Credo che la piena comprensione dell'insegnamento dei "dodici anelli della generazione condizionata" potrebbe generare un salto di qualità nella pratica di tutti gli yogi.
Si tratta di dodici elementi - dipinti in senso orario nelle rappresentazioni del Bhavacakra - ognuno dei quali costituisce contemporaneamente la causa dell'anello che lo segue e l'effetto dell'eanello che lo precede; dodici elementi che nel loro insieme formano e spiegano l'attività della mente in ogni istante della nostra esistenza.
Il primo anello è l'ignoranza - Avidyā in sanscrito, Avijja in pāli - che per Buddha consiste principalmente nello "scambiare l'impermanente per il permanente, ciò che è relativo per assoluto e ciò che soggettivo per universale".
Per tentare di chiarire:
- La "mia" mente è come una scimmia che salta di ramo in ramo ma io ritengo sia qualcosa di stabile;
- Credo che la "mia" mente, che è fondamentalmente uno strumento di percezione e varia a seconda degli stimoli sensoriali del momento, sia il mio "io" inteso come individualità inalienabile;
- Credo che l'oggetto risultante dalla mia identificazione con la mente sia un riflesso di un essere divino, dell'Universo o del creatore dell'Universo.
Il secondo anello è rappresentato dai cosiddetti "semi dell'ignoranza" - Saṁskāra in sanscrito e Saṅkhāra in pāli - che sono, nel buddhismo, i "costrutti mentali, verbali e fisici" dipendenti da esperienze passate.
Saṁskāra sono le "tendenze" intese come modalità di pensiero, modalità di espressione mentale e fisica, e addirittura come tratti somatici.
Potremmo dire che l'gnoranza è un campo in cui vengono seminati tutti i Saṁskāra. A seconda delle esperienze sensoriali - bogha - alcuni di questi semi germinano e producono pensieri, parole e gesti che crediamo naturali e spontanei, ma sono prodotti da impressioni mentale generate, a loro volta, da altre esperienze appartenenti al passato.
I Saṁskāra sono frutto dell'ignoranza perchè noi crediamo che le esperienze sensoriali del passato - ovvero le impressioni mentali derivanti da quelle esperienze - siano i mattoni con cui si costruisce il feticcio che chiamiamo "io", per cui finiamo per "amarle" e, in definitiva, per vivere costantemente nel passato e per il passato, dando per scontato che queste "tendenze" (i Saṁskāra) ci appartengano, ci identuifichino e ci identificheranno nel futuro.
Il terzo anello è Vijñāna - Viññana in pāli - parola traducibile con "coscienza", "discernimento" o, in questo caso, "coscienza sensoriale".
Se l'ignoranza - Avidyā - è il campo, e i contenuti psichici - Saṁskāra - sono i semi, Vijñāna è il contadino che coltiva il campo.
Nel Samyutta Nikaya, e nel canone cinese si parla
di sei diversi tipi di coscienza:
- Coscienza
visiva;
- Coscienza
uditiva;
- Coscienza
olfattiva;
- Coscienza
relativa ai sapori;
- Coscienza
corporea;
- Coscienza
mentale.
Il quarto anello è Nāmarūpa, "Nome-Forma". Quello di Nāmarūpa è un concetto essenziale ai fini della comprensione della "catena dei dodici Nidana", perchè rappresenta ciò che più si avvicina al nostro concetto di "persona" o di "individuo". Di fatto con Nāmarūpa nel buddhismo si intende l'insieme dei cinque Skandha, e nella Ruota dell’Esistenza (Bhavacakra) è
rappresentato da una o più persone su una barca dove la barca rappresenta il
corpo inteso come “guscio” – rūpa, lo skandha fisico – i
passeggeri gli skanda mentali, nāma, e il mare o fiume
rappresenta la vita, il divenire.
Secondo il Samyutta
Nikaya «[l’insieme di] sentimento
[inteso come capacità della mente di conoscere il sentimento], percezione
[intesa come capacità della mente di riconoscere un sentimento come piacevole,
spiacevole o neutro], intenzione [intesa come luogo della mente in cui sorgono
le “volizioni”], contatto e attenzione [intesi come capacità della mente di conoscere
oggettivamente, ovvero di osservare e analizzare oggettivamente] […] è definito
Nāma; i quattro grandi elementi [Terra, Acqua, Fuoco e Vento] e il
corpo dipendente dai quattro grandi elementi [sono invece] ciò che è chiamato rūpa».
