LO YOGA “NON ORTODOSSO”
Si
legge alla voce “Yoga” della Encyclopædia Britannica[1]:
Yoga, (Sanskrit: “Yoking” or “Union”) one of the six
systems (darshans) of Indian philosophy. Its influence has been
widespread among many other schools of Indian thought. Its basic text is
the Yoga-sutras by Patanjali (c. 2nd century BCE or 5th century CE).[2]
In altre parole, secondo la Encyclopædia
Britannica – e la maggior parte degli accademici occidentali - lo Yoga:
1- È uno dei sei darśana
(दर्शन)
brahminici - detti anche āstika (आस्तिक) - ovvero le scuole di pensiero che
riconoscono l’autorità dei Veda e rappresentano la base filosofica
dell’induismo;
2- Viene identificato quasi esclusivamente con
gli insegnamenti esposti da Patañjāli nello Yoga Sūtra.
Lo Yoga di Patañjali, definito Aṣṭāṅga Yoga, o “Yoga delle otto membra,” e, a partire dalle lezioni americane
di Swami Vivekananda[3] Rāja Yoga, o Yoga Reale, è ritenuto da molti, ancora oggi, lo Yoga
autentico, “vero”, “tradizionale”;
Ciò nonostante – a quanto ci risulta - non ci
sono prove storiche né della sua diffusione tra il XIII e il XVIII né
dell’esistenza in India di lignaggi, scuole o ordini monastici dedicati al Rāja Yoga.[4]
Secondo molti commentatori attuali, tra cui
David Gordon White[5] in India, fino al XIX secolo erano molto più popolari - e
praticati – dello Aṣṭāṅga Yoga, lo Ṣaḍaṅga Yoga (o Yoga delle sei membra), il Saptāṅga Yoga (Yoga delle sette membra) o il Caturaṅga Yoga (Yoga delle quattro membra)[6].
Questi tre “Yoga” sono descritti in tre
“manuali tecnici” facilmente reperibili anche ai nostri giorni:
-
Il Gorakṣaśataka (Gorakshashatakam), che corrisponde più a meno alla prima parte
della Gorakṣa Saṃhitā; (di cui
presentiamo la traduzione nei capitoli successivi), e descrive lo Ṣaḍaṅga Yoga – o “Yoga delle sei membra” - di Gorakṣa[7];;
-
La Gheraṇḍa Saṃhitā, testo attribuito ad un maestro chiamato Gheraṇḍa[8], che
espone il Saptāṅga Yoga, una
variante in sette parti dello Ṣaḍaṅga Yoga;
-
Lo Haṭhayogapradīpikā di Svātmārāma – un discepolo di Gorakṣa –.che tratta del Caturaṅga Yoga, ovvero
lo Yoga in quattro parti.
Se analizziamo questi testi e li confrontiamo
con lo Yoga Sūtra noteremo sicuramente, al di là dell’utilizzazione
di un linguaggio simile, enormi differenze sia sul piano pratico sia sul piano
teorico.
Lo Haṭhayogapradīpikā, Gheraṇḍa Saṃhitā e Gorakṣaśataka descrivono uno Yoga eminentemente “fisico” –
lo Haṭhayoga - in cui
possiamo riconoscere alcune caratteristiche fondamentali:
1.
È uno Yoga in cui le pratiche fisiche - āsana, bandha, mudrā – rivestono
un’importanza fondamentale;
2.
È uno Yoga basato sul sistema dei cakra e delle nāḍī;
3.
È uno Yoga finalizzato all’ottenimento di particolari poteri –
compresi la salute, la bellezza, la longevità e il ringiovanimento;
4.
Questi poteri sono il risultato della percezione, dell’attivazione
e dell’utilizzazione di un’energia chiamata Kuṇḍalinī.
Lo Yoga Sūtra descrive
invece uno Yoga eminentemente psicologico, ben lontano dagli insegnamenti dello
Haṭhayoga. Nello
specifico, nel testo di Patañjali:
1.
Non viene descritto un solo āsana e non si parla né
di bandha né di mudrā;
2.
Non viene mai citato il sistema dei cakra[9];
3.
