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Enstasi - Lo Yoga come Arte di Morire a Se Stessi

 


“Traccia un confine tra il prima e il dopo”.

Takuan Soho, “Sogni”, Luni Editrice.

 

 

Lo yoga è la pratica del samādhi.

Il samādhi o l’enstasi come lo chiamava Mircea Eliade, è il sentirsi uno con l'universo e il percepire come tutti gli eventi si pieghino al volere di una potenza sconosciuta che ti sta indicando una strada, “quella” strada. Samādhi è l’esperienza straordinaria che confonde e trasforma la mente. A volte è il risultato di esercizi, di pratiche ascetiche o dell’assunzione di droghe. Altre accade, così senza motivo.

 D’improvviso gli oggetti esterni ci paiono essere più luminosi, i colori più vivi, le piante sembrano crescere più velocemente e sembra che crescano per noi. Accade di pensare ad un animale o ad una persona ed ecco che compaiono. I testi sacri ci sembrano improvvisamente chiari (e lo sono!) e si indovinano tracce e coincidenze che agli altri sembrano oscure. Chiudendo gli occhi figure meravigliose e coloratissime compaiono nella nostra mente e visualizzando una Dea o una figura mitica essa appare come fosse reale. Il samādhi (“questo samādhi”) è la fase "caleidoscopica" della pratica, la meraviglia del mondo creato dalla Dea che si palesa davanti ai nostri occhi. Tutto è meraviglioso e si ha l'idea di aver compreso in un istante tutto ciò che c'è da comprendere. Questi stati sono spesso temporanei. Può accadere che non tornino neppure più e ne resti solo il ricordo. Da alcuni il ricordo è conservato come un segreto tesoro, da altri è trasformato in una sorta di nevrosi da "paradiso perduto" e la vita si trasforma in un'accanita ricerca di quello stato di beatitudine. Quel che è certo è che niente dopo il samādhi sarà più come prima. È un territorio in cui, chi prima di te è arrivato, ti viene incontro e ti mostra i fiori più colorati, le rocce dalle quali puoi goderti tramonti belli fino alle lacrime. È là, al culmine dell’emozione, che bisogna avere la lucidità per tracciare un confine tra il prima e il dopo. L'esperienza c'è, c'è stata ed ha modificato la mente, ma il rumore del mondo continua ad attrarti e spesso, senza volere, torni al punto dell'inizio. 

Lo yoga è un’amante gelosa, vuole tutto per sé, non sopporta ricordi e rimpianti e condanna all’oblio chi cerca di portarsi dietro i fantasmi del passato. E invece occorre ricordarsi di sé in ogni istante, in ogni momento. La consuetudine, la tendenza ad utilizzare strutture mentali ormai logore dopo l'esperienza del samādhi, porta a dimenticare. C'è una luce particolare, suoni e sapori che paiono indimenticabili. E poi, d'un tratto, ne rimane solo un vago ricordo. Come foto ingiallite in cui non riesci a trovare il sorriso e lo sguardo di amanti lontane. Rimane la nostalgia. A volte neppure quella. Il problema è che l’io di prima, con i suoi sogni, speranze e memoria, non c’è più e finisci per trovarti, spaesato, in una terra di mezzo, incapace sia di rivivere l’esperienza sia di godere del quotidiano. Occorre coraggio per tracciare il confine. 

- “Io sono il mio passato, la mia memoria, la mia infanzia” - dice il piccolo ego – “Come potrei sentirmi intero senza ricordi?” - È per questo, per tacitare i piagnucolii dell’ego che occorre tracciare il confine tra il prima e il dopo. 

 Il sapore dell'esperienza deve sostituire i ricordi più antichi ed amati. A chi volesse intraprendere, ora, la via dello yoga direi di osservare i muri ed i cancelli delle case più vecchie del suo paese. Di guardarli come se fossero opere d'arte mai viste, o donne sconosciute dagli occhi neri come la notte. - “Pensa a quanti baci, addii, liti davanti a quei muri” – Lutti forse, e tragedie impensate. O magari degli amori sublimi. La consuetudine rende invisibili luoghi che un tempo, per alcuni, furono teatro di gesta che sembravano eterne. - “Traccia il confine” - direi all’aspirante yogin – “E scrivi” -

 Scrivi le esperienze che si accompagnano alla pratica, anche quelle che ti sembrano più sciocche. Scrivi i sogni. Raccogli gli oggetti che attirano anche per un istante la tua attenzione.  Se si tratta di un qualcosa di importante, qualcosa che modifica la mente e la percezione del mondo, una volta che la sabbia dell'oblio, ti riporterà, giustamente, con i piedi per terra, la parola scritta, il sasso raccolto in quel prato, il disegno che esprime il sentire confuso di un sogno inspiegabile, saranno le chiavi per ricordarti di te.

È un arte lo yoga, l’arte di morire da vivi. Non è bello da dirsi, lo so. Io sono morto, più volte e più volte ho dimenticato, cercando di aggrapparmi ad una vita che non esisteva più. Quando le energie della creazione, liberate dal samādhi, invadono quella che, sino ad un attimo prima, chiamavi realtà non hai scelta: o ti arrendi o assisterai, attonito alla distruzione di tutto ciò che ami. Io l’ho imparato a mie spese.

Commenti

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