स्थान्युपनिमन्त्रणे
सङ्गस्मयाकरणं पुनरनिष्टप्रसङ्गात् ॥५१॥
sthāny-upanimantraṇe saṅga-smayākaraṇaṁ punar
aniṣṭa-prasaṅgāt ॥51॥
Si può ragionevolmente tradurre in questo modo:
3.51 Quando è invitato (upanimantraṇe) dagli dei
(sthāni)[1], lo
yogi dovrebbe evitare [sia] l’associazione [con essi] sia l’orgoglio [derivante
dall’invito] (saṅga[2]-
smaya[3]-akaraṇam[4]),
poiché c’è la possibilità (prasaṅgāt)[5]
di tornare al male (punar-aniṣṭa)[6]
[dove “male” fa riferimento alla “catena delle rinascite”][7].
Nel commento di Vyāsa si descrivono quattro categorie di yogi:
1. Prathamakalpika (प्रथमकल्पिक), che nel contesto dello yoga significa “principiante”, e, secondo lo Yogavārttika di Vijñānabhikṣu indica colui che ha sperimentato il samādhi “con seme” (savitarka, savicāra, sānanda, sasmitā);
2. Madhubhūmika (मधुभूमिक) “Colui che è al livello di conoscenza del miele”, che indica lo yogi che ha realizzato alcune siddhi dette, appunto”, madhupratīkā; secondo lo Yogavārttika di Vijñānabhikṣu si tratta della condizionedi conoscenza intuitiva descritta in 1.48 («ṛtaṁbharā tatra prajñā») e legata all’esperienza del nirvitarka samādhi
3. Prājñājyotiḥ (प्राज्ञाज्योतिः), che potremmo tradurre con “colui che sperimenta] la luce della saggezza” ed è, secondo lo Yogavārttika di Vijñānabhikṣu, uno yogi che ha ottenuto il controllo sugli elementi(3.44) e sui sensi (3.47); secondo lo Yogavārttika di Vijñānabhikṣu si tratta della realizzazione detta viśokā già citata in 1.36, nella nostra nota al versetto 3.25 e nel commento di Vyāsa al versetto 3.49, e di tutto ciò che viene ottenuto prima del raggiungimento della condizione detta asamprajñāta o saṃskāraśeṣatā (ovvero lo stato in cui restano solo le impressioni mentali latenti) proprio del quarto tipo di yogi.
4. Atikrānta bhāvanīya (अतिक्रान्त भावनीय) con atikrānta (अतिक्रांत) che significa “attraversare”, “andare oltre [il tempo e lo spazio]” e bhāvanīya (भावनीय) che si può tradurre con “essere manifestato”, “essere compiuto”. Ed è lo yogi che ha superato i sette stadi descritti in 2.27:
तस्य सप्तधा प्रान्तभूमिः प्रज्ञा ॥२७॥
tasya saptadhā prānta-bhūmiḥ prajñā
[1]
Sthānin (स्थानिन्) significa “forma originale”, “elemento primitivo” etc.; in questo caso,
secondo il commento di Vyāsa nella traduzione di Ganaganath Jha, indica
“gli dei.
[2]
Saṅga (सङ्ग) può essere tradotto come “incontro tra due o più fiumi”, ma indica anche
ogni tipo di associazione, “confraternita”, “unione”.
[3] Smaya (स्मय)
significa sia “orgoglio”, “arroganza” sia “sorpresa”, “stupore”.
[4]
Akaraṇam (अकरणम्) significa “non fare”,
“assenza di azione”, “non artificiale”, “privo di organi” (riferiti all’Essere
Supremo). In questo caso ho tradotto con “rifiutare [l’invito degli dèi e
l’orgoglio che ne deriva]” prendendo come riferimento le traduzioni della
maggior parte dei commentatori; come Swami Saccidananda, Taimni e Vivekananda:
Traduzione di Swami Satchidananda:
3.51 (3.52). The Yogi should neither accept nor
smile with pride at the admiration of even the celestial beings, as there is
the possibility of his getting caught again in the undesirable.
Traduzione di I. K. Taimni:
3.51 (3.52). (there should be) avoidance of
pleasure of pride on being invited by the superphysical entities in charge of
various planes because there is the possibility of revival of evil.
Traduzione di Swami Vivekananda:
3.51. (3.52). The Yogi should not feel allured
or flattered by the overtures of celestial beings for fear of evil again.
[5]
Prasaṅga (प्रसङ्ग) significa
“possibilità di essere applicato”, “occasione”, “opportunità”, “incidente”.
[6] Punar (पुनर्) significa “di nuovo”, “ancora una volta”; “tornare indietro”, “restaurare”e aniṣṭa (अनिष्ट) significa “indesiderato”, “indesiderabile”, “cattivo”, “sfortunato”, “inquietante”.
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