I poteri – siddhi - ottenibili con la pratica sono visti come un
ostacolo alla “realizzazione”;
4.
Non viene menzionata una sola volta l’energia Kuṇḍalinī.
In epoca moderna si è tentato di unificare i
due insegnamenti attribuendo allo Yoga caratterizzato da pratiche fisiche
fisiche – āsana, bandha mudrā - un ruolo di addestramento o
preparazione alla pratica “autentica” che sarebbe rappresentata, appunto, dal Rāja Yoga, ma si
tratta di un’ipotesi non fondata su nessuna prova documentale, nata da una
forzatura interpretativa del primo versetto dello Haṭhayogapradīpikā.
Si legge all’inizio del libro di Svātmārāma:
“Sia
lode al primo maestro che rivelò la conoscenza dello Haṭhayoga, una scala che conduce alla vetta suprema del Rāja
Yoga.”
Quasi
tutti i commentatori, da Vivekananda in poi, identificando lo Aṣṭāṅga
Yoga di Patañjali con il Rāja
Yoga, attribuiscono
al versetto questo significato:
“lo Haṭhayoga, fatto di intense e rigorose pratiche fisiche, non è
una via alla realizzazione, ma conduce, al massimo a poter praticare lo Yoga di
Patañjali”.
Ma
si tratta appunto di una forzatura interpretativa. In un brano successivo
l’autore dello Haṭhayogapradīpikā spiega infatti cosa è, secondo lui, il “Rāja Yoga” (Haṭhayogapradīpikā IV, 3-4):
"Rāja Yoga,
samādhi, estinguere il Manas, andare oltre il Manas, Realtà, śūnyā...Stato del Jīvanmukta,
Sahaja, Turiya... Significano tutti la stessa cosa.”[10]
Rāja
Yoga, quindi, va
inteso sinonimo di realizzazione,
per cui Svātmārāma - l’autore dello Haṭhayogapradīpikā – voleva semplicemente dire che grazie alle pratiche
psicofisiche dello Yoga si giunge alla realizzazione.
In realtà le differenze trai due insegnamenti
sono così profonde da farci supporre che lo Haṭhayoga e lo Yoga di Patañjali
appartengano a due diverse tradizioni filosofiche finalizzate l’una, alla
realizzazione sul piano materiale (longevità, salute, poteri psico-fisici,
ricchezza…) e l’altra alla “Liberazione” intesa come distacco dalla sfera
materiale, ma la questione, come vedremo, è assai più complicata e non può
essere ridotta ad una dicotomia tra materialismo e spiritualismo o tra teismo e
ateismo.
DARŚANA
Riprendiamo la definizione di “Yoga” che
abbiamo tratto dall’ Encyclopædia Britannica:
Yoga, (Sanskrit:
“Yoking” or “Union”) one of the six systems (darshans) of Indian philosophy. Its influence has been
widespread among many other schools of Indian thought. Its basic text is
the Yoga-sutras by Patanjali (c. 2nd century BCE or 5th century CE).
Per Yoga
si intenderebbe quindi un darśana ortodosso, basato sui Sūtra di Patañjali.
Ma cosa sono i darśana?
Con il
termine darśana (दर्शन) –
“punti di vista”, “visione”, “visione della verità” – nella filosofia indiana
si intendono in genere sei scuole di pensiero:
-
Nyāya,
-
Vaiśeṣika,
-
Sāṃkhya,
-
Yoga,
-
Mīmāṃsā,
-
Vedānta.
Queste sei “visioni” – ognuna delle quali fa
riferimento ad uno specifico testo articolato in brevi frasi o componimenti chiamati
Sūtra[11] – vengono considerate āstika ovvero parte
integrante del Sanātanadharma (सनातनधर्म)[12]ma esistono anche i darśana
eterodossi - nāstika (नास्तिक) trai quali troviamo:
-
Il Buddhismo;
-
Il Jainismo;
-
Lo
Ājīvika;
-
Il Cārvāka.
La differenza sostanziale trai due tipi
di darśana è che le scuole āstika – da asti paralokah, “colui che crede in un mondo trascendente” – riconoscono
l’autorità dei Veda e li considerano apauruṣeya (अपौरुषेय), “non di
origine umana”; mentre le scuole nāstika - da nasti
paralokah, “colui che non crede in un mondo trascendente” – mettono in discussione
sia il sapere vedico sia l’esistenza di entità sovrannaturali.