Il quinto anello è Ṣaḍāyatana - Saḷāyatana in Pāli , termine con cui si indicano sia le "basi sensoriali interne", ovvero le facoltà del vedere, dell'ascoltare ecc. sia le "basi sensoriali esterne", ovvero gli oggetti di percezione. Le basi sensoriali interne e le basi sensoriali esterne vanno a creare sei “sfere dei sensi” composte
da:
- Occhio e forma
(rūpa, o meglio rūpāyatana, da non confonfersi con rūpa
skandha);
- Orecchio e suono;
- Naso e odore;
- Lingua e sapore;
- Corpo (pelle) e tangibilità;
- Mente ed oggetto mentale (dharma, che qui si può tradurre anche con idee, pensieri, fenomeni mentali).
Se Nāmarūpa, che può essere visto come qualcosa di assimilabile alla "persona" e all'individualità, emerge della generazione della coscienza sensoriale - Vijñāna - le basi sensoriali - Ṣaḍāyatana - vengono a loro volta generate dalla persona.
Come abbiamo visto, gli organi sensoriali sono associati a specifici oggetti di percezione - l'occhio alla forma ecc. - e necessitano di una specifica coscienza formando le cosiddette "triadi della percezione", ovvero:
- Coscienza visiva, occhio e forma;
- Coscienza uditiva, orecchio e suono;
- Coscienza olfattiva, naso e odore;
- Coscienza gustativa, lingua e sapore;
- Coscienza corporea, corpo e tangibilità;
- Coscienza mentale, mente e "oggetto mentale".
Queste triadi non avrebbero nessuna funzione se non vi fosse un qualcosa di assimilabile all'individualità, per cui possiamo vedere gli organi di senso - le basi sensoriali interne - come un qualcosa che emerge, potremmo dire per necessità, da Nāmarūpa.
Il sesto anello è Sparśa - Phassa in Pāli - che significa "contatto", "toccare" e non va confuso con il senso del tatto, detto anch'esso Sparśa in sanscrito.
Sparśa, contatto,
può essere definito come l’incontro - saṃnipāta - tra
coscienza (vijñāna), organo di senso (indriya) e oggetto esterno
(viṣaya).
Parafrasando Mahasi
Sayadaw[4] si potrebbe fare l'esempio della finestra aperta: un uomo attraverso la finestra aperta si gode la vista di un albero; se si chiedesse "chi è che vede" la risposta, ovviamente, sarebbe "è l'uomo che vede", ma se la finestra fosse chiusa o non esistesse, l'uomo non potrebbe vedere l'albero, e se l'albero non esistesse l'uomo non lo vedrebbe neppure con la finestra aperta.
Per "vedere l'albero", non è sufficiente quindi che esistano l'uomo, la finestra e l'albero, ma è necessario che la finestra sia aperta, che l'uomo guardi attraverso la finestra e che l'albero sia in direzione della finestra. Possiamo dire quindi che per percepire occorrono tre fattori:
- L'uomo che vede, ovvero la coscienza visiva;
- La finestra aperta, ovvero l'occhio, ovvero la vista;
- L'albero , ovvero la forma percepita.
Questa triade è ciò da cui nasce Sparśa, il contatto, che può essere quindi inteso come "giunzione" tra coscienza, organo di senso e oggetto di percezione; e dato che esistono, per il buddhismo, sei tipi diversi di coscienza sensoriale, sei diversi organi di senso e sei diversi oggetti di percezione, ci saranno sei diversi tipi di Sparśa, ovvero:
- Contatto visivo;
- Contatto uditivo;
- Contatto olfattivo;
- Contatto gustativo;
- Contatto corporeo;
- Contatto mentale.
Il settimo anello della catena è Vedanā, che possiamo intendere come sensazione, "feeling", "tono edonico"[5].
Vedanā sensazione,
nasce da Sparśa, contatto, e produce Tṛṣṇā, il desiderio.
La sensazione può essere neutra, piacevole e spiacevole e genera, quindi, il
desiderio inteso come attaccamento agli oggetti che danno sensazioni piacevoli,
e l’avversione inteso come rifiuto degli oggetti che danno sensazioni
spiacevoli. Nella Ruota dell’Esistenza vedanā è
rappresentata da un uomo con una freccia nell’occhio.
