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La Pratica del Samadhi nel XV secolo (Lo Yoga secondo lo Yogavārttika di Vijñānabhikṣu)

 Sto leggendo il terzo dei quattro volumi dello  Yogavārttika  di Vijñānabhik ṣ u nella traduzione in inglese di  Trichur Subramaniam Rukmani. Si tratta di un libro - i quattro volumi intendo - che consiglio caldamente in quanto, secondo me, spazza via alcune, interpretazioni di  Patañjali, in voga già dai primi del '900, che mettendo in secondo piano la pratica degli  āsana, il lavoro sui cakra (ovvero sui marma) e sulle  nāḍī  allontanano lo Yoga S ūtra dalla tradizione dello  Haṭhayoga   medioevale, cui invece, a quanto sembra di capire, appartiene a pieno titolo. Vijñānabhik ṣ u  è uno yogi del XV secolo  famoso - in India - per i suoi commenti al S āṃkhya   S ūtra di Kapila ( nelle pubblicazioni in inglese  Sankhyasutrabhashya), al B rahma Sūtra di  Bādarāyaṇa   (nelle pubblicazioni in inglese  Vijnanamritabhashya) e allo  Yoga S ūtra di   Vyāsa ( nelle pubblicazioni in inglese  Yogabhashyavarttika). Yoga S ūtra  di   Vyāsa, ho scritto, e non è un errore, nel senso che, da

La Bellezza secondo Patañjali

  स्थूलस्वरूपसूक्ष्मान्वयार्थवत्त्वसंयमाद्भूतजयः ॥४४॥ sthūla-svarūpa-sūk ṣ mānvayārthavattva-sa ṁ yamād bhūta-jaya ḥ ॥ 44 ॥ 3.44. Si ottiene la padronanza sugli elementi (bhūtajaya ḥ ) facendo sa ṁ yama sui loro aspetti grossolani (sthūla), generali (svarūpa) [1] , sottili (sūk ṣ ma) [2] , sull’inerenza [dei gu ṇ a] (anvaya) [3]  e sulla “finalità” (arthavattva) [4] [ovvero sullo scopo degli elementi] [5] . ततो ऽणिमादिप्रादुर्भावः कायसंपत्तद्धर्मानभिघातश्च ॥४५॥ tato ' ṇ imādi-prādurbhāva ḥ  kāya-sa ṁ pat tad-dharmānabhighātaś ca  ॥ 45 ॥ 3.45. Da questo (tatas) [ovvero dal fare sa ṁ yama sugli aspetti grossolani, generali, sottili etc. degli elementi] insorgono (prādurbhāva ḥ ) [per primo] (ādi) il potere di diventare piccoli come un atomo(a ṇ imā) [6] , la perfezione del corpo (kāya sampad) [7]  e ( ca) il non impedimento alle caratteristiche  fondamentali (dharmanabhighāta ḥ) [8]  [degli elementi] [9] .   रूपलावण्यबलवज्रसंहननत्वानि कायसंपत् ॥४६॥ rūpa-lāva ṇ ya-bala-vajra-sa ṁ

Sull'Interpretazione dei Testi Tradizionali

  Secondo il  Vedāntasāra   di  Yogīndra  Sadānanda [tra parentesi libro preziosissimo per i praticanti di Yoga]  un testo tradizionale di Yoga non va letto, ma va "praticato". Le fasi della pratica di un testo sono in genere, tre: śravaṇa (ascolto); manana ( comprensione letterale, riflessione e concentrazione su parole, simboli e immagini in determinate posizioni e con determinati gesti; nididhyāsana  (meditazione seduta ). L'ascolto, śravaṇa , quando si paròla di un testo di Yoga consiste innanzitutto nel verificare se sia "tradizionale" o meno, se abbia cioè delle “valenze operative” intese come una serie di istruzioni in grado di condurti ad esperienze definite  Samādhi. In pratica occorre studiare il testo [o l'esposizione orale di un testo] alla ricerca di quei requisiti che possono classificarlo comne "tradizionale". I requisiti di un testo tradizionale, secondo  Yogīndra  Sadānanda ,  sono sei: Inizio e Fine; Ripetizione; Unicità; Frutto;

Vyāsa e l'Incomprensibilità di Patañjali

  Dal 2006 al 2012, sotto la guida di Bodhananda Premadharma, ho studiato almeno 5 traduzioni dello Yoga Sūtra di Patañjali [1] ; in questi giorni, su richiesta degli allievi del programma di Formazione Continua CSEN, ho ripreso in mano i versetti del “padre dello Yoga” – come lo definiva Vivekananda -, confrontandomi anche con altre traduzioni, come quelle di Squarcini e di Iyengar, e valutandole in base alle mie esperienze, alle mie, scarse, conoscenze del sanscrito e della filosofia indiana e, soprattutto, al commento attribuito a Vyāsa e pubblicato nel 1882/1909 da Rama Prasad e nel 1907 da Ganganatha Jha. Come credo sappiano tutti gli insegnanti e gli appassionati di Yoga, fino alla prima metà del XX secolo i versetti di Patañjali e il commento di Vya ̄ sa venivano considerati un’opera unica chiamata semplicemente Yoga - Darśana (“visione dello Yoga” o “insegnamento dello Yoga”) e, dato che Vya ̄ sa potrebbe è un nome proprio, ma un “ruolo” – “colui che arrangia i testi”, “co