Questa discriminazione tra āstika e nāstika
che ci è
utile per far luce sulle diverse origini, culturali e filosofiche, dello Haṭhayoga e dello Yoga
di Patañjali, non rende completamente merito alla complessità del pensiero
indiano.
È bene considerare infatti:
1.
Che nelle scuole filosofiche indiane, anche
all’interno di uno stesso darśana, è presente una tale varietà di teorie
e “tecniche operative” da rendere impossibile, o quasi, individuare
caratteristiche comuni[13];
2.
Che l’accettazione dell’autorità dei Veda
era vista spesso solo un modo conveniente per introdurre e far circolare idee
nuove senza entrare in conflitto con la casta dei brahmani.
Il rigido impianto filosofico del brahmanesimo
– sanātanadharma – basato su śruti (श्रुति) - l’insieme delle scritture rivelate o apauruṣeya - e smṛti (स्मृति) – l’insieme dei manuali di interpretazione e di
applicazione della śruti – ha una origine relativamente recente legata
alla diffusione del sanscrito classico. I darśana, accettati come
ortodossi, vengono riassunti e sistematizzati in particolari opere letterarie (sūtra) composte in sanscrito classico e caratterizzate da versi
succinti di non immediata comprensione.
Nel momento in cui i sūtra - Sāṃkhya Sūtra,
Brahma Sūtra, Yoga Sūtra ecc. –
entrano a far parte della smṛti, il
sistema dei darśana brahminici diviene una “verità ontologica”: nessuno
può contraddirlo e nessuno può aggiungere un nuovo sistema filosofico.
La verità è solo quella espressa dai Veda ei
Veda sono interpretabili solo alla luce dei sei darśana ortodossi. Una
nuova “interpretazione della realtà”, una nuova filosofia non sono compatibili
con il sanātanadharma, per cui l’unica possibilità per un pensatore
indipendente, era quella di articolare in una nuova forma ciò che innumerevoli
altri avevano già visto e spiegato prima di lui. In altre parole, doveva
cercare di essere riconosciuto da un determinato lignaggio spirituale e aderire
a questo o quel darśana ortodosso. Nell’ambito del sapere brahmanico la
libertà di pensiero è condizionata dall’aderenza alla śruti, ovvero ai
testi nati dalle intuizioni degli antichi veggenti: solo le scritture sacre sono
portatrici della verità assoluta e ogni ragionamento, ogni interpretazione di
esperienze percettive in contrasto con la verità delle scritture è frutto e, al
tempo stesso, causa di illusione[14].
[2]
Traduzione in italiano:
“Yoga, (sanscrito: “Aggiogare” o
“Unione”) uno dei sei sistemi (darshan) della filosofia indiana . La sua influenza è stata
diffusa tra molte altre scuole di pensiero indiano. Il suo testo di base è
lo Yoga-Sūtra di
Patañjali (2° secolo a.C. /5
° secolo CE).”
[3]
Vedi il nostro “Storia Segreta dello Yoga”, https://www.amazon.it/STORIA-SEGRETA-DELLO-YOGA-Devozione/dp/1697366651
[4]
In realtà le origini dello Yoga Sūtra sono avvolte nel mistero. Non si
sa né quando né da chi sia stato scritto. Il Patañjali è comune ad almeno
cinque autori degni di nota, tra cui un grammatico del II secolo a.C. ed un
danzatore, maestro di āyurvedo, vissuto a Chidambaram nel V secolo d.C.
[5] David Gordon
White (Pittsfield, 3 settembre 1953), storico delle religioni statunitense è
uno dei più conosciuti esperti di letteratura Yoga viventi
Laureato in hindi presso la Hindu University di Benares, si è laureato
alla École Pratique des Hautes Études, a Parigi, negli anni 1977-1980 e
1985-1986. Nel 1988 si laurea in Storia delle Religioni presso la University of
Chicago. Attualmente è docente di studi religiosi alla California University di
Santa Barbara.
