienze”, come talvolta viene definita la conoscenza tradizionale, pur basandosi in massima parte sulla gnosi ellenistica, sull’alchimia occidentale e sul sapere neoplatonico, i massoni, in cerca sia di “tecniche operative” sia di un linguaggio che possa “comunicare l’incomunicabile”, si rivolgono spesso e volentieri alle culture del medio e dell’estremo Oriente. Si finisce così per mescolare tra loro – e talvolta modificare – elementi della Qabbalah medioevale, del sufismo, dello sciamanesimo siberiano, del taoismo, della magia Caldea ecc.
Nel XIX secolo, nell’ambito di un progetto teso all’evoluzione politica, sociale e spirituale dell’intera umanità, i massoni decidono di creare una religione universale, che, doveva riunire come un solo grande contenitore, gli insegnamenti degli antichi illuminati.
Per portare avanti questo ambiziosissimo progetto dovevano innanzitutto creare un linguaggio ed una simbologia comuni che fossero comprensibili per i credenti di tutte le religioni e, per motivi che possiamo solo immaginare, Ispirandosi al motto “la Luce viene da Oriente” decisero di far riferimento soprattutto alla tradizione filosofica indo-tibetana da cui trassero la terminologia e alcuni concetti base modificandoli per adattarli alle credenze massoniche;
Così come gli “Elementali” della tradizione neo-platonica, vennero trasformati in “Rupa Deva”, gli istinti più bassi dell’essere umano, per fare solo pochi esempi, vennero definiti dai massoni “kama manas”, l’intuizione e l’ispirazione degli artisti e dei mistici “buddhi” e la “super-coscienza” “atma”
[19]. Ovviamente, dato che, ripetiamo, il loro intento era quello di creare una “Nuova Religione Universale”, dovevano eliminare o mettere in secondo piano tutti gli elementi dell’induismo e del buddhismo palesemente in contrasto con la tradizione occidentale e con l’allora assai popolare “New Thought”, il movimento del “Pensiero Positivo”.
Fu così che nacquero il “Rāja Yoga” e il “Vedānta” moderni, una serie di tecniche meditative, principi etici e riflessioni filosofiche completamente in sintonia con le concezioni massoniche e, soprattutto, privi di tutti quegli elementi che, pur essendo parte integrante del buddhismo e dell’induismo, erano potenzialmente destabilizzanti.
La scelta di “lanciare” il testo di Patañjāli - pubblicato per la prima volta, ripetiamo, tra il 1874 e il 1894 dal massone bengalese Jibananda Vidyasagara – come “libro dei libri” dello Yoga e di mettere in secondo piano i testi fino ad allora considerati fondamentali dagli yogin indiani
[20] è dovuta anche alla totale assenza, negli Yoga Sūtra, di riferimenti a pratiche e concetti che sarebbero stati maldigeriti dal pubblico occidentale.
Gli Yoga Sūtra, se confrontati ad esempio, con lo Haṭhayogapradīpikā – un testo del XV secolo – o con l’Amaraugha Prabodha – scritto nel XII secolo – presentano delle singolari lacune:
- Non c’è alcun riferimento né a maestri precedenti, né a divinità Hindu. Patañjāli non cita una sola volta né Śiva, il primo yogin secondo la tradizione indiana, né Viṣṇu, né la dea in nessuna della sue forme;
- Non c’è alcuna descrizione di nessuna delle tecniche operative descritte negli altri manuali di Yoga. Non viene descritta nessuna postura, nessun mantra, nessun bandha, nessuna mudrā;
- Non c’è nessun riferimento alle pratiche di purificazione fisica o ad altre pratiche desunte dallo āyurveda presenti invece negli altri manuali di Yoga;
- Non c’è nessun riferimento alle pratiche sessuali e all’utilizzazione dell’energia sessuale presenti invece negli altri manuali (basti pensare che lo Haṭhayogapradīpikā dedica quasi un intero capitolo, il terzo, alle pratiche sessuali).
La Danza di Śiva, dai cui passi procederebbe l'insegnamento dello Yoga.
La cosa interessante è che queste lacune vengono di solito interpretate, da studiosi e insegnanti contemporanei, come la prova dell’essere lo Yoga psicologico di Patañjāli il “vero Yoga”, uno yoga senza mantra, senza posture, senza bandha, senza rituali basato quasi esclusivamente su un lavoro di trasformazione della mente simile se non identico alle pratiche massoniche tese alla creazione di una “mens informalis”.