Nel Majjhima Nikāya (chachakka-sutta,
148) si descrivono sei diversi tipi di sensazione/sentimento, effetto di sei tipi di
contatto e causa di sei tipi di “sete”, ovvero di desiderio (tṛṣṇā):
- Sensazione visiva;
- Sensazione uditiva;
- Sensazione olfattiva;
- Sensazione gustativa;
- Sensazione corporea;
- Sensazione mentale.
Dalla sensazione, Vedanā, nasce l'ottavo anello della sofferenza, Tṛṣṇā.
La parola Tṛṣṇā - in Pāli Taṇhā - significa letteralmente "sete", ma va intesa come desiderio, brama, passione e, in questo conteso, è di sei tipi ovvero desiderio per le forme, desiderio per i suoni ecc.
Tṛṣṇā, letteralmente
“sete”, è intesa quindi come “desiderio di essere in unione con gli
oggetti che provocano sensazioni piacevoli”, il che comporta, logicamente, il
desiderio, uguale e contrario, di allontanarsi dagli oggetti che provocano
sensazioni spiacevoli. Nella ruota dell’Esistenza , dato che il significato
originario di tṛṣṇā è sete,
viene rappresentata da una donna che offre un tè o un altra bevanda ad un uomo.
Esattamente come il contatto, la sensazione, la coscienza e la percezione, anche il desiderio è di sei tipi - desiderio visivo, desiderio uditivo ecc. - e dà origine al nono anello della sofferenza, Upādāna.
Upādāna potrebbe
essere tradotto con “carburante”, “causa materiale”, ma di solito
viene inteso come attaccamento. Nella Ruota dell’esistenza viene
rappresentato da un uomo – sostituito a volte una scimmia – intento a
raccogliere frutti da un albero.
Se la sete - tṛṣṇā – essendo dipendente dalle sei facoltà sensoriali ecc. è di sei tipi diversi, l’attaccamento viene invece messo in relazione ai cinque aggregati (skandha in sanscrito, kandha in pāli ) che compongono ciò che abbiamo definito Nāmārūpa.
Si legge nel Majjhima Nikaya (Mahā Puṇṇama Sutta, MN 109):
"[…] [Ci sono] cinque aggregati di attaccamento, cioè l’aggregato di attaccamento della forma, l’aggregato di attaccamento della sensazione l’aggregato di attaccamento della percezione l’aggregato di attaccamento delle “fabbricazioni”, l’aggregato di attaccamento della coscienza […]."
L'attaccamento per Buddha può essere visto come un insieme di cinque grandi serbatoi di "forme" "sensazioni" ecc. chiamati, in Pāli, Pañca Upādānakkhandha o "cinque aggregati di attaccamento".
Per chiarire di cosa si tratta prendiamo ad esempio solo le forme, rūpa.
Tutte le forme percepite - intese qui come "oggetti dei sensi" ovvero forme vere e proprie, suoni, odori ecc. - vanno a creare un archivio di "impressioni mentali" chiamato Rūpakkhandha o "aggregato delle forme".
Dato che ognuno di noi percepirà forme diverse, ci saranno tanti Rūpakkhandha, quanti sono gli esseri umani.
Quando ci attacchiamo ad una forma contenuta nel Rūpakkhandha in virtù della sensazione piacevole o spiacevole che colleghiamo ad essa, si forma un ulteriore "archivio" - chiamato Rūpupādānakkhandha - costituito dalle forme legate a tali sensazioni piacevoli o spiacevoli.
In altre parole, secondo il buddhismo, noi in realtà non ci attacchiamo alle "forme" intese come oggetti di percezione, ma alle impressioni mentali create da tali forme.
L'oggetto del nostro attaccamento non è un oggetto vero e proprio, ma l'impressione mentale di un oggetto che non esiste più o, magari, la prefigurazione di un oggetto che non esiste ancora.
Per fare un esempio, io mi commuovo alla vista di un uomo che prende in braccio il figlio dormiente per portarlo a letto, perchè tale immagine - Rūpa - fa insorgere l'emozione legata al ricordo di mio padre che mi portava nel mio letto: si tratta di un emozione che identifico come parte di me ed è legata ad una "forma" che non esiste più da almeno cinquanta anni.