[6] Secondo
White e molti commentatori contemporanei fino al XIX secolo lo Aṣṭāṅga Yoga – o “Yoga delle otto membra” - di
Patañjali era praticamente sconosciuto e sarebbe stato portato a conoscenza del
grande pubblico, sia occidentale che orientale, proprio da Vivekananda –
esponente del Brahmoismo, un movimento di riforma dell’induismo legato
agli indipendentisti indiani - e dalla Società Teosofica. Lo Aṣṭāṅga
Yoga di Patañjali si sarebbe quindi affermato in India e nel resto del
mondo come “Yoga Tradizionale” proprio grazie all’intensa attività editoriale e
promozionale dei brahmoisti e dei teosofi.
[7] Fonte:
-
David Gordon
White, YOGA IN PRACTICE. Princeton University Press (2012). ISBN
978-0-691-14085-8.
-
Mikel Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory, and
practice, Motilal Banarsidass Publications., 2000. ISBN 978-81-208-1706-7.
[8] Fonte:
-
Op. Cit. Mikel
Burley, Haṭha-Yoga: its context, theory,
and practice, Motilal Banarsidass Publications. 2000. ISBN
978-81-208-1706-7.
[9]
La parola “cakra”, con il significato, presumibilmente, di “plesso energetico”,
viene usata solo una volta nello Yoga
Sūtra, in III, 30:
नाभिचक्रे कायव्यूहज्ञानम् ॥ ३०॥
nābhicakre kāyavyūhajñānam
[10] Questo il
testo in sanscrito:
राज-योगः समाधिश्छ उन्मनी छ मनोन्मनी |
अमरत्वं लयस्तत्त्वं शून्याशून्यं परं पदम || ३ ||
अमनस्कं तथाद्वैतं निरालम्बं निरञ्जनम |
जीवन्मुक्तिश्छ सहजा तुर्या छेत्येक-वाछकाः || ४ ||
rāja-yoghaḥ
samādhiścha unmanī cha manonmanī |
amaratvaṃ
layastattvaṃ śūnyāśūnyaṃ paraṃ padam || 3 ||
amanaskaṃ
tathādvaitaṃ nirālambaṃ nirañjanam |
jīvanmuktiścha
sahajā turyā chetyeka-vāchakāḥ || 4 |
[11]
I Darśana
ortodossi, inseriti nella smṛti (स्मृति) – ovvero l’insieme dei testi di
applicazione e interpretazione dei Veda - sono in realtà sei testi fondamentali
(Sūtra), di altrettante scuole filosofiche che interpretano i Veda
partendo da presupposti diversi, e propongono una serie di riflessioni,
meditazioni e tecniche per giungere allo scopo ultimo dell’esistenza umana, la
cosiddetta Liberazione. I sei Darśana sono:
1.
Nyāya Sūtra di
Gautama;
2.
Vaiśeṣika Sūtra di
Kaṇāda;
3.
Sāṃkhya Sūtra di
Kapila;
4.
Mīmāṃsā Sūtra di
Jaimini;
5.
Brahma Sūtra di Vyāsa;
6.
Yoga Sūtra di
Patañjali.
[12]
“Legge eterna”, reso talvolta in occidente con “filosofia perenne”. Rappresenta
l’insieme di culti e concezioni filosofiche che definiamo induismo.
[14]
L’impossibilità di creare nuovi sistemi
filosofici o di esporre nuove teorie cosmologiche fece fiorire la tradizione
letteraria dei Bhāṣya (भाष्य),
letteralmente “commento”, e dei Ṭīkā (टीका) o “annotazione”.
In pratica, chiunque aspirasse ad essere
riconosciuto come maestro o precettore - Ācārya (आचार्य) – e a
godere di tutti i benefici anche economici del ruolo, non potendo presentare
teorie innovative o interpretazioni originali attribuendole al proprio ingegno
o alla propria esperienza, doveva
scrivere un commento, bhāṣya sui sūtra di un
determinato darśana, oppure scrivere una serie di note - Vārttika (वार्त्तिक) – su un
bhāṣya riconosciuto come autorevole, o ancora
scrivere un “sottocommento” - ṭīkā – alle note scritte da un Ācārya.
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