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Tārā , la “Madre di tutti i Buddha”

 


Tārā , la “Madre di tutti i Buddha”, è l'energia creativa dell'universo.

I Tibetani la chiamano Dölma e pensano  abbia il vezzo di scendere sulla Terra, in forma umana, anche due o tre volte  ogni era.

La prima “Donna /Dea” fu , Yeshe Dawa, la “Saggezza della Luna”, vissuta  migliaia di anni prima di Śākyamuni.

Anche allora c'era un Buddha, un maestro illuminato che  girava  paesi e città a insegnare la legge del Dharma: lo chiamavano Tonyo o Toyon Dorge.

Yeshe era una sua allieva.

Si dice fosse così  bella  che “il vento si fermava per guardarla e la sua voce  era così dolce che gli dei scendevano dai cieli per goderne”.

Il suo nome si sparse nei tre mondi e attorno ai fuochi, nelle sere d'estate, se ne  cantavano le gesta.

Si sussurrava fosse un'illuminata, ma una  Buddha  femmina non si era mai vista e un po' per abitudine, un po' per interesse, si insegnava che solo incarnandosi nel  corpo di un uomo  ci si potesse liberare dal saṃsāra, la catena delle rinascite.

Preti e yogin si riunirono per discutere il da farsi.

Cercarono nei libri antichi, ascoltarono gli oracoli, lessero gli astri ed evocarono gli antenati.

Alla fine trovarono una soluzione.

Il più anziano andò da Yeshe, si inginocchiò e le parlò così:

 

- “Oh saggia Yeshe! 

Luminosa come la falce della Luna e infinita come l'oceano senza sponde.

Se solo tu fossi uomo, un nuovo Buddha camminerebbe assieme a noi per  la felicità di tutte le creature.

Ti scongiuriamo!

Va in una grotta, siediti e  rivolgi la tua mente al bene degli esseri senzienti.

Mutati in un uomo.

Oppure prega che, nella prossima vita, tu possa indossare vesti virili.

Solo chi ha essenza maschile può essere un  un Buddha! “-

 

“Saggezza della Luna” rimase in silenzio  per un bel po'.
Poi sorrise, col sorriso di una Dea, e unì le dita nel gesto che insegna:

- “Ti ringrazio, ma temo che le tue parole siano frutto di un errore.

Se guardo, con gli occhi del cuore, non riesco a trovare, nell'universo intero, un solo uomo.

E neppure una donna.

Sono solo forme, diverse tra loro quanto  l'onda e l'acqua .

È  vero, molti sono i Buddha che han scelto di discendere come uomo, ma sono forse i peli sulle guance a far sbocciare il loto del Nirvana?

No, mi spiace, non farò sacrifici agli dei per assumere forma maschile.

Per il bene degli esseri senzienti, rinascerò mille e mille volte ancora in un corpo di donna, fino alla fine dei tempi” -

 

Da allora Tārā in ogni epoca discende  sulla terra, in ogni epoca  per dare forma fisica alla Conoscenza.

La chiamano anche  Prajñāpāramitā, o, a volte,  Uṣṇīsavijayā.

Le 21 Tārā che i tibetani invocano nella preghiera  del mattino, sono tutte persone, donne in carne e ossa.

La principessa cinese Wen Cheng, detta  Sitatārā o Tārā bianca, indossava vesti candide come la neve.

Verde  scuro era invece  il manto di Bhrkuti, nepalese dall'animo guerriero e poi ci sono  Sitātapatrā, la “Reggitrice di Ombrello”, Khadiravaṇī , la “Dama  del Bosco di Acacie”,  Mahāśītārā la “Bella tra le Belle” e  Jāṅgulī, la “Signora dei Serpenti”.

Ce n'è per tutti i gusti

Tārā è una donna, in carne ed ossa,  ma è anche uno strumento per il meditante, un Yidam ( iṣṭadevatā in sanscrito), che dorme nello spazio segreto del cuore.

Sta a noi destarla.

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