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NON SOLO AṢṬĀṄGA: ṢAḌAṄGAYOGA, I SEI PASSI DELLO YOGA MEDIOEVALE

 

I SEI PASSI DELLO ṢAḌAṄGAYOGA



Lo Yoga, per la maggior parte dei praticanti, è Aṣṭāṅgayoga - "Yoga delle otto membra" - con riferimento non tanto allo stile sistematizzato da Patthabi Jois, quanto agli insegnamenti di Patañjāli, considerato "universalmente" il padre dello Yoga. Fin quando si rimane nell'ambito della letteratura sanscrita si tratta di una affermazione innegabile - "il vero Yoga è lo Aṣṭāṅgayoga" - ma se cambiamo prospettiva e ci rivolgiamo ai testi di Yoga scritti, almeno in origine, in altre lingue - newari, marathi, assamese, braji bhasa,  H.B.S (Hybrid Buddhist Sanskrit), tibetano…- e considerati "non ortodossi" dai brahmini, scopriremo che lo Yoga medioevale - ovvero quell' insieme di tecniche posturale, respiratorie e meditative che si insegna oggi nelle nostre scuole e palestre - sembrava ignorare lo Aṣṭāṅgayoga di Patañjāli e faceva riferimento ad altri sistemi, identificabili con uno Ṣaḍaṅgayoga - "Yoga delle sei membra" - risalente al V-VI secolo d.C. e nato nell'ambito del movimento buddhista detto Sahaja.
Nelle descrizioni dello Ṣaḍaṅgayoga - di cui esistono varie versioni, le più note tra le quali sono quelle di Gorakhnath, di Niguma (Palgyi Yéshé  in tibetano) e di Nāropā - troviamo dei termini che pur essendo simili o identici a quelli che possiamo leggere nello Yoga Sūtra di Patañjāli, indicano, spesso, tecniche e concetti affatto diversi.
Tecniche e concetti che potrebbe essere assai utile, secondo me, conoscere e comprendere.

Ecco, per fare un esempio, la descrizione dello  Ṣaḍaṅgayoga di Nāropā: 

Lo Yoga è formato da sei “membra” o parti:

1Pratyāhāra, o “ritrazione”;
2. Dhyāna, o “meditazione”;
3. Prāṇāyāma, o “controllo della respirazione/dei soffi vitali”;
4. Dhāraṇā, o “ritenzione/fissazione”;
5. Anusmṛti, o “applicazione mnemonica”;
6. Samādhi, o “contemplazione”.

Questi sei passi  sono a loro volta organizzati in quattro diversi momenti:

Sevā, o “pratica devota”, che comprende Pratyāhāra e Dhyāna;
Upasādhanao “realizzazione inferiore”, che comprende Prāṇāyāma e Dhāraṇā;
Sādhana, inteso come “realizzazione”, che corrisponde allAnusmṛti;
Mahsādhana, o “grande realizzazione”, che coincide con il Samādhi.

Il primo passo, Pratyāhāra, consiste nell’isolarsi dalla realtà circostante portando l’attenzione sul vuoto. Dal vuoto emergono dieci segni:

1. Visione del fumo;
2. Visione di un miraggio (definito come “visione di acqua in movimento”):
3. Una luce simile a quella emessa da una lucciola;
4. Una luce simile a quella emessa da una lampada;
5. Una fiamma;
6. La Luna;
7. Il Sole;
8. Un disco nero (visualizzazione di Rāhu, nodo lunare settentrionale/canale mediano);
9. Un lampo;
10. Un disco azzurro (visualizzazione del bindu).

Dopo il manifestarsi del decimo segno appare, secondo il kālacakra, un’immagine “immateriale e ineffabile[1] definita “forma del Buddha”, “forma dei Buddha” o “corpo di fruizione del Buddha”, che contiene “tutti i tempi e tutte le cose”.

Il secondo passo dello Ṣaḍaṅgayoga è la meditazioneDhyāna durante la quale il praticante deve “consolidare” l’immagine apparsa dopo la manifestazione dei dieci segni.

Più propriamente bisognerebbe parlare di meditazione dell’immagine o bimbabhāvanā (letteralmente bimba indica la sfera o il cerchio con cui si identifica un astro) che  viene divisa in due fasi: 
"antecedente" (o preliminare) e "finale" (o susseguente).

La “meditazione dell’immagine preliminare” consiste nell’insorgere dell’immagine dopo la realizzazione dei dieci segni (fumo, miraggio, lucciola ecc.);
La "meditazione dell'immagine susseguente" consiste nell'integrare l'immagine visualizzandola come parte di sé e corrisponde ad anusmṛti (il "quinto passo")[2].