Il concetto di attaccamento espresso dalla parola Upādāna è quindi più complesso di ciò che crediamo, innanzitutto perchè non si tratta di un attaccamento nei confronti di un oggetto reale [cosa che non potrà mai in nessun modo condurre ad una reale soddisfazione], in secondo luogo - e questa è la cosa più complessa da comprendere, perchè non è "l'IO" che si attacca ad un oggetto di percezione, ma è l'insieme degli oggetti cui siamo attaccati, ovvero l'archivio chiamato Rūpupādānakkhandha che - insieme agli altri quattro archivi relativi a sensazione ecc. - in qualche modo creano un feticcio di IO.
Una volta formati gli archivi degli attaccamenti - Pañca Upādānakkhandha - insorge il decimo anello della catena della sofferenza, Bhava.
Bhava,
(talvolta scritto Bhāva), significa “divenire", "esistenza". Nella Ruota dell’Esistenza è rappresentato a volte come una coppia
intenta a fare l’amore, altre come una bella donna (la bella sposa) altre ancora una donna incinta.
Bhava potrebbe essere inteso come il pieno sviluppo dell'illusione di un senso dell'Io permanente, e, quindi, come la "caduta nella ruota delle rinascite".
Da Bhava si genera l'undicesimo anello della catena della sofferenza, Jāti, simboleggiato nel Bhavacakra, da una donna che sta partorendo.
Jāti rappresenta la rinascita in uno dei cinque "domini dell'esistenza" ovvero:
- Il regno delle creature infernali, condannate a supplizzi legati al ghiaccio e al fuoco;
- Il regno dei fantasmi affamati;
- Il regno degli animali;
- Il regno degli uomini;
- Il regno degli dei e degli asura.
Questi cinque domini dal punto di vista psicologico potrebbero rappresentare in realtà i cinque territori della mente - cittabhumi - ovvero gli stati mentali che, secondo il buddhismo, possiamo osservare in ogni tipo di esperienza umana, ovvero:
- Confusione;
- Ottusità;
- Eccitazione;
- Concentrazione;
- Flusso;
La possibile identificazione dei cinque domini con i cinque "territori della mente", potrebbe significare che la mente impermanente - e noi che in essa ci identifichiamo - muta ad ogni istante ed in un certo senso rinasce ad ogni esperienza sensoriale.
Comunque sia la nascita o rinascita, genera il dodicesimo anello della sofferenza, Jarāmaraṇa che potremmo tradurre con invecchiamento, decadimento e morte.
Nel Pabbatopama Sutta ( SN 3.25) l'invecchiamento e la morte sono visti «Come enormi massi, montagne che premono contro il cielo [...] schiacciano le quattro direzioni e [...] rotolano su tutti gli esseri viventi, schiacciano allo stesso modo guerrieri, brahmini, mercanti, contadini e fuori casta».
Chiunque nasca in uno dei cinque domini - regni degli dei, degli uomini, degli animali, dei fantasmi affamati e delle creature infernali - è destinato ad invecchiare e morire.
Solo chi in questa vita riesce ad andare oltre lillusione dell'Io e la catena dei dodici anelli, ed ottiene l'illuminazione - Bodhi - può vincere la vecchiaia e la morte.
Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha!
(Andate, andate, andate insieme all’altra sponda, completamente sull’altra sponda, benvenuto risveglio!)
Pāli
|
Sanscrito
|
Traduzione
|
Avijja
|
Avidyā
|
Ignoranza, nescienza
|
Saṅkhāra
|
Saṁskāra
|
Contenuti psichici; costrutti
mentali, forme verbali e immagini corporee
|
Viññana
|
Vijñāna
|
Coscienza,
discernimento, coscienza sensoriale
|
Nāmārūpa
|
Nāmarūpa
|
Nome e forma; la mente
e il corpo; i cinque skandha.
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Saḷāyatana
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Ṣaḍāyatana
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Le sei “potenze dei sensi”:
occhio, orecchio, naso, pelle, lingua e mente
|
Phassa
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Sparśa
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Contatto, “toccare”,
impressione sensoriale
|
Vedanā
|
Vedanā
|
Sensazione,
“feeling”, tono edonico[3]
|
Taṇhā
|
Tṛṣṇā
|
Sete, brama,
desiderio, avidità
|
Upādāna
|
Upādāna
|
Attaccamento, presa,
appiglio, sostegno
|
Bhava
|
Bhava
|
Esistenza
“senziente”, divenire
|
Jāti
|
Jāti
|
Nascita, rinascita
|
Jarāmaraṇa
|
Jarāmaraṇa
|
Invecchiamento,
decadimento e morte
|
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