L’assenza di spirito critico con cui la maggior parte dei praticanti si avvicina a Patañjāli è dovuta al fatto che le sue parole e quelle dei maestri che ne hanno parlato negli ultimi 120 anni vengono considerate apauruṣeya, “non di fonte umana”, e quindi “vanno” accolte senza far uso della nostra erudizione e della logica comune.
Noi non sappiamo quando siano stati scritti davvero gli Yoga Sūtra, né chi ne sia effettivamente l’autore.
Nessuno può dire se, nella forma attuale, siano stati scritti nel III secolo a.C. dal grammatico Patañjāli, nel IV secolo d.C. dall’omonimo siddha di Chidambaram o nel XIX secolo dal massone bengalese Jibananda Vidyasagara.
Quel che è certo è che sono stati divulgati e resi popolari in tutto il mondo dal “Buddha dell’Occidente” Vivekananda e dell’incarnazione di Ipazia, Anne Bailey, autori di due saggi sull’argomento che sono stati pubblicati quasi contemporaneamente e che hanno influenzato le successive generazioni di yogin.
A questo punto senza trarre conclusioni, vi invitiamo a leggere i due commenti agli Yoga Sūtra – “Yoga” della Besant e “Raja Yoga” di Vivekananda - con molta attenzione, come abbiamo fatto noi, cercando di discriminare nei due scritti tra ciò, che secondo le vostre esperienze, è Yoga e ciò che invece è un mix di “Pensiero Positivo”, Teosofia e Induismo edulcorato.
Dopo di che potrebbe essere interessante che vi poneste questa domanda: Cosa è davvero lo Yoga?
[1] Probabilmente si tratta del mitico “guru degli dei”, citato nei Veda e poi identificato con il pianta Giove.
[2] A volte si trova scritto "Raja Yoga" che in sanscrito a dir la verità significa “yoga della polvere” o “yoga del polline”. La grafia corretta dovrebbe essere Rāja Yoga.
[3] David Gordon White (Pittsfield, 3 settembre 1953), storico delle religioni statunitense è uno dei più conosciuti esperti di letteratura yoga viventi. Laureato in hindi presso la Hindu University di Benares, si è alla École Pratique des Hautes Études, a Parigi, negli anni 1977-1980 e 1985-1986. Nel 1988 si laurea in Storia delle Religioni presso la University of Chicago. Attualmente è docente di studi religiosi alla California University di Santa Barbara.
राज-योगः समाधिश्छ उन्मनी छ मनोन्मनी |
अमरत्वं लयस्तत्त्वं शून्याशून्यं परं पदम || ३ ||
अमनस्कं तथाद्वैतं निरालम्बं निरञ्जनम |
जीवन्मुक्तिश्छ सहजा तुर्या छेत्येक-वाछकाः || ४ ||
rāja-yoghaḥ samādhiścha unmanī cha
manonmanī |
amaratvaṃ layastattvaṃ śūnyāśūnyaṃ paraṃ
padam || 3 ||
amanaskaṃ tathādvaitaṃ nirālambaṃ
nirañjanam |
jīvanmuktiścha sahajā turyā
chetyeka-vāchakāḥ || 4 ||
[12] Le Droit Humain è il più antico Ordine massonico misto della storia, costituitosi ufficialmente in Francia il 4 aprile del 1893 – ma già attiva dal 1884 - e in Italia nel 1904.
Vedi
elenco precedente:
1. Joga
Pradīpikā, di Ramanandi Jayatarama (1737);
2. Gheraṇḍa
Saṁhitā (XVII secolo);
3. Śiva Saṃhitā
(XVII secolo);
4. Haṭha
Ratnāvalī, di Srinivasa (XVII secolo);
5. Amaraughaśāsana,
attribuito a Gorakhanath (XVI secolo);
6. Haṭhayogapradīpikā,
di Svātmārāma (XV secolo);
7. Śārṅgadharapaddhati,
(XIV secolo);
8. Khecarīvidyā,
(XIVsecolo);
9. Yogabīja
(XIV secolo);
10. Dattātreyayogaśāstra,
attribuito a Dattatreya (XIII secolo);
11. Vivekamārtaṇḍa,
attribuito a Gorakshnath (XIII secolo);
12. Amaraugha
Prabodha, attribuito a Gorakshnath (XII secolo);
13. Goraksaśatakạ, di Gorakhsanath, (XI secolo);
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Interessante questa analisi. Interessante la domanda finale! Dubbi inquietanti nascono da questa riflessione, a cui probabilmente non troverò mai risposta.
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