La meditazione, dhyāna, è articolata in cinque diversi momenti:
    1.     Vitarkaovvero “esame”;
2.     Vicāra, ovvero “analisi”;
3.     Prīti, ovvero “gioia”;
4.     Sukha, ovvero “piacere”;
5.     Cittaikagratā, ovvero “concentrazione della mente in un punto”.

 

Nel primo momento – vitarka - si ha una visione “descrittiva”, in senso lato “razionale” della realtà (dell’immagine realizzata dopo i dieci segni);

Nel secondo momento - vicāra - si ha una visione d’insieme o meglio “intuitiva” della realtà (dell’immagine realizzata dopo i dieci segni);

Nel terzo momento - prīti – il praticante si trova immerso in uno stato di pace e tranquillità mentale che lo conduce alla gioia;

Dalla gioia scaturisce la completa distensione del corpo che si accompagna aduna condizione di piacere diffuso definita sukha (quarto momento);

Nel quinto momento - cittaikagratā - il praticante è completamente immerso nello stato definito prajña, o saggezza.

Il terzo passo - prāṇāyāma - è il controllo del respiro e dei soffi vitali intesi come veicolo della mente, e il suo scopo è quello di interrompere la circolazione delle energie nei due canali laterali (rasanā a destra e lalanā a sinistra) per immetterle nel canale di centro  detto Avadhūtī.

Il quarto passo - dhāraṇā - consiste nella concentrazione – o fissazione – del soffio vitale nella parte più alta delle testa - nel luogo del bindu -  conseguente all’arresto della circolazione delle energie nei due canali laterali (arresto realizzato grazie alla pratica del prāṇāyāma.

Tramite l’eccitazione sessuale l’energia definita caṇḍālī sale lungo il canale centrale e discioglie il seme (bindu).

Il seme  è legato a quattro diversi tipi di piacere e durante la pratica di dhāraṇā viene fissato nei diversi cakra:

-         Il cosiddetto “bindu corporeo” - Kāyabindu – viene fissato al cakra dei genitali;
-         Il “bindu della voce” al cakra dell’ombelico;
-         Il “bindu della mente” al cakra del cuore;
-         Il “bindu della conoscenza” al cakra della gola.

Il quinto passo – anusmṛti - lo possiamo definire “meditazione susseguente” o “meditazione finale”. La risalita della caṇḍālī si accompagna alla di nuovo alla manifestazione dei dieci segni – “fumo, miraggio, lucciola, lampada, fiamma, Luna, Sole, disco nero, lampo e disco azzurro” -  dopo i quali appare  l'iṣṭa-devatā, la “divinità desiderata”,  accompagnata da una luce diffusa.

La caṇḍālī - con cui si intende sia la yoginī che partecipa alla pratica, sia la sua immagine visualizzata, sia l’energia dell’eccitazione sia il canale in cui scorre – viene quindi identificata con la “grande mudrā” e viene divinizzatanel senso che si trasforma nell’incarnazione fisica delle energie che assumono i nomi delle varie dee. Lo yogin colto da un potentissimo desiderio fisico, passa quindi attraverso dieci stati emotivi – messi in relazione con i dieci segni – detti dieci stati di Kāma:

1.     Pensiero fisso (fumo);
2.     Desiderio (miraggio dell’acqua in movimento);
3.     Febbre (lucciola);
4.     Pallore del volto (lampada);
5.     Inappetenza (fiamma);
6.     Tremore (Luna);
7.     Follia(Sole);
8.     Vertigine (disco nero);
9.     Confusione mentale (lampo);
10.   Insensibilità (disco azzurro).

Il desiderio si trasforma in azione sfociando nel rapporto sessuale – fisico o visualizzato – e provoca la discesa del seme la cui essenza, attraverso il canale mediano, risale verso la testa anziché essere disperso all’esterno.

Il sesto passo - samādhi – è caratterizzato dallo stato di beatitudine permanente o “piacere onnipervadente” - ānanda – ed è definibile come condizione del “due in uno” o Sahaja "stato naturale".
Si realizza in altre parole l’identità tra yogin e yoginī, tra essere umano e divinità, tra interno ed esterno.




[1] Vedi Nāropā, Iniziazione Kālacakra. A cura di Raniero Gnoli e Gabriella Orofino. Pag. 95. Biblioteca Orientale 1. Adelphi 1994).
[2]   Si legge a questo proposito nella Laghutantraṭīka di Vajrapāṇi:
“Vista l’immagine e posto [il pene] nella vulva, si ha la meditazione susseguente, allo scopo di accrescere il supremo immoto piacere. Quindi ancora, dopo aver abbandonato la mudrā dell’azione e della conoscenza, lo yogin deve realizzare meditando la grande mudrā allo scopo di accrescere il grande piacere”.

Vedi: Cicuzza, C. (1994), La Laghutantraṭīkā di Vajrapāṇi, tesi di laurea, Università La Sapienza di Roma.


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